Salì al trono ventiquattrenne, alla morte del padre Pavlos, nel 1964, senza nessuna effettiva conoscenza della realtà del paese. Non dotato di particolare intelligenza, fu circondato da consiglieri retrogradi e pericolosi, che gli rappresentarono una concezione anacronistica dell’istituto monarchico.
Educato a diffidare della politica ma a servirsene, concepì la corona come l’ago della bilancia, dove lo schieramento politico doveva essere diviso, il parlamento impotente e compensato da altri poteri, anche non costituzionali. Alle sue spalle vigilò la regina madre Federica [1], chiamata “l’uomo forte della monarchia”.
Appena salito al trono, il tentativo di ammodernamento e di riforme del governo Papandreu lo allarmò e spaventò, temendo di essere messo in discussione come re, se non di essere esautorato. Gli uomini più fedeli alla corona, i generali, i capi di stato maggiore, i ricchi armatori, i cortigiani tra cui il cappellano di corte e perfino l’ambasciatore americano, alimentarono questa sua preoccupazione.
Nell’aprile del 1967, in prossimità delle elezioni indette per il 28 maggio, dove era prevista una sconfitta della destra, Costantino II mise in piedi un progetto di golpe, da attuare sotto la supervisione del Capo di Stato Maggiore Grigorios Spandidakis. Il piano, chiamato in codice “Prometeo”, era stato elaborato in sede NATO, in previsione di uno scenario in cui le forze armate prendessero il potere per fronteggiare un’insurrezione comunista o l’occupazione del paese da parte degli eserciti del Patto di Varsavia. Era previsto che tutte le unità dell’esercito venissero automaticamente poste sotto il controllo diretto del Ministro della Difesa o del Capo di Stato Maggiore o del re.
Il 19 aprile 1967 Spandidakis aveva ricevuto il piano esecutivo dell’intervento militare, elaborato in quasi sei mesi dal colonnello dell’artiglieria Georgios Papadopoulos. Il giorno successivo Spandidakis riunì sei generali di brigata che concordarono sulla inevitabilità dell’intervento dell’esercito e decise di informare il re, per concordare con lui modi e tempi dell’azione.
Negli stessi giorni, se non nelle stesse ore, un altro gruppo di militari, di grado inferiore, composto anche di ufficiali che partivano dal grado di capitano e arrivavano fino a cinque galloni, capeggiato da Georgios Papadopulos, mise in atto il piano “Ierax”, coltivato in grande segreto, con le stesse motivazioni e con gli stessi scopi, ma senza coinvolgere il re e senza aspettare, come proponevano i generali, il responso delle urne.
Il 21 aprile 1967 alle ore 2,10 Costantino venne svegliato da una telefonata del segretario generale del Palazzo Reale, maggiore Mihail Arnaoutis, mentre si trovava nella sua residenza di campagna a Tatoi, a pochi chilometri da Atene. Il suo braccio destro, colonnello Konstantinos Kombokis, aveva aderito alla cospirazione e non fornì al sovrano nessun appoggio, né morale né materiale. In numerose telefonate, altri militari lealisti chiesero al re iniziative di contrasto ai golpisti, ma il re rispose sempre negativamente, fino al suo completo isolamento, sia logistico, essendo la sua residenza circondata dai militari e con le linee telefoniche interrotte, sia politico. Quando all’alba si presentò la troika che guidava i golpisti, l’unica concessione che Costantino strappò loro fu di potersi incontrare con il capo di Stato Maggiore Spandidakis, il quale era stato scavalcato nel golpe dai colonnelli, e con il quale si recò in auto ad Atene, dove prese atto di una situazione ormai definita in cui nessun militare era disposto ad ubbidirgli, anche se molti pensavano che lui fosse la mente del colpo di stato. I capi golpisti gli chiesero di avvallare un nuovo governo presieduto da Spandidakis e dopo il suo rifiuto, a seguito da un acceso incontro con Kannellopoulos, ancora detenuto, che lo invitò a resistere alle pressioni dei golpisti, decise di trattare, a condizione che il primo ministro fosse Konstantinos Kollias,[2] ex procuratore presso la Corte Suprema.
Durante i primi mesi della dittatura, si cercò da molte parti d’indurre il re a adoperarsi per una contromossa e l’occasione fu offerta dal tentativo di estendere un maggiore controllo sull’esercito da parte della Giunta militare, tramite un sistematico avvicendamento dei quadri. Costantino continuò a fidarsi di personaggi ormai isolati, privi di potere effettivo, come il generale Spandidakis, ex capo di stato maggiore e in quel momento ministro della Difesa, senza però essere un vero membro della Giunta. Inoltre sottovalutò la capacità di Papadopulos di conoscere le sue intenzioni, di sapere con anticipo tutte le sue macchinazioni, i suoi movimenti e contatti. Ma soprattutto sopravvalutò la fedeltà dell’esercito alla corona.
