8 febbraio 2021 Di necessità virtù

Il governo Conte bis si reggeva sullo stato di necessità: necessità di contenere i danni prodotti dalla crisi finanziaria del 2008, necessità di gestire la crisi sanitaria, economica e sociale prodotta dal Covid19, necessità di impedire il ritorno al potere del paese di una destra sovranista e postfascista. Con il nuovo governo (forse Draghi) perdura lo stato di necessità: necessità di utilizzare al meglio i finanziamenti europei del Recovery Fund, necessità di garantire il piano di vaccinazione anti Covid, necessità di garantire stabilità politica ad una Italia in grave sofferenza sociale ed economica.
Di qui l’attesa di un salvatore della patria in grado di fare di necessità virtù e di qui l’indicazione unanime di un finanziere apparentemente non politico, di fatto solo apartitico, esperto in salvataggi di banche e dei relativi conteggi finanziari.
La politica sembra aver fallito, a favore di una tecnocrazia neutrale ed equidistante.
Ma questo solo nei talk show, nelle maratone televisive, nel telegiornali e nelle prime pagine dei giornali.
Tutta la manovra è stata gestita dalla politica, da un ceto politico cinico e spregiudicato, che ha provocato una crisi di governo, solo apparentemente al buio, ma con prospettive che oggi appaiono chiare, mirate a scardinare un equilibrio politico, a minare alleanze e leaderschip, a favorire uno spostamento a destra dell’asse politico italiano. Con il nuovo scenario tutto è possibile: conversioni europeiste, ribaltamenti di alleanze, minoranze che diventano maggioranze, oppositori che diventano governativi, sconfitti che diventano vincitori, tatticismi esasperati, l’affermarsi di un politichese criptico e cifrato.
E’ la vittoria della politica, della cattiva politica, affarista, maneggiona, interessata, personalizzata, pronta a dividersi la torta dei miliardi europei, (vero oggetto del contendere) al di là dei proclami sul primato dell’interesse generale, delle dichiarazioni altisonanti sulla priorità dei contenuti (peraltro subito accantonati), della negazione di interessi di parte e sul rifiuto (solo contingente) di posti di potere.
La destra, nelle sue molteplici vesti e sensibilità, è di nuovo protagonista, a prezzo di trasformismi e capriole ideologiche, mentre la sinistra è letteralmente evaporata, di fatto ininfluente e marginale, sia a livello parlamentare che extraparlamentare. La virtù non sembra appartenerle, le rimane solo la necessità.

Nicola Zingaretti sembra accontentarsi della sua centralità, Matteo Renzi si è rivelato come il miglior delfino del Cavaliere, Silvio Berlusconi continua ad accampare meriti non suoi e ostenta la dimenticanza collettiva dei suoi trascorsi giudiziari, Matteo Salvini è più attaccato alle “poltrone” che alle secessioni nordiste, Giorgia Meloni rivendica una coerenza sovranista datata e improduttiva, Vito Crimi (o Beppe Grillo o Luigi Di Maio) si appresta a far partecipare il suo movimento al terzo governo di diverso colore politico. 
Persone, forse personaggi, non certo progetti né idee di società. La tattica della necessità prevale sulla strategia della virtù.

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