20 marzo 2020 A’ la guerre comme a’ la guerre

Attenzione alle parole.
Chi usa la parola guerra per combattere l’infezione da coronarovirus intende (e)semplificare una precisa strategia militare.
Se si accetta di combattere una guerra, anche se subita, si accetta una logica che sottende costi pesanti e possibili benefici.
Innanzitutto si accetta di veder morire una parte della popolazione ed è preferibile che i sacrificati siano la parte più debole e fragile e meno produttiva, inadatta a sostenere l’impegno dei combattenti, magari impegnando risorse indispensabili a sostenere lo sforzo bellico.
La guerra non va contrastata, ma va combattuta fino in fondo, anche se dura e spietata, perché è in gioco la sovranità e gli interessi di una nazione.
Sul piano culturale va accettata la dimensione tragica della storia, rifiutando ogni logica pacifista e compromissoria, pena il disfattismo e l’indebolimento delle difese e anche per questo non è prevista alcuna misura di restrizione della libertà individuale e la vita quotidiana deve proseguire senza discontinuità.
E’ il modello che è sembrato prevalere, almeno in una fase iniziale, in Gran Bretagna, forse anche in Germania e forse anche in Francia.
Non si contrasta il contagio da coronavirus, anzi lo si favorisce per garantire una diffusa e rapida immunizzazione, si curano i malati, nei limiti delle possibilità del servizio sanitario nazionale, e si accetta di sacrificare una quota della popolazione, più o meno ampia a seconda del numero di posti disponibili in terapia intensiva, preferibilmente anziana e/o già malata, la cui scomparsa non compromette la funzionalità del sistema economico-produttivo, alleviando i costi del sistema pensionistico e dell’assistenza sociale e sanitaria, almeno nel medio periodo.
A questo modello se ne è contrapposto e si contrappone un altro, basato invece sul contenimento del contagio per salvare tutti i salvabili, con provvedimenti emergenziali di “distanziamento sociale”, con l’applicazione di misure severissime di restrizione delle libertà personali e con costi economici devastanti. La “conditio sine qua non” è l’efficienza di un servizio sanitario nazionale, il suo eventuale potenziamento con accanto misure statali di sostegno ai ceti produttivi, una forte coesione sociale e una decisa legittimazione dello Stato.

I due modelli si sono inizialmente contrapposti, mentre oggi il dilagare della pandemia da coronavirus, la estrema contagiosità del virus e la difficoltà di far accettare costi umani elevati sta facendo prevalere una logica meno militare e più sociale. Lo stesso contenimento dei costi economici nel modello “militare”, con possibili conquiste significative di quote di mercato sul lungo periodo, rischia di essere vanificato dall’indebolimento della coesione sociale della popolazione, impoverita socialmente e culturalmente.
Forse sta anche prevalendo una logica di futura “coesistenza pacifica” con il virus, reso contenibile e contendibile da misure ancora non disponibili, come farmaci e vaccini e da una “immunità di gregge” che necessita anch’essa di tempi lunghi. Rimarranno forse a sostegno le misure igieniche individuali sin qui fortemente raccomandate, un governo centrale in grado di esercitare autorevolmente una funzione di indirizzo e di coordinamento, una socialità che non si confonde con una promiscuità confusa e indistinta. Il vero antidoto sarà comunque una notevolissima capacità di decisione politica.

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