Quando si afferma che la salute non è una merce e che
la sua tutela e promozione, non il profitto, è la “mission” del Servizio
Sanitario Nazionale, non si nega che la cosiddetta “filiera sanitaria”, sia un
bene comune da difendere ed accrescere.
Si sta affermando una concezione del benessere individuale con un indebolimento
dei confini tradizionali tra sanità, benessere psico-fisico e sociale e una
conseguente trasformazione delle connessioni tra settore sociale, socio
sanitario e sociale.
Lo stesso invecchiamento della popolazione produce un aumento significativo
della quota di popolazione anziana, pensionata e in buone condizioni di salute,
che ha tempo e risorse da dedicare al mantenimento psicofisico.
L’invecchiamento, la correlata crescente diffusione di patologie croniche, il
riacutizzarsi di patologie infettive, richiede altresì una forte
interdipendenza tra sanità e sociale.
Di fronte a questo scenario, anche se le aziende sanitarie possono
ulteriormente concentrarsi sulla prevenzione, diagnosi, terapia e
riabilitazione, sarà sempre più difficile costruire chiari confini di
competenze e responsabilizzazioni finanziarie tra sanità e sociale. Le
istituzioni pubbliche dovranno sempre più cercare di individuare, organizzare e
gestire le interdipendenze tra sociale e sanitario e, pur nella differenza dei
sistemi e dei rispettivi finanziamenti, dovranno sviluppare forme rilevanti di
integrazione, quali, ad esempio, una programmazione socio-sanitaria regionale e
locale, punti unici di accesso ai servizi, allocazioni logistiche comuni.
La cosiddetta “industria della salute” ha visto e vedrà pertanto un rilevante
ampliamento dei suoi confini ed allora è necessario presidiare strategicamente
tale settore, definendone indirizzi e sviluppi.
E’ un bene economico che comprende un sistema complesso di aree fortemente
interconnesse tra loro, che va ben al di là degli ospedali, delle aziende
sanitarie, delle farmacie, dei professionisti. I sistemi sanitari non
forniscono solamente assistenza in caso di malattia, ma sono parte di un
sistema economico sociale complessivo, all’interno del quale contribuiscono ad
attivare considerevoli effetti distributivi e ridistributivi.
In questo contesto appare necessario anche ridefinire o confermare la “mission”
del SSN, il quale dovrà comunque garantire la produzione diretta delle
prestazioni sanitarie, enfatizzando la “Medicina Basata sull’Evidenza”,
l’appropriatezza delle cure e il governo clinico e migliorando l’efficienza
produttiva, ma dovrà sempre più assumere una “mission” di governo dei consumi
sanitari, ma nella loro interezza: pubblici, privati accreditati, privati no
profit e pagati direttamente di tasca propria e una sempre maggiore attenzione
agli stili di vita della popolazione. Quindi non solo produzione, ma anche committenza
pubblica, con lo sviluppo di gestione per processi e Percorsi Diagnostico
Terapeutici e Assistenziali trasversali nella rete dell’offerta. La “mission”
potrebbe allargarsi ad una vera e propria gestione dei consumi sanitari nella loro
interezza e al governo di tutte quelle componenti che sono considerate
determinanti della salute.
La sanità pubblica dovrà comprendere anche il ricovero in strutture
residenziali, integrarsi e non rimanere separata dall’ambito socio
assistenziale, allargarsi e non distinguersi dall’area del “wellness” e “welbeing”,
comprendere e governare le medicine alternative e tradizionali e non limitarsi
alla medicina ufficiale.
E’ una riforma necessaria per affermarsi sull’oggi e per negare le
controriforme del passato, ma è anche un piano economico, il rilancio di una
economia di settore, una sfida da raccogliere nel dopo virus, una proiezione
nel futuro.
Ciao Marcello, interessante la tua riflessione. Chi pensi che possa accettare la sfida che evidenzi? o per meglio dire chi ha gli strumenti per farlo? Ricominciamo dall'”ape e l’architetto?