Molti scrittori hanno dedicato al cibo numerose pagine di loro romanzi e racconti. Queste citazioni non sono né possono essere pienamente rappresentative né tantomeno esaustive, perché sono riferite a pochi scrittori, quelli che io letto e di cui ho apprezzato il contributo letterario al genere, fornito in maniera né occasionale né episodica, quasi una cifra stilistica, intenzionale e appassionata.
AMERICAN BREAKFAST
L’american breakfast in un paese sottosviluppato riunisce il complesso del colonizzatore e del colonizzato, il complesso dell’avidità e quello della fame, l’istinto del predatore e il superamento della psicosi del depredato, per questo i buffet liberi degli alberghi dei paesi del terzo mondo sono sontuosi.
Manuel Vázquez Montalbán, Gli uccelli di Bangkok, Feltrinelli, 1990, pag.189
ACCIUGHE
La sera avanti, trovate nel frigo delle acciughe freschissime accattategli dalla cammarera Adelina, se l’era sbafate in insalata, condite con molto sugo di limone, olio d’oliva e pepe nero macinato al momento.
Andrea Camilleri, La voce del violino, Sellerio, 1997, pag.9
ANCIOVA
Avrebbe preferito andare a casa, dove lo aspettavano i resti abbondanti della sera prima: bucatini con l’anciova rossa, cioè con l’estratto di pomodoro, la passolina, i pinoli e la mollica atturrata, piatto che lo aveva conquistato al primo colpo, quando lo aveva assaggiato in quella città non sua, al punto che aveva assimilato persino la dizione locale degli ingredienti. Scaldata con un filo d’olio, la pasta con l’anciova era ancora più buona, specie se aveva la pazienza di lasciare abbrustolire al punto giusto i bucatini, fino a renderli quasi croccanti, seppure circonfusi dalla densa cremosità della salsa e rimescolati per bene con la paletta sul fondo della padella, e fatti rinvenire con l’aggiunta di una bella pizzicata di peperoncino fresco tritato.
Santo Piazzese, Il soffio della valanga, Sellerio, Palermo, pp. 115-116
AJIACO ALLA MARINAIA
Aveva messo sul fuoco la sua padella per le grandi occasioni, piena quasi per metà di acqua aggiungendovi la testa di una cernia dagli occhi vitrei, due pannocchie di mais tenero quasi bianco, tre etti di tuberi di malanga gialla, altri tre di quella bianca e la stessa quantità di igname e zucca, due banane verdi e altrettante talmente mature che quasi si scioglievano, mezzo chilo di yucca ed un altro di batata, vi aveva spremuto un limone e affogato mezzo chilo di polpa bianca di quel pesce che il Conde non assaggiava più da così tanto tempo che lo credeva ormai in via di estinzione e un altro di gamberi – si può usare anche l‘aragosta o il granchio, aveva annotato tranquillamente Josephina come una strega del Macbeth davanti al calderone della vita – e alla fine aveva lanciato su tutta quella massa un terzo di tazza di olio, una cipolla, due teste di aglio, un peperoncino grande, una tazza di sugo di pomodoro, tre, no, meglio quattro cucchiaiate di sale e mezza di pepe per dare il tocco finale a quel miscuglio di tutti i possibili sapori, profumi, colori e consistenze, con un quarto di cucchiaino di origano e altrettanto di cumino, gettati sul pappone con un gesto quasi sprezzante.
Leonardo Padura Fuentes, Venti di Quaresima, Tropea, 2001, pag.58
BANDEJA PAISA
E non appena i fagioli hanno iniziato ad ammorbidirsi, ci ho buttato dentro mezza libbra di salciccia, perché la carne terminasse la cottura insieme ai legumi, capite? E poi ho fritto dei bei ciccioli di maiale, grassi e polposi, con le banane mature, un uovo a testa per ciascuno di voi – la sera a me l’uovo fa bene, per via della vescica- un salamino piccante e una bistecca di carne di bue, con aglio e cipolla in abbondanza, e ho cotto il riso bianco con l’aggiunta di un po’ di grasso di maiale perché si sgrani bene. I fagioli si possono mangiare a parte o mettere sopra il riso. Come li preferite?
Leonardo Padura Fuentes, Maschere, Nuove Edizioni Tascabili, 1997, pag.79
CAPODANNO
Pernici tuffate in una salsa di pancetta e vino invecchiato, merluzzi avvolti in fogli di senape terragonese, anitre selvatiche coperte di bucce d’arancia, carpe decorate con uova di frutti di mare, bullinada catalana densa odorosa di olive, coq-au-vin acceso nuotante in Macon, piccioni ripieni di puré di carciofi, grossi piatti di pesce irrigidito steso su pezzi di ghiaccio, spiedini di aragoste rosate avvolte in una buccia di limone a spirale affettato, funghi e fette di pomodoro, prosciutto di Bayonne, stufati di bue spruzzati d’Armagnac, colli di oca ripieni di paté di maiale, puré di castagne e bucce di mele fritte con noci, salsa di cipolla e arancia, di aglio e di pistacchio, di mandorle e di lumache.
