Attenzione alle parole.
Chi usa la parola guerra per combattere l’infezione da coronarovirus intende
(e)semplificare una precisa strategia militare.
Se si accetta di combattere una guerra, anche se subita, si accetta una logica
che sottende costi pesanti e possibili benefici.
Innanzitutto si accetta di veder morire una parte della popolazione ed è
preferibile che i sacrificati siano la parte più debole e fragile e meno
produttiva, inadatta a sostenere l’impegno dei combattenti, magari impegnando risorse
indispensabili a sostenere lo sforzo bellico.
La guerra non va contrastata, ma va combattuta fino in fondo, anche se dura e
spietata, perché è in gioco la sovranità e gli interessi di una nazione.
Sul piano culturale va accettata la dimensione tragica della storia, rifiutando
ogni logica pacifista e compromissoria, pena il disfattismo e l’indebolimento
delle difese e anche per questo non è prevista alcuna misura di restrizione
della libertà individuale e la vita quotidiana deve proseguire senza
discontinuità.
E’ il modello che è sembrato prevalere, almeno in una fase iniziale, in Gran
Bretagna, forse anche in Germania e forse anche in Francia.
Non si contrasta il contagio da coronavirus, anzi lo si favorisce per garantire
una diffusa e rapida immunizzazione, si curano i malati, nei limiti delle
possibilità del servizio sanitario nazionale, e si accetta di sacrificare una
quota della popolazione, più o meno ampia a seconda del numero di posti
disponibili in terapia intensiva, preferibilmente anziana e/o già malata, la
cui scomparsa non compromette la funzionalità del sistema economico-produttivo,
alleviando i costi del sistema pensionistico e dell’assistenza sociale e
sanitaria, almeno nel medio periodo.
A questo modello se ne è contrapposto e si contrappone un altro, basato invece
sul contenimento del contagio per salvare tutti i salvabili, con provvedimenti
emergenziali di “distanziamento sociale”, con l’applicazione di misure
severissime di restrizione delle libertà personali e con costi economici
devastanti. La “conditio sine qua non” è l’efficienza di un servizio sanitario
nazionale, il suo eventuale potenziamento con accanto misure statali di
sostegno ai ceti produttivi, una forte coesione sociale e una decisa legittimazione
dello Stato.
I due modelli si sono inizialmente contrapposti, mentre
oggi il dilagare della pandemia da coronavirus, la estrema contagiosità del
virus e la difficoltà di far accettare costi umani elevati sta facendo
prevalere una logica meno militare e più sociale. Lo stesso contenimento dei
costi economici nel modello “militare”, con possibili conquiste significative
di quote di mercato sul lungo periodo, rischia di essere vanificato
dall’indebolimento della coesione sociale della popolazione, impoverita
socialmente e culturalmente.
Forse sta anche prevalendo una logica di futura “coesistenza pacifica” con il
virus, reso contenibile e contendibile da misure ancora non disponibili, come
farmaci e vaccini e da una “immunità di gregge” che necessita anch’essa di
tempi lunghi. Rimarranno forse a sostegno le misure igieniche individuali sin
qui fortemente raccomandate, un governo centrale in grado di esercitare
autorevolmente una funzione di indirizzo e di coordinamento, una socialità che
non si confonde con una promiscuità confusa e indistinta. Il vero antidoto sarà
comunque una notevolissima capacità di decisione politica.
Commenta per primo