Il termine welfare state, che tradotto letteralmente
significa stato del benessere, sta a significare stato sociale, cioè uno Stato
che decide il trasferimento di una quota di reddito, prelevato attraverso il
sistema fiscale, dalle famiglie più agiate ad una parte della popolazione meno
agiata, nell’ambito di un disegno di equità sociale, per compensare una
evidente sperequazione e ingiustizia sociale.
Questo trasferimento può avvenire attraverso il sistema previdenziale
e/o attraverso altre forme di garanzia sociale e di tutela, come i servizi
pubblici, disponibili per tutti e a tutti accessibili. Ne è un esempio il
Servizio Sanitario Nazionale, ma anche la pubblica Sicurezza, la Scuola
pubblica, il sistema dei pubblici trasporti.
Per molti lo Stato, oltre che malvisto come “datore di lavoro in ultima
istanza”, garante della piena occupazione, intesa come la possibilità di avere
un lavoro remunerato e a tempo pieno, adatto alle proprie aspirazioni e
competenze, non dovrebbe neanche garantire un welfare sociale, considerato
troppo costoso e complesso sul piano burocratico, ma limitarsi a fornire
sussidi, a integrazione e/ o sostituzione del reddito mancante per
disoccupazione o catastrofi ambientali o pandemie. Di qui le proposte di
reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, reddito minimo di sussistenza,
reddito da quarantena, tutti con l’obiettivo di fornire una protezione
economica a quanti non sono in grado di garantirsi un reddito da lavoro e sono
malamente protetti dal sistema di welfare, fino ad ipotizzare un reddito di
base incondizionato, universale e permanente, da distribuire direttamente sui
conti bancari dei cittadini.
Non il potenziamento e l’allargamento dello stato sociale, ma il suo
ridimensionamento, con ulteriori tagli e privatizzazioni, per non pesare
ulteriormente sulla fiscalità generale, che così alleggerita, potrebbe far
fronte a misure di tutela e protezione in termini monetari sia di individui che
di gruppi sociali, tenendo alla larga ogni provvedimento di riforma fiscale in
senso progressivo.
E’ la declinazione in chiave populista del welfare, inteso come stato
assistenziale e non come stato dei servizi, non più considerati una vera
integrazione del reddito, ma un semplice centro di costo, nonostante grandi
interessi economici e intere filiere produttive si basino su di essi.
Alla base c’è l’accettazione di un sistema sociale ed economico che non è più
in grado di garantire la piena occupazione e uno sviluppo sostenibile, incapace
di garantire benessere materiale e morale, che punta a giustificare se non
legalizzare sfruttamento e disuguaglianze, facendone occasione di profitto e di
rendita per pochi privilegiati, disinteressandosi delle sorti del pianeta e
delle specie che lo abitano, visto che il mondo conosciuto non è più considerato
come il luogo che ospita comunità diverse e differenziate, ma essenzialmente
spazi commerciali, zone di influenza, ambiti territoriali per produzioni
intensive e relative discariche.
Non tutte le proposte di reddito di cittadinanza e di reddito di base incondizionato tendono a esautorare lo stato sociale o welfare state, anzi. Eviterei scorciatoie semplicistiche per una questione così complessa.
Vedi in proposito:
https://www.bin-italia.org/
https://www.ribalta.info/special/il-reddito-di-base/
https://www.morlacchilibri.com/universitypress/Ugo%20Carlone%20Reddito%20per%20tutti-969.html