Uno stato non è tale solo perché ha una bandiera, un inno
nazionale, un capo più o meno eletto democraticamente, un riconoscimento
diplomatico esteso e dei confini amministrativi, ma soprattutto perché
garantisce il pieno riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali dei
propri cittadini. Questo riconoscimento deve avvenire indipendentemente dal
Prodotto Interno Lordo, perché se non dispone delle risorse necessarie alla
garanzia dei diritti, non è una entità statuale legittima e accettabile,
nonostante proclami una sovranità territoriale, disponga di un esercito in armi
per difenderlo, rivendichi una produzione nazionale di beni e ostenti una
simbologia identitaria.
Il diritto alla salute, all’istruzione, all’informazione, al lavoro, alla
mobilità, alla inviolabilità della persona vanno garantiti a tutti e comunque,
destinando ad essi le risorse indispensabili ed apparati istituzionali che li
tuteli. Se non è possibile, per la mancanza di risorse e per l’assenza di una
organizzazione specifica, lo stato non esiste, al massimo è un protettorato,
privo di effettiva sovranità, o uno stato fantoccio, in cui la cosa pubblica è
poca cosa, un ostacolo ad investimenti e speculazioni di altri, alla libera
iniziativa di finanzieri e faccendieri, ben tutelati e protetti da un ordine
internazionale che intende prescindere da diritti, soprattutto se universali.
Ma soprattutto è privo di una identità certa e di un diffuso senso di
appartenenza, non essendo né certa né diffusa la consapevolezza di poter
usufruire di servizi pubblici, senza pietirli né acquisirli subdolamente.
L’orgoglio degli italiani non risiede tanto nel tricolore o nell’inno di
Mameli, nelle Frecce Tricolori o nella sfilata del 2 giugno, quanto nella
professionalità degli operatori socio sanitari, nella competenza degli
insegnanti, nell’efficacia della solidarietà pubblica e privata,
nell’autorevolezza delle istituzioni, nella certezza dei diritti.
Quest’orgoglio va alimentato, supportando il Servizio Sanitario Nazionale, la
scuola pubblica, l’Università statale, l’informazione radiotelevisiva pubblica,
la rete del Terzo Settore, il Trasporto Pubblico Locale, l’ordine pubblico,
rafforzando le assemblee elettive e gli organismi rappresentativi, difendendo
autonomia e pluralità dei poteri, garantendo servizi universali e non
assistenza temporanea e contingente.
Anche degli imprenditori gli italiani possono essere orgogliosi, ma di quelli
che rischiano capitali e posizioni sociali, che contribuiscono alla
ridistribuzione della ricchezza, che investono in ricerca e innovazione, che
favoriscono occupazioni e retribuzioni, lontani da speculazioni puramente
finanziarie.
Così si può essere orgogliosi del Made in Italy, ma non perché è fatto in
Italia o con prodotti puramente italiani, ma perché è funzionale allo sviluppo
sostenibile del paese, senza per questo essere autarchico o esclusivo, nel
senso letterale del termine, che cioè non escluda il contributo e il concorso
di altre culture.
Altrimenti anziché essere orgogliosi gli italiani possono essere contenti di
esserlo, per le ricchezze storiche e culturali, per i saperi diffusi, per le
testimonianze di un incredibile passato, per le tante scoperte e le geniali
invenzioni.
Ma anche e solo per essere contenti c’è la necessità della tutela e del
supporto di tutto questo.
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