Perugia poteva rivendicare, in un passato non molto
remoto, un ruolo di metropoli, nel senso di città madre, non solo in Umbria ma
in larga parte dell’Italia centrale, esclusi i due poli di Firenze e Roma.
Poteva rivendicarlo sulla base di tre elementi: un tessuto industriale di alto
livello qualitativo e quantitativo, con in testa la Perugina, leader mondiale
del settore dolciario; la presenza dell’Università degli Studi e
dell’Università per Stranieri; la capacità di attrarre abitanti e residenti per
la qualità della vita e per l’offerta di servizi.
Tutti questi tre elementi sono stati negli ultimi anni se non ridimensionati
addirittura azzerati.
A partire dal tessuto produttivo, con la Perugina relegata a fabbrica
periferica di una multinazionale interessata solo a mantenere posizioni di
nicchia nel mercato internazionale e quindi disinteressata a ricerca e sviluppo
tecnologico.
Le due università vivono una crisi profonda di iscritti e mancano di seri
progetti accademici, in grado di rilanciare sè stesse e la città sul piano
culturale ed economico, nonostante la grande credibilità maturata nel passato
sul piano nazionale e internazionale.
Rimane una massa critica di oltre 160.000 persone, tra residenti e abitanti,
dispersi in una area urbana vasta e disomogenea, policentrica e sbilanciata,
con una identità sfumata e incerta.
Perugia ha perso la qualità del suo costruito, che andava riqualificato, non
affidandosi al mercato ma a precise scelte programmatorie, facendo leva sulla
mobilità alternativa, di cui Perugia era stata antesignana con le scale mobili
e il minimetrò, in grado di ridisegnare il tessuto urbanistico e con esso la
qualità della vita di migliaia di cittadini.
Il Trasporto pubblico, gli asili nido, le scuole materne, le case della salute,
gli sportelli di cittadinanza, il tutoraggio sociale, la vigilanza (non
polizia) urbana, sono derubricati a centri di costo e non considerati fattori
di sviluppo, strumenti anche della tutela, della inclusione e della sicurezza,
antidoti alla rabbia e alla disperazione. Tra i servizi sociali va intesa anche
l’offerta commerciale, vero e proprio spazio sociale, indicatore di vitalità e
salubrità urbana. Su questo terreno si gioca la partita fondamentale della
giustizia sociale e del “risarcimento” di strati sociali deboli e impoveriti
dalla crisi sanitaria ed economica prodotta dalla pandemia.
Se Perugia non si affidasse alla tutela dell’esistente, ma al suo incremento,
qualitativo e quantitativo, potrebbe recuperare un ruolo egemone (in senso
gramsciano) in Umbria e nell’Italia di mezzo.
Sono problemi aperti, sicuramente di difficile soluzione, ma bisognosi di
maggiore determinazione politica e di rinnovata capacità di innovazione
tecnica.
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