Michelangelo

Fin da giovane si mostra molto sensibile alle suggestioni religiose. La personalità e il destino di Savonarola lasciano in lui una impressione incancellabile e per tutta la vita tiene di fronte al mondo un riserbo che doveva avere in quella esperienza la sua origine. Invecchiando, la sua devozione diviene sempre più profonda, più ardente, rigida ed esclusiva, fino a riempirgli tutta l’anima, respingendo non solo gli ideali rinascimentali, ma facendolo anche dubitare del senso e del valore di tutta la sua opera d’artista.

Già nelle Tombe medicee e nei pennacchi della Sistina, si individuano segni di un’arte che ha perso una sua armonia e che comincia ad essere manieristica.

Il Giudizio della Cappella Sistina (1534-41) non celebra la bellezza e la perfezione, né la forza o la giovinezza, ma è la rappresentazione di uno smarrimento disperato, un’invocazione di fronte al caos, che minaccia di inghiottire ogni cosa. Tutta l’opera è dominata da un desiderio di abnegazione e di rinuncia a tutto ciò che è terrestre, corporeo, sensuale. La scena si svolge in uno spazio irreale, discontinuo, non unitario, senza un principio ordinatore e con la rinuncia di ogni illusione prospettica. Con il suo aspetto sconvolto è un manifesto di protesta contro la forma bella, perfetta, immacolata, in sostanza gli ideali della Rinascita.

(2 maggio 2019)

Fonti:

Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, Volume primo Preistoria Antichità Medioevo Rinascimento Manierismo Barocco, Torino, Einaudi, 1977

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