Da sempre, da quando cioè
l’Homo sapiens vive in forme organizzate, e in ogni angolo del pianeta terra,
l’uomo (o la donna) che assume il potere, anche in modi illegittimi e
sanguinari, deve essere credibile, per poter esercitare una leaderschip
duratura. La credibilità non è tanto l’essere super partes, quanto essere
identificato nelle istituzioni che rappresenta, anche quelle costruite a sua
misura, perché nell’immaginario collettivo venga percepito in maniera altra
dalla sua persona e dai suoi convincimenti.
Non gli si chiede di rinunciare alla sua visione del mondo ma di saper
interpretare i bisogni, le domande, le aspettative della maggior parte dei suoi
concittadini, al di là delle loro preferenze politiche, in quanto gli si
riconosce capacità di ascolto e competenze comunicative, nè ingannevoli nè
fuorvianti. Se gli si riconosce la capacità di individuare le opportunità
migliori, le soluzioni ottimali se non per tutti almeno per la stragrande
maggioranza, è una “autoritas”, un vero presidente della repubblica, cioè il
capo indiscusso per la gestione della cosa pubblica.
In alternativa può essere autoritario, cioè imporre i propri voleri grazie ai
poteri di cui dispone, forzando le decisioni, scegliendo di essere il capo di
una parte, di una fazione se non di una consorteria, vanificando le possibilità
di controllo del proprio operato, azzerando le critiche, demonizzando le
opposizioni.
Donald Trump è oggi un presidente che ha perso autorevolezza e che sta
trascinando verso uno stallo autoritario il proprio paese. Incapace di
fronteggiare la pandemia da coronavirus, che ha fatto degli USA il paese con
più contagiati e più morti nel mondo e l’epidemia, forse più pericolosa e
aggressiva, della discriminazione razziale, ha scelto di non essere più il
presidente di tutti gli americani, ma il capo divisivo di una comunità,
negandola come tale, disarticolandola e frammentandola. Anziché riconoscere gli
abusi, perseguire i colpevoli, accertare la verità, almeno giudiziaria, cioè il
pieno recupero della autorevolezza delle istituzioni democratiche, ha soffiato
sul fuoco, criminalizzando le opposizioni, negando di fatto le discriminazioni,
come aveva fatto con il covid 19, minimizzando la gravità della crisi sia
sanitaria che sociale, invocando l’intervento dell’esercito e auspicando misure
drastiche di repressione, quasi auspicando una guerra civile.
Eppure avrebbe tela da tessere, reso forte dalla debolezza degli avversari
democratici.
Le manifestazioni violente di questi giorni stanno infatti evidenziando la poca credibilità
dell’opposizione democratica, perché il disagio e la frustrazione che
alimentano questa rabbia sociale, non hanno trovato possibilità di espressione
e di riconoscimento nella dialettica politica e nella proposta di un programma
alternativo alla destra repubblicana.
Ma per farlo dovrebbe riconoscere sul piano sanitario la necessità di un
sistema sanitario pubblico e di uno stato previdenziale (contro cui è stato
eletto) e il nuovo protagonismo sociale e politico delle cosiddette minoranze
etniche (che tali non sono più) a scapito della cultura WHASP, di cui Trump è
l’espressione più coerente e funzionale.
Niente di tutto questo è nelle sue possibilità e volontà.
Spetta agli americani (di tutto il mondo, non solo i cittadini USA) decidere se
avere un presidente autorevole o accettare una democratura.
Novembre è vicino (per gli elettori USA).
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