In pigiama, né lavato né sbarbato, il lavoratore dello
smart working e la lavoratrice, in pantofole e ancora struccata, dopo aver
strappato il computer ai figli, costretti alla DaD, o aver conquistato a fatica
quello aziendale, stanno realizzando la loro trasformazione in asettici
burocrati, sfornando atti, notifiche, resoconti in totale solitudine, senza
nessun confronto o consulenza con i colleghi, in totale esecuzione degli ordini
dei propri dirigenti, di cui non hanno avuto modo di conoscere la ratio né
tantomeno il senso.
I padroni, pardòn gli imprenditori, e i dirigenti megagalattici, risparmiando
sugli affitti e sulle utenze, a totale carico dei lavoratori costretti al
lavoro casalingo, saranno quindi in grado di valutare l’efficienza dei propri
dipendenti sul numero di pratiche evase e non sulla presenza nel posto di
lavoro, simulando questa metodica come controllo del risultato e non del
processo, che rimane a totale discrezione dell’operatore.
Con quale motivazione il lavoratore, ridotto alla propria individualità e
privato del senso di appartenenza ad una comunità, dovrebbe impegnarsi di più
in un percorso che non lo gratifica professionalmente, lo risarcisce malamente
dal punto di vista economico, e pregiudica, vista le basse competenze, una sua
crescita professionale?
Eppure tutto questo sembra essere uno degli scenari possibili del post covid,
dopo che la vaccinazione di massa avrà prodotto la cosiddetta immunità di
gregge.
Una possibilità per il lavoro nel terziario, tipico della pubblica amministrazione,
mentre per il lavoro in fabbrica verrà accentuata l’automatizzazione, già
realtà in molti opifici, dove il lavoratore è già appendice della macchina,
totalmente subalterno ai suoi ritmi e ai suoi tempi di esecuzione?
Che questo siano scenari possibili lo dimostra non tanto il dibattito
mediatico, ancora scarso, quanto le predizioni futurologiche, il richiamo
continuo alla modernizzazione, la costante sollecitazione ad una maggiore
produttività, per risanare il Pil e correggere l’enorme debito pubblico.
Per non essere schiacciati tra presenza e distanza, tra innovatori e
conservatori, tra luddisti e modernizzatori forse è il caso di recuperare la
categoria dell’alienazione, che fu utilizzata pienamente nei due secoli passati
per capire il disagio dell’uomo moderno nella civiltà industriale, sia in sede
filosofica e politica che in sede psicologica.[1]
In tempi di disumanizzazione crescente forse sarebbe necessario impostare un
dibattito e una conseguente azione politica per capire gli scenari possibili
del post covid ed eventualmente modificarli, prima che l’ondata finanziaria del
recovery fund, facile preda di accaparratori e profittatori, sia politici che
economici, annulli critiche e dissensi.
[1]Tommaso Campanella, Jean-Jacques Rousseau, Georg Wihelm Friedrich Hegel, Ludwig Fuerbach, Karl Marx, Friedric Engels, Louis Althusser, Herbert Marcuse, Sigmund Freud, Carl Gustav Jung, Erich Fromm
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