Carlos Fuentes, La morte di Artemio Cruz, Il Saggiatore, 1997, pag.210
CENA AMERICANA
Ostriche arrostite nel guscio
Tartaruga del Maryland – Biscotti macinati
Tacchinella alla griglia
Crocchette di riso con gelatina di mela cotognaFagioli di Lima alla panna – Tartine Sally LunnAvocado alla Todhunter
Sorbetto di ananas – Sponge Cake
Formaggi del Wisconsin – Caffè nero
Rex Stout, Alta cucina, La Biblioteca di Repubblica, 2004, pag.203
CINA
…i quattro cammelli fra le cui gobbe, a mò di bisacce, erano sistemati contenitori di bambù ampi e capaci, dotati di manico. Quei recipienti erano colmi di alimenti: panierini di riso cotto al vapore, cartocci d’involtini ripieni di gamberetti, bacinelle di ceramica con pezzi di muso di maiale in agrodolce misto a germogli di bambù, e ancora pollo preparato in svariati modi, sottilissimi spaghetti di soia fritti assieme a legumi, candidi panini al vapore, stinchi di maiale alla salsa di soia, oca fritta, un vaso che conteneva una zuppa di pesce, polpa di granchio al miele, pinne di pescecane aromatizzate all’olio di sesamo, cubetti di dofu e alghe.
Isaia Iannaccone, Il sipario di giada, Sonzogno, 2007, pag. 151
CON IL CAVIALE
Una tovaglia vestiva a festa la tavola sulla quale spiccava aperta una latta da un chilo di ottimo caviale, a giudicare dal colore chiaro che coincideva con le preferenze dell’esperto. Su un vassoio focacce di pane nero e blimis, panna e burro in salsiere e piattini sparsi strategicamente, un trito di cetriolini sotto aceto, cipolla, uova sode, persino capperi, e poi due bottiglie di vodka immerse nel ghiaccio, un altro vassoio con vivande marinate, due torte ai frutti di bosco, samovar dai quali arrivavano gli aromi dei tè migliori, secchielli per i cubetti di ghiaccio pieni fino all’orlo e altre due o tre bottiglie che nella penombra cercavano di occultare la loro condizione di acquavite forse locali o russe, con l’etichetta scritta in cirillico.
Manuel Vázquez Montalbán, Millennio 1. Pepe Carvalho sulla via di Kabul, Feltrinelli, 2004, pag.163
CONFIT-D’OIE
Il confit era eccellente, con il grasso ben arrostito e trasformato in una nuova materia ricca di sorprese tattili. Punti di sapore burroso, leggermente bruciacchiati, con la crosticina che crocchiava sotto i denti con un leggero strato di grasso appiccicato all’interno. La carne fibrosa ma niente affatto asciutta, intrisa di balsami di erbe e spezie in tutto quel sogno immobilizzato dal grasso freddo.
Manuel Vázquez Montalbán, La solitudine del manager, Feltrinelli, 1993, pag.68
CONTRIBUTI AMERICANI ALL’ALTA CUCINA
– Avete mai mangiato la tartaruga d’acqua dolce stufata con burro, brodo di pollo e sherry?– No.
– Avete mai mangiato una bistecca alta due dita cotta alla griglia, che quando la si taglia fa uscire il suo bel succo rosso e bollente, guarnita con prezzemolo americano e fettine di lime fresco, circondata da patate che si sciolgono sulla punta della lingua e accompagnata da spesse fette di funghi appena scottati?
– No.
– Oppure la trippa alla creola di New Orleans? O il prosciutto della contea di Boone, arrostito con aceto e melassa, salsa Worchester, sidro dolce ed erbette? O il pollo alla Marengo? O il pollo in salmì con uvetta, cipolle, mandorle, sherry e salsa messicana? O l’opossum del Tenessee? O l’aragosta di Newburgh? O la zuppa di Philadelfia? Vedo che non lo avete mai fatto.
Rex Stout. Alta cucina, La Biblioteca di Repubblica, 2004, pag.17
CONVERSAZIONE
La conversazione, lieve ma non banale, si disimpegnò fra la crema d’ortica con flan di formaggio d’alpeggio, i canederli di luccio e patate con limone e melissa, l’insalata di rape rosse chioggiotte mela calendula mais e partenio, il gelato di frutta della sperimentata gelateria non lontana da casa. Da bere, Traminer o Schiava. E per meditazione, a scelta, una grappa piemontese da collezione o un passito siciliano da urlo.
