Dicono che dopo la pandemia da coronavirus niente sarà
come prima. In parte sarà cosi, ma tanti proveranno a vivere come e quando il
virus non minacciava le loro vite, facendo finta che niente sia successo
Speriamo che tra questi non ci sia il governo e la maggioranza politica che lo
sostiene, perché il paese ha bisogno di profondi cambiamenti, per compensare i
danni e per prevenirne di nuovi, sia sul piano economico che su quello sociale.
A partire dalla sanità pubblica che va considerata il vero ed unico presidio
contro minacce alla salute dei cittadini, supportata da volontariato,
associazionismo e impresa no profit, passando per la scuola pubblica, antidoto
all’ignoranza dilagante e alla perdita di competenze e capacità, per finire
all’informazione pubblica, soprattutto radio televisiva, in tempi di fake news
e di profondo condizionamento delle coscienze da parte della comunicazione
indiretta e mediata. Per non parlare dell’economia, che ha bisogno di un nuovo
modello di sviluppo, possibile anche grazie all’innovazione tecnologica e
necessario per il depauperamento del pianeta, e del sistema finanziario, forte
con i deboli e fragilissimo nel compensare le profonde disuguaglianze e
ingiustizie sociali.
Tutto questo, e non solo, rischia di essere oscurato dalla nuova emergenza: la
ricostruzione, la fase successiva al superamento della crisi sanitaria, il
cosiddetto piano B.
Ripartiranno alla grande i consumi, ma quelli effimeri, alla portata della
magrezza degli stipendi e delle pensioni degli italiani: i generi alimentari,
l’abbigliamento, le vacanze, la tecnologia informatica, ma non l’acquisto di
nuove case o la ristrutturazione di quelle esistenti, gli investimenti nel
commercio o nella piccola produzione artigiana o industriale, il sostegno a
nuove forme di protagonismo sociale contro la desertificazione dei centri
storici e la perdita di servizi di prossimità.
Ripartirà lo sport professionistico, ma per molti mesi con le tribune vuote degli
stadi, dei palasport, dei palazzi del ghiaccio, la visione degli avvenimenti
sportivi monopolizzata ormai definitivamente dalle televisioni. Come rimarranno
vuote le palestre, gli oratori, i campetti di periferia, i luoghi di una
attività sportiva amatoriale e disinteressata, snobbata dagli sponsor e
abbandonata dagli enti pubblici.
Saranno gli ultimi a riaprire, se riapriranno, bar e ristoranti, i veri luoghi
dell’aggregazione civile, penalizzati dal distanziamento sociale, che si
prolungherà ancora per mesi, forse fino all’avvento del vaccino.
Scompariranno i servizi di prossimità, non le farmacie, ma le edicole e il
commercio al minuto, sopraffatto dalla disparità qualitativa e quantitativa con
la grande distribuzione, l’unica che sarà in grado di riprendersi dalla crisi
pandemica.
Saranno azzerati i viaggi all’estero, magari in luoghi esotici e lontani, per
le barriere tra stati di nuovo in vigore, per i costi maggiorati dei trasporti,
per la ristrettezza dei bilanci familiari, per la paura del contagio.
Subirà un colpo mortale la cultura, per la chiusura di cinema, teatri e musei,
compresi quelli diffusi, rappresentati dalle città e dai borghi italiani. Senza
la loro frequentazione, libera e spontanea, rimarrà quella, indotta e
obbligata, della televisione, ormai l’unico luogo di intrattenimento e di
acculturazione degli italiani, sedotti dalla sua immediata fruibilità e
rassegnati ormai a rimanere in casa.
Ma, soprattutto, permarrà la paura dell’altro, non più visto come
extracomunitario, diverso per etnia e cultura, ma come possibile fonte di
contagio virale, sia esso vicino di casa, o collega di lavoro o compaesano. Chi
salirà con tranquillità sui mezzi di trasporto pubblico, chi parteciperà con
indifferenza a feste e eventi pubblici, chi abbraccerà con calore un amico o
un’amica?
Quando torneranno gli abbracci e con essi la tranquillità e la sicurezza?
Fra le stucchevoli “ognuno dice la sua”, questa mi sembra un’ottima riflessione, del tutto condivisibile anche come proiezione di ciò che sarà bene fare