7 dicembre 2020 Il vero antidoto

Qualcuno lo considera solo un centro di costo, un pachidermico apparato burocratico, troppo complesso per essere efficiente e viziato di un connotato ideologico, statalista e illiberale.
Eppure il Servizio Sanitario Nazionale è la nostra assicurazione sulla vita. Nostra, di tutti.
Se fosse messo nelle condizioni di funzionare e non fosse stato falcidiato da decenni di tagli finanziari, se non fosse stato impoverito culturalmente e professionalmente e penalizzato dalla aziendalizzazione, se non fosse stato mortificato dalla regionalizzazione, sarebbe in grado non solo di gestire la pandemia da coronavirus, ma di tutelare la salute dei cittadini.
In realtà non è così. Nei fatti è stato travolto dalla pandemia, in modi e forme inconoscibili perché nascoste e censurate, in primis dalle regioni, enti attuatori del servizio. D’altronde non esisteva una pianificazione nazionale puntuale e aggiornata rispetto al rischio di nuove pandemie, largamente paventato e previsto in sede scientifica.
Non ha funzionato la prevenzione, basata sulla individuazione precoce dei contagiati, tramite test diagnostici facilmente accessibili e largamente processati e sull’attivazione di percorsi di tracciamento delle possibili fonti di contagio, per pianificare le misure di isolamento, che andavano protocollate, nei tempi e nelle modalità. Erano i servizi territoriali deputati a questo, a partire dalla medicina generalista, se allertati e messi nelle condizioni qualitative e quantitative di essere pienamente operativi e non penalizzati da un sistema sanitario ospedalocentrico e basato sulla medicina specialistica.
Nessuna meraviglia quindi che siano stati gli ospedali ad essere sovraccaricati di contagiati, senza nessun filtro territoriale ed in particolare le rianimazioni, le uniche strutture in grado di fronteggiare la fase acuta della pandemia, non essendo disponibili né terapie efficaci né antidoti contro il coronavirus. Poche e per questo rapidamente travolte, nonostante la totale abnegazione e la grande disponibilità degli operatori. Del resto la cosiddetta medicina dell’urgenza e dell’emergenza, vero fulcro del sistema sanitario, vera cartina al tornasole dell’efficienza e della efficacia del Servizio Sanitario Nazionale e unico strumento per la programmazione dei servizi sanitari, è stata da sempre negletta e marginalizzata, in quanto incapace di produrre profitti e prebende, nonostante fosse in grado di fronteggiare le principali malattie tempodipendenti (infarto, ictus e grandi traumi) e l’acutizzarsi delle pandemie. Il loro potenziamento e il relativo aggiornamento di chi ci lavora, compresa una nuova formazione di tutto il personale sanitario, dovrebbe essere il primo passo per una riforma radicale del Servizio Sanitario Nazionale, concepito anche come una opportunità di crescita economica.
Sarebbe un antidoto alla paura, ormai terrore, di ammalarsi e di morire in solitudine, in uno scafandro, in luoghi asettici e anonimi.

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