Qualcuno lo considera solo un centro di costo, un
pachidermico apparato burocratico, troppo complesso per essere efficiente e
viziato di un connotato ideologico, statalista e illiberale.
Eppure il Servizio Sanitario Nazionale è la nostra assicurazione sulla vita.
Nostra, di tutti.
Se fosse messo nelle condizioni di funzionare e non fosse stato falcidiato da
decenni di tagli finanziari, se non fosse stato impoverito culturalmente e
professionalmente e penalizzato dalla aziendalizzazione, se non fosse stato mortificato
dalla regionalizzazione, sarebbe in grado non solo di gestire la pandemia da
coronavirus, ma di tutelare la salute dei cittadini.
In realtà non è così. Nei fatti è stato travolto dalla pandemia, in modi e
forme inconoscibili perché nascoste e censurate, in primis dalle regioni, enti
attuatori del servizio. D’altronde non esisteva una pianificazione nazionale
puntuale e aggiornata rispetto al rischio di nuove pandemie, largamente
paventato e previsto in sede scientifica.
Non ha funzionato la prevenzione, basata sulla individuazione precoce dei
contagiati, tramite test diagnostici facilmente accessibili e largamente
processati e sull’attivazione di percorsi di tracciamento delle possibili fonti
di contagio, per pianificare le misure di isolamento, che andavano
protocollate, nei tempi e nelle modalità. Erano i servizi territoriali deputati
a questo, a partire dalla medicina generalista, se allertati e messi nelle
condizioni qualitative e quantitative di essere pienamente operativi e non
penalizzati da un sistema sanitario ospedalocentrico e basato sulla medicina
specialistica.
Nessuna meraviglia quindi che siano stati gli ospedali ad essere sovraccaricati
di contagiati, senza nessun filtro territoriale ed in particolare le
rianimazioni, le uniche strutture in grado di fronteggiare la fase acuta della
pandemia, non essendo disponibili né terapie efficaci né antidoti contro il
coronavirus. Poche e per questo rapidamente travolte, nonostante la totale
abnegazione e la grande disponibilità degli operatori. Del resto la cosiddetta
medicina dell’urgenza e dell’emergenza, vero fulcro del sistema sanitario, vera
cartina al tornasole dell’efficienza e della efficacia del Servizio Sanitario
Nazionale e unico strumento per la programmazione dei servizi sanitari, è stata
da sempre negletta e marginalizzata, in quanto incapace di produrre profitti e
prebende, nonostante fosse in grado di fronteggiare le principali malattie
tempodipendenti (infarto, ictus e grandi traumi) e l’acutizzarsi delle
pandemie. Il loro potenziamento e il relativo aggiornamento di chi ci lavora,
compresa una nuova formazione di tutto il personale sanitario, dovrebbe essere
il primo passo per una riforma radicale del Servizio Sanitario Nazionale,
concepito anche come una opportunità di crescita economica.
Sarebbe un antidoto alla paura, ormai terrore, di ammalarsi e di morire in
solitudine, in uno scafandro, in luoghi asettici e anonimi.
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