Corporazioni artistiche

1.

Nel medioevo con lo sviluppo delle città nordiche e dei comuni italiani diventa necessaria una organizzazione gerarchica della società e delle professioni. I lavoratori dei centri urbani, per il mantenimento dei diritti civili, devono entrare nelle gilde o “arti”, avendo in cambio la tutela dei propri interessi professionali. A Perugia viene fondata una corporazione di pittori nel 1286, seguita da quella veneziana nel 1290, Verona nel 1303 e Siena nel 1355. La massima fioritura delle corporazioni in Italia appartiene infatti al secolo XIV e alla prima metà del XV. 

Le corporazioni comprendono di solito anche le arti affini e ne sono membri pertanto vetrai, doratori, intagliatori, stipettai e a volte anche sellai e fabbricanti di carta. Scultori e architetti sono organizzati insieme ai tagliapietre e muratori. Le gilde si occupano di quasi tutti gli aspetti della vita dei loro membri: badano all’osservanza delle pratiche religiose, controllano l’educazione degli apprendisti, regolano i rapporti con i committenti e si prendono cura del benessere fisico e morale dei loro membri. Per un artista non è facile affermare la propria individualità o andare contro le regole.

Queste organizzazioni professionali, quasi sempre dotate di atti costitutivi e di statuti, difendono a lungo e ostinatamente i propri diritti e solo verso la metà del Settecento gli artisti si emancipano definitivamente dall’autorità delle corporazioni. 

2.

L’artista è soggetto alla corporazione e il diritto di esercitare il mestiere non è dovuto al suo talento, ma dal tirocinio compiuto nel modo prescritto. La sua educazione si fonda sui comuni rudimenti dell’artigianato; infatti non va a scuola ma a bottega; non viene istruito teoricamente, ma praticamente. Dopo aver imparato più o meno a leggere, scrivere e far di conto, ancora bambino va come apprendista da un maestro e vi resta per lo più molti anni. Il tirocinio comincia con lavori manuali d’ogni sorta: macinare colori, pulire pennelli, preparare le tavole e le tele per poi passare a trasportare certe composizioni dal cartone al quadro, ad eseguire panneggi e parti secondarie di figure e finire con l’esecuzione di intere opere sulla traccia di semplici schizzi e indicazioni verbali. Così l’apprendista diventa aiuto, più o meno indipendente, tenuto distinto dallo scolaro. Infatti non tutti gli aiuti di un maestro sono suoi allievi, né tutti gli allievi rimangono nella bottega come aiuti. 

3.

Con il Rinascimento gli artisti cominciano a rivendicare e, a volte, ad ottenere la netta distinzione tra arte e mestiere manuale. La semplice industriosità e abilità nel mestiere non sono più sufficienti a qualificare un artista, che pretende ormai a pieno titolo di essere ammesso nella cerchia delle arti liberali, ritenendosi ormai un lavoratore intellettuale. La liberazione dai vincoli protettivi delle corporazioni comporta per molti artisti l’adozione di stili di vita bohémien e anticonvenzionali, oltre ad essere in grado di negoziare direttamente con i committenti. Non sempre in posizioni di forza, dal momento che un artista ha di fronte due prospettive: mettersi a capo di una bottega e lavorare in proprio, con propri apprendisti e aiutanti o entrare al servizio di un signore. Questa seconda soluzione diventa credibile con la crescita graduale delle piccole corti e il culto della magnificenza. Ciò significa per un artista, entrato a far parte del personale di casa, il diritto ad avere uno stipendio fisso, alloggio, cibo e generi di necessità e donativi straordinari in denaro o oggetti preziosi e il dovere di dipingere o scolpire tutto quello che desidera il signore, compreso il disegno delle decorazioni per gli spettacoli teatrali e per gli avvenimenti festivi. Esiste una terza possibilità, valida solo per gli artisti più affermati: ottenere un incarico pubblico o un ufficio stipendiato, con una sovvenzione prelevata dai fondi pubblici.

4.

La liberazione di pittori e scultori dai vincoli delle corporazioni e la loro ascesa dal livello degli artigiani a quello dei poeti e dei dotti è favorita dalla loro alleanza con gli umanisti. Questi ultimi li confermano nella posizione conquistata grazie alle congiunture del mercato, fornendo loro gli strumenti per imporsi alle corporazioni e per vincere nelle loro stesse fila la resistenza degli elementi conservatori. Sono i garanti del valore intellettuale degli artisti, in cambio utilizzano l’opera d’arte come un efficacissimo strumento di propaganda per le idee su cui fondano la loro egemonia spirituale. Di fatto però la vera causa della ascesa sociale degli artisti è l’affermarsi delle nuove Signorie e Principati e il contestuale sviluppo e arricchimento nelle città, che riduce sempre più la sproporzione tra l’offerta e la domanda sul mercato artistico, ridimensionando il ruolo delle corporazioni, basato sulla capacità di volgere tale sproporzione a vantaggio dei produttori. Contestualmente però la corporazione non può distinguere l’arte dal mestiere, dalla capacità cioè di imitare modelli già consolidati, con diligenza, ubbidienza e pazienza, secondo ricettari rigidi, definiti e legittimati da maestri appartenenti alla corporazione stessa.

(30 maggio 2019)

Fonti:

Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte Volume primo Preistoria Antichità Medioevo Rinascimento Manierismo Barocco, Torino, Einaudi, 1977

Rudolf e Margot Wittkower, Nati sotto Saturno La figura dell’artista dall’antichità alla Rivoluzione francese, Einaudi, Torino, 2016

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