31 marzo 2020 Una sfida del dopo virus

Quando si afferma che la salute non è una merce e che la sua tutela e promozione, non il profitto, è la “mission” del Servizio Sanitario Nazionale, non si nega che la cosiddetta “filiera sanitaria”, sia un bene comune da difendere ed accrescere.
Si sta affermando una concezione del benessere individuale con un indebolimento dei confini tradizionali tra sanità, benessere psico-fisico e sociale e una conseguente trasformazione delle connessioni tra settore sociale, socio sanitario e sociale.
Lo stesso invecchiamento della popolazione produce un aumento significativo della quota di popolazione anziana, pensionata e in buone condizioni di salute, che ha tempo e risorse da dedicare al mantenimento psicofisico. 
L’invecchiamento, la correlata crescente diffusione di patologie croniche, il riacutizzarsi di patologie infettive, richiede altresì una forte interdipendenza tra sanità e sociale.
Di fronte a questo scenario, anche se le aziende sanitarie possono ulteriormente concentrarsi sulla prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione, sarà sempre più difficile costruire chiari confini di competenze e responsabilizzazioni finanziarie tra sanità e sociale. Le istituzioni pubbliche dovranno sempre più cercare di individuare, organizzare e gestire le interdipendenze tra sociale e sanitario e, pur nella differenza dei sistemi e dei rispettivi finanziamenti, dovranno sviluppare forme rilevanti di integrazione, quali, ad esempio, una programmazione socio-sanitaria regionale e locale, punti unici di accesso ai servizi, allocazioni logistiche comuni.
La cosiddetta “industria della salute” ha visto e vedrà pertanto un rilevante ampliamento dei suoi confini ed allora è necessario presidiare strategicamente tale settore, definendone indirizzi e sviluppi.
E’ un bene economico che comprende un sistema complesso di aree fortemente interconnesse tra loro, che va ben al di là degli ospedali, delle aziende sanitarie, delle farmacie, dei professionisti. I sistemi sanitari non forniscono solamente assistenza in caso di malattia, ma sono parte di un sistema economico sociale complessivo, all’interno del quale contribuiscono ad attivare considerevoli effetti distributivi e ridistributivi.
In questo contesto appare necessario anche ridefinire o confermare la “mission” del SSN, il quale dovrà comunque garantire la produzione diretta delle prestazioni sanitarie, enfatizzando la “Medicina Basata sull’Evidenza”, l’appropriatezza delle cure e il governo clinico e migliorando l’efficienza produttiva, ma dovrà sempre più assumere una “mission” di governo dei consumi sanitari, ma nella loro interezza: pubblici, privati accreditati, privati no profit e pagati direttamente di tasca propria e una sempre maggiore attenzione agli stili di vita della popolazione. Quindi non solo produzione, ma anche committenza pubblica, con lo sviluppo di gestione per processi e Percorsi Diagnostico Terapeutici e Assistenziali trasversali nella rete dell’offerta. La “mission” potrebbe allargarsi ad una vera e propria gestione dei consumi sanitari nella loro interezza e al governo di tutte quelle componenti che sono considerate determinanti della salute.
La sanità pubblica dovrà comprendere anche il ricovero in strutture residenziali, integrarsi e non rimanere separata dall’ambito socio assistenziale, allargarsi e non distinguersi dall’area del “wellness” e “welbeing”, comprendere e governare le medicine alternative e tradizionali e non limitarsi alla medicina ufficiale.
E’ una riforma necessaria per affermarsi sull’oggi e per negare le controriforme del passato, ma è anche un piano economico, il rilancio di una economia di settore, una sfida da raccogliere nel dopo virus, una proiezione nel futuro.

1 Commento

  1. Ciao Marcello, interessante la tua riflessione. Chi pensi che possa accettare la sfida che evidenzi? o per meglio dire chi ha gli strumenti per farlo? Ricominciamo dall'”ape e l’architetto?

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