All’inizio ha prevalso una risposta dettata da esigenze
essenzialmente sanitarie. Non avendo a disposizione né un farmaco specifico né
un vaccino si è optato per i due provvedimenti possibili: la diagnosi precoce
dei contagiati e il loro isolamento. Questo ha comportato un ricorso massiccio
al tampone orofaringeo e la quarantena di individui e di intere comunità. La
conseguenza è stato una individuazione altrettanto massiccia dei contagiati e
l’inasprimento delle misure di isolamento dei focolai di contagio, con la
blindatura di interi territori, la chiusura di scuole di ogni ordine e grado,
l’annullamento di eventi collettivi. Tutto questo a fronte di un virus
altamente contagioso, ma con una patologia indotta modesta e con una bassa
mortalità, riguardante essenzialmente persone anziane, defedate per una
pluralità di patologie, non indotte dal virus.
Nel frattempo su tutti i media si è scatenata una altalena emotiva di
allarmismo e rassicurazione che ha provocato una isteria collettiva che ha
coinvolto governanti e governati. Il risultato non è stato il contenimento
dell’infezione, che sta seguendo i tempi e i ritmi di una infezione virale e
che non riconosce confini amministrativi giovandosi di una società
globalizzata, ma la desertificazione sociale di intere comunità, con
pesantissime ricadute economiche.
Il crollo dei consumi, l’azzeramento della mobilità per turismo o per lavoro,
la forzata segregazione domestica, la riduzione degli scambi di beni e servizi
stanno imponendo una revisione dei provvedimenti sin qui adottati. Azzittiti
tutti coloro che, allarmati da una informazione ossessiva, univoca e
sensazionalistica, erano portatori di una fortissima richiesta di tutela della
propria salute anche con misure drastiche, si stanno oggi ascoltando i portatori
di interesse, i commercianti, gli operatori del turismo, gli industriali, gli
addetti manifatturieri, che in coro denunciano perdite economiche, crack
finanziari, fallimento di intere filiere produttive.
L’allarme da sanitario è diventato economico e sociale. Dai dati su mortalità e
morbilità, si è passati a quelli sul Pil, sullo spread, sulla tutela dei salari
e dell’occupazione. Lo si capisce non solo dall’attenzione mediatica, ma dal
dibattito politico, termometro degli umori e malumori, sensibile agli
ondeggiamenti ciclici della cosiddetta opinione pubblica, un tempo chiamata (e
oggi invocata e blandita) vox populi.
Finito il tutto, non tanto l’infezione quanto lo stato emergenziale, si
affacceranno i complottisti, i dietrologi, gli apocalittici, a cui non parrà
vero di attaccare scienza e scienziati, con la scoperta di laboratori segreti,
di focolai indotti, di pratiche clandestine, di guerre batteriologiche
misteriose. In tempi di dominio di fake news, di saperi indotti non dalla
logica ma da credenze, di rigurgito di opinioni indipendenti dai fatti, c’è da
aspettarsi anche questo strascico da parte dell’infezione da coronarovirus.
Eppure c’è un antidoto al coronarovirus. Non un vaccino, una terapia
farmacologica, ma un rimedio in grado di annullare gli effetti dannosi di una
qualsivoglia infezione: la politica.
Una politica ragionata e ragionante, convinta e quindi anche convincente,
frutto di una visione d’insieme, consapevole di regole e norme da condividere.
Purtroppo è a disposizione una politica urlata, aggressiva, bellicosa,
isterica, povera di categorie concettuali e di efficaci strumenti di analisi,
volutamente ambigua e inevitabilmente contraddittoria, da campagna elettorale
permanente. Quando la politica tenta una strada alternativa appare come
ammutolita, priva di parole convincenti ed autorevoli e le scelte non sembrano
visibili, come si navigasse a vista.
E il rimedio non è efficace, neanche con un governo di unità nazionale.
Caro Marcello, come al solito condivido molto della tua analisi, la politica però come terapia, rimedio, a me pare utopia e credo che per una sua catarsi occorra più tempo di quanto ce ne voglia a preparare un vaccino. Sarei molto felice di sbagliare.