Il 13 dicembre 1967 scattò l’operazione reale, con la convocazione all’alba nella villa di Tatoi di tutti i personaggi implicati nel complotto, compreso il primo ministro Kollias. Alle dieci del mattino un lungo corteo di auto lasciò la villa reale con destinazione l’aeroporto di Tatoi, dove lo attendeva un aereo Grumman Gulfstream con il quale i re i suoi congiurati raggiunsero Kavalla, nella Macedonia orientale, quartier generale dell’operazione. A mezzogiorno il re fece trasmettere, dalla piccola stazione radio di Larissa un suo proclama, La Giunta, informata di tutte le sue mosse, aveva provveduto a tagliare tutte le comunicazioni con il nord della Grecia, per cui il proclama venne udito solo a Salonicco. Inoltre Costantino potè disporre solo di due divisioni, mentre il grosso delle forze armate dislocate nelle regioni settentrionali non si pose ai suoi ordini. Per tutto il pomeriggio Costantino si spostò in elicottero tra Kavalla, Komotini e Alexandropolis, tentando di contattare, senza riuscirsi, il 3 corpo d’armata di Salonicco. Ale 18 ritornò a Kavalla ormai senza speranze, anche perché nel frattempo erano stati arrestati i militari schierati a suo favore. Di notte la famiglia reale si diresse verso l’aeroporto e si imbarcò su un bimotore Hercules C130, con il primo ministro Kollias, Leonidas Papagos gran maresciallo di corte, il generale Konstantinos Dovas capo della missione militare, la bambinaia e il ginecologo di Anna Maria. All’alba del 14 dicembre l’areo atterrò a Ciampino e cominciò l’esilio di un re fino allora certamente poco amato ed ora unanimemente disprezzato.
Dal punto di vista istituzionale i golpisti escogitarono la formula ufficiale di un re che rimaneva capo dello Stato, ma che era “impossibilitato” ad esercitare le sue prerogative. Al suo posto venne nominato un viceré nella persona del generale Georgios Zoitakis, un generale doppiogiochista che aveva tenuto informato la Giunta di tutti i movimenti del re. La funzione di premier venne occupata dallo stesso Georgios Papadopulos, dal momento che Kollias era volato a Roma con il monarca.
A Roma Costantino prese contatti con Karamanlis ma le sue scarse capacità politiche e il suo atteggiamento incoerente nei confronti della Giunta dei colonnelli fecero fallire ogni intesa con l’ex premier.
Nell’agosto 1973 la proclamazione della Repubblica da parte di Papadopulos rese definitivamente il giovane Costantino un ex re.
(20 marzo 2020)
Fonti:
Nerio Minuzzo, Quando arrivano i colonnelli Rapporto dalla Grecia, Milano, Bompiani, 1970
Dimitri Deliolianes, Colonnelli Il regime militare greco e la strategia del terrore in Italia, Roma, Fandango, 2019
[1] Nata in Germania, nipote dell’ultimo Kaiser., militante della Gioventù Hitleriana. Per la sua origine e per le sue simpatie naziste, non fu mai accettata dalla famiglia reale inglese, nonostante quest’ultima sostenesse la monarchia greca e non le fu mai permesso, durante la Seconda guerra mondiale, di visitare la Gran Bretagna e fu tenuta relegata in Sud Africa. Autoritaria e arrogante, nei suoi diciassette anni di regno, commise una quantità inverosimile di abusi, guadagnandosi l’odio dei suoi sudditi e la diffidenza dei politici, compreso lo stesso Karamanlis. Portata all’intrigo, coinvolta in molti discutibili affari, sicura di una totale immunità, trasformò la residenza di Tatoi in un covo di estremisti senza scrupoli, ermeticamente chiuso a tutto quello che avveniva fuori di esso. Fin dal 1963 riuscì a diventare l’interlocutrice principale del capostazione della CIA ad Atene Jack Maury, all’insaputa del governo greco e anche dello stesso Dipartimento di Stato americano.
[2] Al tempo del delitto Lambrakis era procuratore generale dello Stato e in quella veste si recò personalmente a Salonicco per persuadere e poi intimidire il giudice Crhistos Sartzetakis, titolare delle indagini, al fine di fermare l’istruttoria. Durante il governo Papandreu aveva per questo, subito una sospensione infamante. Ambizioso e intrigante contò sempre su forti protezioni, soprattutto presso la regina Federica, che lo impose, tramite il figlio Costantino, il giorno stesso del colpo di stato, quale titolare politico della dittatura. Nel dicembre 1967 si schierò con il re nel fallito tentativo di liquidare la Giunta Militare, salì con lui nell’aereo fino a Roma, per poi tornarsene ad Atene. In cambio del suo pentimento, anziché essere ripristinato bel suo ruolo di procuratore generale, fu mandato in pensione.
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