17 novembre 2020 L’Umbria di mezzo

Il declino dell’Umbria è ormai difficilmente contestabile. Si evidenzia con la crisi economico finanziaria del 2008 e precipita con la pandemia da coronavirus, favorita dall’isolamento territoriale, dalla ristretta dimensione demografica, dal contrarsi del settore produttivo, dalla fragilità del welfare, dall’inadeguatezza del ceto politico.
Un antidoto sembra essere la nascita delle macroregioni, una soluzione politico amministrativa che tende ad aggregare territori contigui, affini sul piano economico e sociale, ma che devono condividere una dimensione contenuta, abbandonando suprematismi e pretese gerarchiche. Questa soluzione si scontra, nell’Italia di mezzo, con la presenza ingombrante di due regioni che già sono a tutt’oggi, per storia e dimensioni, macroregioni: la Toscana e il Lazio. Rimangono le Marche e, al netto di campanilismi e differenziazioni socio economiche, gli Abruzzi e il Molise.
Una soluzione più credibile sembra essere l’integrazione più ampia possibile tra territori attraverso il potenziamento di due fattori fondamentali per la fondazione di una comunità: i mercati e le infrastrutture di collegamento.
Per mercati vanno intese le moderne piattaforme logistiche di scambio e cessione di beni e servizi, a partire dalle grandi fiere commerciali, dagli ospedali di eccellenza, dai centri servizi di comunità, dalle scuole superiori, dalle centrali informative e informatiche. Una volta tolti dalla sovranità solo regionale e inseriti in reti maggiormente diffuse e fruibili, potrebbero non solo potenziarsi ma diventare volani di sviluppo economico e sociale per territori contigui e affini.
L’altro elemento di integrazione sono i collegamenti, stradali, ferroviari, aerei.
Senza richiamare l’importanza che per parte dell’Umbria hanno avuto nel tempo la consolare Flaminia, il corridoio amerino, i raccordi autostradali e ferroviari e la superstrada E45, quanto costa all’Umbria e alle regioni vicine il mancato completamento del “quadilatero umbro-marchigiano”, il non cantieramento del tratto umbro della E78 DueMari, la gestione dissattenta dell’aeroporto San Francesco, il quasi abbandono della Ferrovia Centrale Umbra? Quest’ultima dispone di un progetto Ue con il supporto di altri soggetti per il ripristino, a trazione idrogeno, della tratta Arezzo-Sulmona passando per Città di Castello, Perugia, Terni, Rieti, L’Aquila, finanziabile con il Recovery Fund. Sarebbe l’occasione non solo per aprire cantieri nell’immediato futuro ma per collegare e integrare territori ancora lontani, favorendo scambi e relazioni sociali ed economiche vitali per il rilancio delle aree interne della penisola, anziché baloccarsi con l’Alta Velocità ferroviaria, impraticabile ai più per i costi e gli orari.
L’Umbria non è autosufficiente, come, per calcolo politico, qualcuno ancora afferma, come non lo è nessun altra regione italiana, ha bisogno di uno stato che indirizzi e coordini le diverse autonomie locali, finanziando beni comuni e promuovendo iniziative di sviluppo condivise dagli enti locali, ma soprattutto dai cittadini di quei territori.

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