Il sistema capitalistico, anche nella sua versione più
recente, legata alla globalizzazione dei mercati, appare sempre più in crisi.
L’emergenza ambientale si somma ormai all’emergenza lavorativa, a quella
sociale e a quella sanitaria. Intere filiere produttive, interi gruppi sociali,
come interi ecosistemi sono destinati a scomparire nell’arco di pochi anni, né
si intravedono possibilità concrete di tutela e di rilancio. Ormai molti
auspicano una fuoriuscita da un sistema economico sempre più incapace di garantire
non solo giustizia ed uguaglianza sociale, ma anche progresso e sopravvivenza
della specie umana.
Ma verso quale modello alternativo ci si orienta?
La formula della socializzazione dei mezzi di produzione non appare più
credibile, dopo il collasso del cosiddetto socialismo reale, che ha rivelato
contraddizioni e incongruenze del sistema collettivistico, che perdurano ancora
nel tessuto economico e sociale di quei paesi, anche se tornati al libero
mercato. Certamente ha pesato non avere accompagnato quel processo alla
socializzazione dei poteri, che rimane ancora un nodo insoluto, visto che
“tutto il potere ai soviet” è rimasto uno slogan, non diventando l’avvio di un
processo basato sui consigli operai e contadini, sostituito ben presto da una dittatura
del proletariato eterna e inflessibile. Non ha certo giovato al sistema
socialista la stagione stalinista, crudele e improduttiva, infarcita di culti
della personalità e di una retorica antiborghese, strumentale e superficiale.
Non appaiono alternativi i sistemi socialisti ancora in piedi, quale quello
cinese, che sembrano più un esempio di capitalismo di stato, incentrato più
sulla produttività che sui diritti, e governato da un sistema politico
monocratico e assoluto.
Rimane la versione socialdemocratica, alternativa storica a quella comunista, e
apparentemente vincitrice dopo la caduta del Muro di Berlino, ma debolissima
sul piano programmatico e operativo. I consistenti consensi elettorali in
numerosi paesi europei ed extraeuropei non riescono a farla andare oltre uno
statalismo temperato, una ideologia sociale generica e una spregiudicata pratica politica.
La dottrina sociale della Chiesa cattolica, predicata e praticata non solo da
frange minoritarie e marginali, ma dallo stesso pontefice Francesco I, non si
pone come alternativa di sistema, nonostante la radicalità delle proposte, affidate alla volontà individuale e di
gruppo, più che a riforme sociali strutturali.
E’ una disamina riduttiva e semplicistica, che può favorire derive catastrofistiche
e relative crisi depressive, ma forse è opportuno una lettura né pessimistica
né ottimistica ma realistica delle contraddizioni che si è costretti a vivere
della situazione attuale, soprattutto in tempi di pandemia.
Una fuoriuscita è comunque necessaria.
La barbarie è alle porte. La crisi capitalistica di riverbera non solo sul
piano economico e finanziario ma anche sulle sue impalcature ideologiche, a
partire dalla democrazia borghese. Mai come oggi le istituzioni democratiche
hanno perso credibilità e autorevolezza. Il recente attacco armato al Senato
statunitense, ispirato e istigato dal presidente uscente, è la conferma della
minaccia ormai manifesta alla convivenza civile di intere comunità, premessa di
liberi scambi di genti e di merci. La disperazione, la paura, l’indottrinamento
ideologico e fideistico, stanno prevalendo a scapito delle libertà
democratiche, favorevoli al libero mercato, al bilanciamento dei poteri,
all’avvicendamento politico all’interno e a favore di un unico sistema economico.
Alla disperazione, alla paura, agli ideologismi vanno contrapposti la ragione,
il dubbio, la ricerca, la fratellanza e un po’ di metodo scientifico, fatto di
errori e tentativi. Tutte soluzioni presenti nelle varie esperienze e
sensibilità politiche conosciute ed esperite.
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