2 giugno 2020 Aurorevolezza vs democratura

Da sempre, da quando cioè l’Homo sapiens vive in forme organizzate, e in ogni angolo del pianeta terra, l’uomo (o la donna) che assume il potere, anche in modi illegittimi e sanguinari, deve essere credibile, per poter esercitare una leaderschip duratura. La credibilità non è tanto l’essere super partes, quanto essere identificato nelle istituzioni che rappresenta, anche quelle costruite a sua misura, perché nell’immaginario collettivo venga percepito in maniera altra dalla sua persona e dai suoi convincimenti.
Non gli si chiede di rinunciare alla sua visione del mondo ma di saper interpretare i bisogni, le domande, le aspettative della maggior parte dei suoi concittadini, al di là delle loro preferenze politiche, in quanto gli si riconosce capacità di ascolto e competenze comunicative, nè ingannevoli nè fuorvianti. Se gli si riconosce la capacità di individuare le opportunità migliori, le soluzioni ottimali se non per tutti almeno per la stragrande maggioranza, è una “autoritas”, un vero presidente della repubblica, cioè il capo indiscusso per la gestione della cosa pubblica.
In alternativa può essere autoritario, cioè imporre i propri voleri grazie ai poteri di cui dispone, forzando le decisioni, scegliendo di essere il capo di una parte, di una fazione se non di una consorteria, vanificando le possibilità di controllo del proprio operato, azzerando le critiche, demonizzando le opposizioni.
Donald Trump è oggi un presidente che ha perso autorevolezza e che sta trascinando verso uno stallo autoritario il proprio paese. Incapace di fronteggiare la pandemia da coronavirus, che ha fatto degli USA il paese con più contagiati e più morti nel mondo e l’epidemia, forse più pericolosa e aggressiva, della discriminazione razziale, ha scelto di non essere più il presidente di tutti gli americani, ma il capo divisivo di una comunità, negandola come tale, disarticolandola e frammentandola. Anziché riconoscere gli abusi, perseguire i colpevoli, accertare la verità, almeno giudiziaria, cioè il pieno recupero della autorevolezza delle istituzioni democratiche, ha soffiato sul fuoco, criminalizzando le opposizioni, negando di fatto le discriminazioni, come aveva fatto con il covid 19, minimizzando la gravità della crisi sia sanitaria che sociale, invocando l’intervento dell’esercito e auspicando misure drastiche di repressione, quasi auspicando una guerra civile.
Eppure avrebbe tela da tessere, reso forte dalla debolezza degli avversari democratici.
Le manifestazioni violente di questi giorni stanno infatti  evidenziando la poca credibilità dell’opposizione democratica, perché il disagio e la frustrazione che alimentano questa rabbia sociale, non hanno trovato possibilità di espressione e di riconoscimento nella dialettica politica e nella proposta di un programma alternativo alla destra repubblicana.
Ma per farlo dovrebbe riconoscere sul piano sanitario la necessità di un sistema sanitario pubblico e di uno stato previdenziale (contro cui è stato eletto) e il nuovo protagonismo sociale e politico delle cosiddette minoranze etniche (che tali non sono più) a scapito della cultura WHASP, di cui Trump è l’espressione più coerente e funzionale.
Niente di tutto questo è nelle sue possibilità e volontà.
Spetta agli americani (di tutto il mondo, non solo i cittadini USA) decidere se avere un presidente autorevole o accettare una democratura.
Novembre è vicino (per gli elettori USA).

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