Con buona pace dei leghisti si deve parlare di Lombardia,
non per polemica politica ma per capire che cosa non ha funzionato in quel
territorio, visti i dati di morbilità e mortalità particolarmente evidenti
durante la pandemia da coronavirus. La scienza, si dice, procede per tentativi
ed errori, ma gli errori vanno ammessi per essere riconosciuti e studiati.
L’analisi di come il modello sanitario lombardo abbia reagito di fronte al
Covid 19 appare fondamentale per capire quale debba essere l’organizzazione dei
servizi e la loro strumentazione di fronte non solo alle emergenze sanitarie,
ma agli eventi ordinari che minacciano la salute dei cittadini.
In particolare vanno affrontate alcune questioni:
1. Quale è il ruolo della medicina di base nel garantire la tutela e la difesa
della salute? Alla medicina generalista non va riconosciuto un compito
importante nel prevenire e nell’affrontare tempestivamente un evento patologico
di massa, vista la sua capillarità territoriale e di essere in grado di
attivare una cosiddetta “medicina di iniziativa”, rispetto alla “medicina di
attesa”, caratteristica dell’assistenza sanitaria ospedaliera e specialistica?
2. La medicina specialistica non va vista come complementare e non alternativa
a quella generalista, a condizione che le sue eccellenze riguardino la totalità
della capacità di risposta sanitaria, non solo quelle prestazioni altamente
remunerative sul piano economico, perché esclusive e ad alta tecnologia?
3. In questo panorama non è centrale nell’organizzazione sanitaria il ruolo del
sistema dell’emergenza, per affrontare non solo le malattie cosiddette “tempo
dipendenti” (infarto, ictus, grandi traumi), ma anche patologie fino a ieri
sottostimate, come quelle infettive? E non è importante che tra le eccellenze ospedaliere
vadano considerati anche i Dipartimenti Emergenza Accettazione (DEA), che non
si limitino al solo pronto soccorso, ma che dispongano anche di una efficiente
centrale operativa attiva H24, di una diffusa rete di ambulanze e automediche e
di un sistema di servizi sempre attivi, tra cui rianimazione e chirurgia
d’urgenza?
4. La medicina privata è complementare o alternativa al Servizio Sanitario
Nazionale? E va intesa solo quella profit, o anche quella rappresentata dal
Terzo settore, cioè l’insieme di volontariato, associazionismo e impresa no
profit, che si è rivelata fondamentale nell’offrire assistenza sanitaria
durante l’epidemia di coronavirus, anche e soprattutto in Lombardia? Senza
dimenticare che anche i medici di base sono liberi professionisti, non
dipendenti dal SSN ma ad esso convenzionati.
5. Il privato può agire per nome e per conto del Servizio Sanitario Nazionale?
Per farlo non è indispensabile il possesso di requisiti organizzativi,
funzionali ed operativi che lo autorizzino ad esercitare una attività
sanitaria, che lo accreditino se dotati di requisiti ulteriori e che gli
permettano di accordarsi col sistema pubblico, per esserne parte integrante?
Non è la tecnostruttura regionale, titolare del SSN decentrato a livello
territoriale, l’ente che rilascia autorizzazioni e accreditamenti e verifica
che gli accordi siano coerenti con il possesso dei requisiti richiesti e con la
programmazione regionale?
Queste ed altre questioni vanno poste non solo in Lombardia, ma in tutte le
regioni italiane.
Lo impone il rispetto per i morti, l’etica professionale, l’onestà
intellettuale e la buona politica.
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