Il colpo di stato del 21 aprile 1967

Nell’aprile del 1967, in prossimità delle elezioni indette per il 28 maggio, dove era prevista una sconfitta della destra, era in fase avanzata un progetto di golpe monarchico, da attuare sotto la supervisione del Capo di Stato Maggiore Grigorios Spandidakis, un fedele seguace del re Costantino II. Il piano, chiamato in codice” Prometeo” , era stato elaborato in sede NATO, in previsione di uno scenario in cui le forze armate prendessero il potere per fronteggiare un’insurrezione comunista o l’occupazione da parte degli eserciti del Patto di Varsavia. Era previsto che tutte le unità dell’esercito venissero automaticamente poste sotto il controllo diretto del Ministro della Difesa o del Capo di Stato Maggiore o del re.
Il 19 aprile 1967 Spandidakis aveva ricevuto il piano esecutivo dell’intervento militare, elaborato in quasi sei mesi dal colonnello dell’artiglieria Georgios Papadopoulos. Il giorno successivo Spandidakis riunì sei generali di brigata che concordarono sulla inevitabilità dell’intervento dell’esercito e decise di informare il re, per concordare con lui modi e tempi dell’azione. Contestualmente un altro gruppo di militari, di grado inferiore, capeggiati dal colonnello Georgios Papadopoulos, dal colonnello Nikolaos Makarezos e dal generale di brigata Stylianos Pattakos, cospirava con le stesse motivazioni e con gli stessi scopi, ma senza coinvolgere il re e senza aspettare, come proponevano i generali, il responso delle urne. Riunitisi la sera del 20 aprile in una casa privata decisero di entrare in azione e alle ore 23 stabilirono l’ora X del colpo di stato in casa del colonnello Dimitrios Ioannidis.
La brigata corrazzata, agli ordini di Pattakos, acquartierata nella caserma di Goudì, nei sobborghi di Atene, venne radunata alle ore 0,45 del 21 aprile e dopo aver ascoltato un breve proclama del loro comandante, alle ore 2,15 occupò il primo grande incrocio a circa cinque chilometri dal centro della capitale ellenica. Contestualmente il colonnello Ioannis Ladas, capo della polizia militare, stava occupando lo Stato Maggiore di Difesa, dove Papadopoulos aveva arrestato Spandidakis e lo aveva sostituito con il suo vice, Odysseas Angelis. Costui chiese al III Corpo d’Armata, con sede a Salonicco, la piena attuazione del piano Prometeo, secondo gli ordini già ricevuti, assicurando di eseguire gli ordini del re e alla ore 4,00 i carri armati apparvero nelle strade di Salonicco, mentre venivano arrestati i dirigenti politici del centro e della sinistra.
Ad Atene alle ore 2,00 gli incursori antiguerriglia LOK avevano occupato la radio di stato e la società dei telefoni e presidiavano tutti i principali centri di telecomunicazione delle forze armate.
Alle prime luci dell’alba una cinquantina di giganteschi carri armati, del tipo M47 di fabbricazione americana, stazionavano nelle principali piazze della città e di fronte agli obiettivi sensibili: il Palazzo Reale, il Parlamento, la Presidenza del Consiglio, alcuni ministeri.
Contestualmente, per ordine del capo della polizia militare ESA colonnello Ladas e  del capo della Scuola allievi ufficiali Ioannidis, vennero arrestate ad Atene 6.509 persone, tra cui dirigenti e attivisti e tutti i deputati dell’EDA.[1] Gli arrestati furono concentrati in un primo momento nell’ippodromo di Atene e lì fu ucciso a colpi di pistola il dirigente dell’EDA [2] Panayotis Ellis, ma anche nello stadio Karaiskakis del Pireo e in quello della squadra di calcio AEK a Nea Filadelfia. Furono arrestati anche esponenti del partito di destra ERE, compreso il presidente del partito, Panayotis Kennellopoulos, premier in carica e dell’Unione di Centro, tra cui Georgios Papandreou e il figlio Andreas.
Lo stesso giorno del colpo di stato ci furono due vittime innocenti nel centro di Atene. Una giovane donna, Maria Kalavrou uccisa da una mitraglietta di un carro armato, mentre assisteva attonita e impaurita alla sfilata dei carri armati e il quindicenne Vasilis Peslis, colpito da un sergente di leva mentre il suo reparto di fanteria tentava di disperdere la folla di curiosi radunatasi in piazza Attikis.
Ci furono pochissime manifestazioni di protesta, organizzate dai dirigenti delle organizzazioni di studenti di sinistra e dell’Unione di Centro. a Salonicco, a Giannina e a Eraklion, nell’isola di Creta, con feriti, anche gravi. 
Il re Costantino II venne svegliato da una telefonata del segretario generale del Palazzo Reale, maggiore Mihail Arnaoutis, alle ore 2,10, mentre si trovava nella sua residenza di campagna a Tatoi, a pochi chilometri da Atene. Il suo braccio destro, colonnello Konstantinos Kombokis, aveva aderito alla cospirazione e non fornì al sovrano nessun appoggio, né morale né materiale. In numerose telefonate, altri militari lealisti chiesero al re iniziative di contrasto ai golpisti, ma il re rispose sempre negativamente, fino al suo completo isolamento, sia logistico, essendo la sua residenza circondata dai militari e con le linee telefoniche interrotte, sia politico. Quando all’alba si presentò la troika che guidava i golpisti, l’unica concessione che Costantino strappò loro fu di potersi incontrare con il capo di Stato Maggiore Spandidakis, il quale era stato scavalcato nel golpe dai colonnelli, e con il quale si recò in auto ad Atene, dove prese atto di una situazione ormai definita in cui nessun militare era disposto ad ubbidirgli, anche se molti pensavano che lui fosse la mente del colpo di stato. I capi golpisti gli chiesero di avvallare un nuovo governo presieduto da Spandidakis e dopo il suo rifiuto, a seguito da un acceso incontro con Kannellopoulos, ancora detenuto, che lo invitò a resistere alle pressioni dei golpisti, decise di trattare, a condizione che il primo ministro fosse Konstantinos Kollias,[3] ex procuratore presso la Corte Suprema, monarchico di ferro, che accettò l’incarico e giurò alle ore 16, presso il Palazzo Reale, vicino al Parlamento, desolatamente deserto.

