Il protagonismo, al limite dell’autoritarismo secondo
Matteo Renzi, di Giuseppe Conte sembra essere la contraddizione su cui si è
rotta la maggioranza che ha sostenuto fino ad ora il governo italiano. Senza un
partito e senza una lunga militanza politica Giuseppe Conte è stato un punto di
equilibrio di una coalizione eterogenea, favorendo la sopravvivenza politica
del movimento 5 Stelle, in crisi evidente di consensi e di leadership, mentre
ha garantito al Partito Democratico un ruolo di governo, ben più congeniale
dell’essere all’opposizione, vista la mutazione genetica della sua cultura e
del suo essere un partito di sinistra. Entrambi hanno sofferto della capacità
di iniziativa di Giuseppe Conte, senza però essere in grado di contestarla
efficacemente, pena la rottura di equilibri favorevoli al loro agire politico.
Leu, quale terzo elemento della coalizione, era già compensato dall’essere
nella “stanza dei bottoni”, prima che la pandemia desse un ruolo significativo
e ben interpretato ad un suo rappresentante nel governo.
Il quarto soggetto della coalizione, Italia Viva, con una rappresentanza
governativa ininfluente e in calo di visibilità, si è sentito particolarmente
danneggiato dal protagonismo del Primo Ministro, senza nessuna contropartita di
legittimazione politica. Di qui la reazione virulenta e scomposta di Matteo
Renzi, convinto che la sua iniziativa di contestazione di Giuseppe Conte,
sarebbe stata raccolta e rilanciata dagli altri partner della coalizione,
incoraggiato dalla sua sensibilità e intuizione, dovuta alla sua appartenenza
al ceto politico, con cui condivide da tempo cinismo e demagogia.
Convinto di parlare lo stesso linguaggio e di avere gli stessi obiettivi dei
suoi sodali, ingannato da una caratteriale sovrarappresentazione di sé stesso,
trascinato da una concezione demiurgica della parola e del suo mezzo, ha aperto
una crisi governativa al buio, nel mezzo di una generale e gravissima crisi
sanitaria, economica e sociale, creando sconcerto e confusione nel mondo
politico e nell’opinione pubblica.
Isolato per la mancanza non tanto di un progetto strategico, ma di un piano
tattico con cui contrastare controffensive e ricercare mediazioni, si è
rivelato inaffidabile politicamente, incapace di gestire eventi e conflitti da
lui stesso provocati.
Qualcuno benevolmente potrebbe dire che ha gettato il cuore oltre l’ostacolo.
Altri malignamente potrebbero affermare che, come ogni buon toscano, Matteo
Renzi preferisce perdere un amico che una battuta.
Eppure Matteo Renzi non è il solo protagonista di questa crisi.
Lo è Giuseppe Conte, per il suo essere uomo buono per ogni stagione politica,
per il suo doroteismo mai dichiarato, la sua titubanza a decidere, la sua
continua ricerca di facile consenso, il suo stare in un’aurea mediocritas , forte solo per la debolezza della sua
coalizione e di quella all’opposizione.
E’ protagonista il Partito Democratico, ormai privo di una precisa identità,
che cova al suo interno rancori e insofferenze ideologiche, sopite da una
gestione paternalistica e bonaria, come se questo partito dovesse
tranquillizzare e sedurre e non essere il protagonista di una trasformazione
radicale della società italiana, come sta pretendendo la pandemia da Covid19.
Non si chiedono avventurismi né fughe in avanti ma almeno una seria riflessione,
per esempio, sul collasso sistemico della nostra architettura istituzionale,
costruita sull’asse Stato centrale-Regioni e sul fallimento catastrofico del
nostro sistema sanitario, devastato dalla “seconda ondata” del virus, ben più
diffusa e violenta della prima, anche se largamente prevista, come lo è la
“terza ondata”.
La stessa richiesta andrebbe rivolta all’altro protagonista della crisi, il
movimento 5 Stelle, se garantisse una precisa interlocuzione, un comune agire
politico e una coerente idea di società e non fosse travagliato da un conflitto
lunare tra un’anima “governista” e un’altra “movimentista”, come se essere un
partito, con un gruppo dirigente riconosciuto e riconoscibile e momenti
decisionali condivisi e condivisibili, fosse una anatema o una bestemmia, come
d’altronde l’essere di destra o di sinistra.
Il terzo protagonista è LEU che sembra soddisfatto dal semplice fatto di
esistere, che non sembra aver contribuito in modo significativo alla coalizione
di governo, se si toglie la grande disponibilità del Ministro della Salute,
Speranza. Sembra una forza politica meritevole per l’impegno del suo ministro (nomen omen) e la simpatia di Bersani più
che per un progetto politico vero e proprio, ma anche a LEU va chiesto conto
del perché si è arrivati impreparati a ciò che si prevedeva sarebbe successo,
compreso il Ricovery Plan.
Oggi è Matteo Renzi il cattivo e va detto che ha fatto il possibile e
l’impossibile per esserlo. Ma come sempre le responsabilità di una crisi vanno
attribuite anche al masochismo politico, alla diserzione amministrativa e alla
desistenza morale di un intero ceto politico.
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