Per convenzione, cioè per un accordo condiviso da tutti o quasi tutti nel mondo occidentale, durante le festività natalizie, poste a cavallo del giorno convenzionale della nascita di Gesù Cristo, ci si scambiano auguri e regali, portati ai più piccoli, per convenzioni legate a tradizioni e consuetudini locali, da Santa Lucia, Gesù Bambino, Babbo Natale e Befana. Sempre per convenzione vengono individuate giornate festive e prefestive, in cui sono rispettati rituali convenzionali legati soprattutto al cibo, alla sua preparazione e al suo consumo ma anche all’arredo e agli addobbi, casalinghi e urbani.
Per convenzione tutti devono essere più buoni, più gentili e disponibili, soprattutto verso i bambini, gli anziani, i poveri.
Questo contratto collettivo attribuisce a questo fenomeno, inizialmente solo religioso e limitatamente alla religione cristiana, caratteristiche di sacralità, e quindi sovrastanti se non contrastanti con le scelte individuali. Tutti sono tenuti a rispettare queste regole tradizionali, anche se non condividono la deriva consumistica e la retorica buonista che ormai caratterizza le festività natalizie, pena l’abiura sociale e lo stigma sociale.
Quest’anno, per la pandemia da coronarovirus, le convenzioni sono sospese, e con esse gli schemi, gli orari, le regole tradizionali, ma non per una scelta, più o meno legittima, ma per necessità.
Abbiamo quindi un governo per necessità, stante la congiuntura politica, una economia per necessità, stante la crisi finanziaria ed economica, una sanità per necessità, stante la crisi epidemiologica, una socialità per necessità, stante il distanziamento sociale. Tutto viene giustificato e legittimato dallo stato di necessità, come fosse una versione moderna del fato degli antichi, una legge eterna e ineluttabile a dominare la vita dei viventi.
Ma anche la necessità è una convenzione, è un prodotto dell’agire degli uomini e delle donne, è una conseguenza dei sistemi economici e sociali dominanti, ritenuti, anch’essi per convenzione, unici e possibili. Eppure sono contingenti, modificabili ma non per necessità, per scelta.
Così il Natale può tornare ad essere una ricorrenza religiosa, per chi è credente, o una ricorrenza sociale, per chi non lo è. Per entrambi fatta anche di doni, ma ricca di empatia e di convivenza.
In questi giorni non dobbiamo solo immaginare e praticare un Natale diverso, ma immaginare e praticare una società diversa. Non dobbiamo inventarci un Natale in solitudine, quando lo stare insieme è oggi solo rumoroso e inquietante, come rumorosa e inquietante è la nostra società. Ma soprattutto ingiusta, nelle convenzioni come nei contratti sociali e nei rapporti che ne conseguono.
Per infrangere le convenzioni non dobbiamo essere stravaganti, atipici, anomali, ma determinati nella volontà di cambiamento, nel perseguimento di obiettivi, nell’adottare una strategia che vada oltre il Natale.
L’anno nuovo non comincia il 1° gennaio, come da convenzione, può cominciare ora.
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