La morte per droga di due minorenni a Terni sta creando sconcerto e allarmismo, ma non nelle istituzioni. I due ragazzini non sembravano essere dei marginali, dei reietti, accolti e non rifiutati dalle forme di socialità esistenti, attivate dalle società sportive, dal volontariato, dalle parrocchie. Una socialità di giornata, che non andava comunque oltre l’oggi, incapace di proiettarsi nel futuro e per questo inadeguata a contrastare la cultura dello sballo, della trasgressione gratuita, del rifiuto di regole sempre più deboli.
In un contesto in cui sembra che gli italiani siano concentrati a ristabilire la cosiddetta normalità del pre covid, senza alcuna preoccupazione se non per i parametri economici, come se la situazione economica e sociale prima della pandemia da coronavirus fosse ottimale e non sia necessario, oggi, riproporre cambiamenti profondi e significativi. Non basta insistere sull’adozione di misure di protezione individuale e sul distanziamento sociale, adottate largamente fino al limite dell’esorcismo, ma ribadire la necessità di un diverso modo di produrre, di costruire, di socializzare, all’interno di una progettualità che vada oltre il presente.
La scuola, contenitore di aspettative e di speranze giovanili, azzerata come comunità educante dalla pandemia, lasciata ai margini dell’agenda politica, come tutto quello che è pubblico in Italia, è oggetto di attenzioni sporadiche e occasionali, valutando più la sua idoneità come spazio “sanificato” per futuri confronti elettorali che come luogo di crescita culturale e di maturazione sociale.
La famiglia, rarefatta e isolata socialmente, smarrita e impotente rispetto all’evolversi rapidissimo di conoscenze e comportamenti, rischia di essere ormai luogo di trasmissione di disvalori e dismissioni affettive, stretta tra permissivismo e autoritarismo, incapace di accompagnare i giovani al raggiungimento delle naturali tappe evolutive.
I servizi socio assistenziali sono penalizzati, in una programmazione ancora differenziata tra sanitaria e sociale, rispetto ai presidi ospedalieri, all’attività diagnostica strumentale, alle terapie farmacologiche, considerando la parola, il colloquio, l’ascolto, forme marginali di cura e di assistenza, troppo costose e poco produttive.
Le forme specialistiche, quando sono attivate, sono valutate solo per i costi di gestione, anche perché la valutazione di efficacia richiederebbe energie, competenze e volontà a tutt’oggi inesistenti.
L’appiattimento sul presente e l’indifferenza per il futuro non sono destinati a colpire solo le fasce giovanili, ma anche gli anziani e gli adulti. Quando l’aspettativa di vita si riduce e con essa la speranza di una buona qualità di vita, se non si è interattivi, se non si vive pienamente una dimensione sociale significativa, la solitudine e la depressione rischiano di essere l’unica dimensione esistenziale. Ad esse non si contrappongono le chiacchiere da bar, la panchina ai giardinetti, gli orti “sociali”, ma l’inserimento in un progetto di cambiamento radicale, che non riproponga lo stato di cose esistenti e che pretenda soggettività, esperienza e competenza.
Capire i bisogni e sollecitare domande dei cittadini, nelle loro peculiarità e specificità di genere e di età è un compito dell’oggi, ma dare risposte, anche ridimensionando le aspettative, è un compito del futuro.
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