8 maggio 2020 Stato assistenziale o stato dei servizi?

Il termine welfare state, che tradotto letteralmente significa stato del benessere, sta a significare stato sociale, cioè uno Stato che decide il trasferimento di una quota di reddito, prelevato attraverso il sistema fiscale, dalle famiglie più agiate ad una parte della popolazione meno agiata, nell’ambito di un disegno di equità sociale, per compensare una evidente sperequazione e ingiustizia sociale.  Questo trasferimento può avvenire attraverso il sistema previdenziale e/o attraverso altre forme di garanzia sociale e di tutela, come i servizi pubblici, disponibili per tutti e a tutti accessibili. Ne è un esempio il Servizio Sanitario Nazionale, ma anche la pubblica Sicurezza, la Scuola pubblica, il sistema dei pubblici trasporti.
Per molti lo Stato, oltre che malvisto come “datore di lavoro in ultima istanza”, garante della piena occupazione, intesa come la possibilità di avere un lavoro remunerato e a tempo pieno, adatto alle proprie aspirazioni e competenze, non dovrebbe neanche garantire un welfare sociale, considerato troppo costoso e complesso sul piano burocratico, ma limitarsi a fornire sussidi, a integrazione e/ o sostituzione del reddito mancante per disoccupazione o catastrofi ambientali o pandemie. Di qui le proposte di reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, reddito minimo di sussistenza, reddito da quarantena, tutti con l’obiettivo di fornire una protezione economica a quanti non sono in grado di garantirsi un reddito da lavoro e sono malamente protetti dal sistema di welfare, fino ad ipotizzare un reddito di base incondizionato, universale e permanente, da distribuire direttamente sui conti bancari dei cittadini.
Non il potenziamento e l’allargamento dello stato sociale, ma il suo ridimensionamento, con ulteriori tagli e privatizzazioni, per non pesare ulteriormente sulla fiscalità generale, che così alleggerita, potrebbe far fronte a misure di tutela e protezione in termini monetari sia di individui che di gruppi sociali, tenendo alla larga ogni provvedimento di riforma fiscale in senso progressivo.
E’ la declinazione in chiave populista del welfare, inteso come stato assistenziale e non come stato dei servizi, non più considerati una vera integrazione del reddito, ma un semplice centro di costo, nonostante grandi interessi economici e intere filiere produttive si basino su di essi.
Alla base c’è l’accettazione di un sistema sociale ed economico che non è più in grado di garantire la piena occupazione e uno sviluppo sostenibile, incapace di garantire benessere materiale e morale, che punta a giustificare se non legalizzare sfruttamento e disuguaglianze, facendone occasione di profitto e di rendita per pochi privilegiati, disinteressandosi delle sorti del pianeta e delle specie che lo abitano, visto che il mondo conosciuto non è più considerato come il luogo che ospita comunità diverse e differenziate, ma essenzialmente spazi commerciali, zone di influenza, ambiti territoriali per produzioni intensive e relative discariche.

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