Nato nel 1888, liberale di sentimenti repubblicani, anticomunista netto e irriducibile durante la Guerra civile. Ministro dell’interno nel 1923 e dell’Economia nel 1925, dopo la parentesi dittatoriale di Theodoros Pangalos, tornò al governo con Eleutherios Venizelos, diventando ministro dell’Istruzione dal 1930 al 1932 e nel 1933 ministro dei Lavori Pubblici. Nel 1935 abbandonò il partito liberale per fondare il partito socialdemocratico. Tenace oppositore di ogni regime autoritario, fu di nuovo imprigionato sotto le dittature di Metaxas. Liberato dopo cinque anni, partecipò alla resistenza antinazista. Fu capo del governo greco in esilio durante l’occupazione tedesca e italiana e fu lui ad issare di nuovo la bandiera greca sull’Acropoli il 18 ottobre 1944.
Contese accanitamente l’egemonia di Karamanlis, fino a fondare nel 1961 L’Unione di Centro, con transfughi della sinistra e della destra, tenuta insieme con abili mercanteggiamenti e con metodi paternalistici.
Quando nel novembre 1963 il suo partito ottenne la maggioranza relativa, non volendo contare sui voti della sinistra né su quelli della destra, si adoperò per nuove elezioni, facendo affidare la transizione a Ioannis Paraskevopulos, governatore della Banca di Grecia. Con le elezioni del 6 febbraio 1964 il suo partito ottenne il 53% dei voti, conquistando la maggioranza assoluta, mentre l’ERE scese al 35% e l’EDA al 12%.
Si aprì così una nuova fase politica guidata da un settantaseienne scaltro e affascinante, pieno di energie e di contraddizioni. Anche se limitato dal suo partito, eterogeneo e per questo bisognoso di una direzione più aperta e collegiale e di una rappresentanza diretta tra la base e il vertice, avviò una azione rinnovatrice e riformista, fortemente influenzato dal figlio Andreas, un progressista democratico, suggestionato dall’esempio di Kennedy. Tentò una svolta politica vagamente simile a un centro-sinistra italiano ma che, malgrado un sostegno elettorale maggioritario, fu fortemente ostacolato dai servizi segreti americani e dalle forze più reazionarie del paese, legate ad un ordine strategico mondiale, dettato dalla Guerra fredda.
Georgios Papandreou per sopravvivere politicamente contrastò pubblicamente i vecchi gruppi di potere, cercando di rimuovere alcuni ostacoli rappresentati dall’alleanza tra l’estrema destra e i vertici delle forze armate. Nel febbraio 1965 denunciò in parlamento tutti i retroscena del pano “Pericle”, attuato quattro anni prima da Karamanlis per vincere con l’aiuto dei militari le elezioni. Come contraccolpo il Ministro della Difesa, Petros Garufalias, imposto a suo tempo dalla corte, rivelò pubblicamente l’esistenza all’interno delle forze armate di un complotto antimonarchico e anti Nato di un gruppo di ufficiali repubblicani e papandreisti, ispirati dal figlio Andreas, organizzati in un gruppo clandestino chiamato Aspida. Le accuse si rivelarono inconsistenti, ma l’affare fornì al re l’occasione per liquidare il governo Papandreu che, dopo una crisi anche istituzionale, il 15 luglio 1965 minacciò di dimettersi se il re non avesse accolto le sue richieste di modifiche negli incarichi di governo. Costantino accettò immediatamente le dimissioni e contestualmente nominò primo ministro Georgios Athanassiadis Novas, uomo del Centro ma senza la fiducia del parlamento, di fatto compiendo un vero e proprio “golpe bianco”.
Per due settimane ci furono forti e partecipate manifestazioni popolari, tumulti violenti e cortei che chiesero il rispetto dell’articolo 114 della costituzione greca[1], costringendo il re a rifugiarsi a nel palazzo reale di Corfù. Ci furono molti morti, tra cui Sotirios Petrulas, militante dell’organizzazione “Lambrakis”.
La crisi politica durò a lungo. Novas dovette rinunciare all’incarico dopo tre settimane di tentativi senza trovare una maggioranza parlamentare, seguito dall’insuccesso analogo di Elias Tsirimokos.[2] A metà settembre Costantino affidò l’incarico a Stefanos Stefanopulos, che ottenne l’investitura grazie alla spaccatura dell’Unione di Centro, con quarantanove {quarantacinque} deputati che abbandonarono il partito di Papandreu, chiamati per questo gli “apostati” [3] e che fondarono un nuovo partito, il Centro Democratico Liberale (FIDIK). Il governo Stefanopulos resistette per quattordici mesi, dando le dimissioni nel dicembre 1966, seguito da un governo tecnico di Ioannis Paraskevopulos. Panayotis Kannelopulos, capo dell’ERE, fu l’ultimo incaricato di formare un nuovo governo, prima del colpo di stato del 21 aprile. A metà aprile sciolse le camere e indisse nuove elezioni per il 28 maggio 1967, considerate unanimemente l’unica via d’uscita dalla profonda instabilità politica.
Georgios Papandreou venne di nuovo arrestato al momento del colpo di stato dei colonnelli e morì un anno dopo, il 31 ottobre, nella sua abitazione, agli arresti domiciliari. Il 3 novembre circa trecentomila persone parteciparono ai suoi funerali, rappresentando la prima dimostrazione di massa contro la Giunta militare.
(20 marzo 2020)
Fonti:
Nerio Minuzzo, Quando arrivano i colonnelli Rapporto dalla Grecia, Milano, Bompiani, 1970
Dimitri Deliolianes, Colonnelli Il regime militare greco e la strategia del terrore in Italia, Roma, Fandango, 2019
Wikipedia, Georgios Papandreou, 1° marzo 2020
[1] Ena, Ena, Tessera. Era l’ultimo articolo della Costituzione, che faceva diretto appello al popolo a sollevarsi per difendere l’ordine costituzionale.
[2] Tsirimokos era esponente della sinistra moderata, dirigente dell’EAM durante la Resistenza, deputato dell’EDA e poi dell’Unione di Centro
[3] L’opera di corruzione dei deputati centristi più moderati fu finanziata da Tom Pappas, imprenditore greco-americano
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