(20 marzo 2020)
 

Fonti:

Nerio Minuzzo, Quando arrivano i colonnelli Rapporto dalla Grecia, Milano, Bompiani, 1970

Dimitri Deliolanes, Colonnelli Il regime militare greco e la strategia del terrore in Italia, Roma, Fandango, 2019 


[1] Uno dei pochi dirigenti che sfuggirono all’arresto fu Mikis Theodorakis, deputato dell’EDA e leader della gioventù “Lambrakis”. Quarant’otto ore più tardi redasse a mano, in stampatello, il primo documento della resistenza alla dittatura, che fu riprodotto in poche copie fotostatiche. Rimase nascosto per quattro mesi, quando venne scoperto uno dei suoi rifugi. Dopo cinque mesi senza processo, nel gennaio 1968 fu rimesso in libertà per essere di nuovo arrestato nell’agosto dello stesso anno e mandato al confino, con la famiglia, a Zatuna, uno sperduto villaggio semidisabitato in Arcadia nel Peloponneso. Nell’ottobre 1969 venne separato dalla famiglia e deportato nel campo di Oropos in Attica, in totale isolamento. Ricoverato in ospedale nell’aprile 1970 per l’aggravarsi delle sue condizioni fisiche, il 13 dello stesso mese fu scarcerato e gli fu permesso di andarsene in esilio.

[2] Agli inizi degli anni cinquanta del Novecento i pochi comunisti rimasti in Grecia, dopo che il grosso dei guerriglieri era riparato oltrecortina e il KKE era stato messo fuorilegge, riuscirono faticosamente a coinvolgere alcune personalità della sinistra più ampia, creando la Sinistra Democratica Unificata (EDA) e a capo fu nominato Ioannis Pasalidis, un greco nato a Trebisonda che aveva studiato ad Odessa ed era stato eletto deputato con i menscevichi.

[3] Al tempo del delitto Lambrakis era procuratore generale dello Stato e in quella veste si recò personalmente a Salonicco per persuadere e poi intimidire il giudice Crhistos Sartzetakis, titolare delle indagini, per fermare l’istruttoria. Durante il governo Papandreu aveva per questo, subito una sospensione infamante. Ambizioso e intrigante contò sempre su forti protezioni, soprattutto presso la regina Federica, che lo impose, tramite il figlio Costantino, il giorno stesso del colpo di stato, quale titolare politico della dittatura. Nel dicembre 1967 si schierò con il re nel fallito tentativo di liquidare la Giunta Militare, salì con lui nell’aereo fino a Roma, per poi tornarsene ad Atene. In cambio del suo pentimento, anziché essere ripristinato bel suo ruolo di procuratore generale, fu mandato in pensione. 

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