Hans Tuzzi, La notte, di là dai vetri Tre indagini del commissario Melis, Torino, Bollati Boringhieri, 2019, pag. 51
CROSTINI DI CAPPERI
“Sa come li faccio? Ci metto dei capperi sott’aceto, uva passa, pinoli, prosciutto. Trito tutto e metto a cuocere con un cucchiaio di farina e due di zucchero in polvere. Quando è ben colorato, ci verso dentro un mezzo bicchiere d’acqua e un po’ di aceto. A parte friggo delle fettine di pane nell’olio e…”
Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli, Macaronì, La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso,2007, pag.251
CUCINA
La cucina di Fratta era un vasto locale, d’un indefinito numero di lati molto diversi in grandezza, il quale s’alzava verso il cielo come una cupola e si sprofondava dentro terra più d’una voragine: oscuro anzi nero di una fuliggine secolare, sulla quale splendevano come tanti occhioni diabolici i fondi delle cazzeruole, delle leccarde e delle guastadeappese ai loro chiodi; ingombro per tutti i sensi da enormi credenze, da armadi colossali, da tavole sterminate; e solcato in ogni ora del giorno e della notte da una quantità incognita di gatti bigi e neri, che gli davano figura d’un laboratorio di streghe. – Tuttociò per la cucina – ma nel canto più buio e profondo di essa apriva le sue fauci un antro acherontico, una caverna ancor più tetra e spaventosa, dove le tenebre erano rotte dal crepitante rosseggiar dei tizzoni, e da due verdastre finestrelle imprigionate da una doppia inferriata. Là un fumo denso e vorticoso, là un eterno gorgoglio di fagiuoli in mostruose pignatte, là sedente in giro sovra panche scricchiolanti e affumicate un sinedrio di figure gravi arcigni e sonnolente. Quello era il focolare e la curia domestica dei castellani di Fratta. Ma non appena sonava l’Avemaria della sera, ed era cessato il brontolio dell’Angelus Domini, la scena cambiava ad un tratto, e cominciavano per quel piccolo mondo tenebroso le ore della luce. La vecchia cuoca accendeva quattro lampade ad un solo lucignolo; due ne appendeva sotto la cappa del focolare, e due ai lati d’una Madonna di Loreto. Percoteva poi ben bene con un enorme attizzatoio i tizzoni che si erano assopiti nella cenere, e vi buttavo sopra una bracciata di rovi e di ginepro. Le lampade si rimandavano l’una all’altra il loro chiarore tranquillo e giallognolo; il foco scoppiettava fumigante e s’ergeva a spie vorticose fino alla spranga trasversale di due alari giganteschi, borchiati di ottone, e gli abitanti serali della cucina scoprivano alla luce le loro diverse figure.
Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano, a cura di Ugo M. Olivieri, Milano, Feltrinelli, 2017, pp. 12-13
ECCELLENZE DELLA CUCINA TURCA
Mentre mordicchiava il simit – il nome turco per l’inevitabile ciambellone ai semi di sesamo…- ordinò una collezione completa di mezés, preceduti da dolma e bareg, seguiti da melanzane affumicate, taramà, haydari, cuori di carciofi o lakerda, sottili fette di tonno affumicato con limone, pollo circasso guarnito di nocciole, per poi passare a un menu convenzionale inaugurato da una zuppa di legumi e yogurt, misto di kebab di diverse carni e verdure, magnifiche tagliatelle con trito di carne aromatizzata e, per coronare la festa dei sensi, del’asure, noto anche come pudding di Noè, un misto di frutta secca e legumi. Il vino di Kavaklidere era buono e anche il raki, l’equivalente dell’ouzo greco, ottimo il caffè che i turchi considerano turco e i greci greco.
Manuel Vázquez Montalbán, Millennio 1. Pepe Carvalho sulla via di Kabul, Feltrinelli, 2004, pp.128-129
FESTA CINESE
Sospirò, chiamò uno scudiero e ordinò che si preparasse una grande festa. Bisognava che vi fosse servito quanto c’era di più squisito entro i quattro mari: feto di leopardo farcito, pasticcio di uova di formiche, ragù di palme d’orso, fettine sottili di cerva al bergamotto, pezzi di cervo secco, paté di lampreda, maialino di latte farcito alle giuggiole, arrostito al mattone e poi fatto stufare per due giorni, carne tritata di lumache sott’aceto, cinghialini ripieni di marinata di carne tritata e acetosa, bollito di fagiano e di lepre alle erbe con contorno di castagne d’acqua, di funghi e di cuori di bambù.
Jean Lévi, Il grande imperatore e i suoi automi, Einaudi, 1983, p. 97
GASTRONOMIA CATALANA
Quell’insalata di minuscole anguille con kiwi e prosciutto d’anatra. Le crêpes di piedini di maiale con alioli e salsa bionda. L’orata al forno tra erbe mediterranee e olive nere. Patate al vapore con caviale e salsa olandese. Peperoni ben imbottiti di frutti di mare. Pescatrice all’aglio abbrustolito. Cervo con marmellata di lamponi e camembert fritto con marmellata di pomodori.
Manuel Vázquez Montalbán, Le Terme, Feltrinelli, 1996, pag.162
GIGOT
Il gigot brasato è il meno artefatto dei gigots che si possono mangiare. Non ha la rusticità patatoide ed ebreizzata del gigot alla paesana, ma nemmeno il prestigio tante volte tradito del gigot di capriolo o la presentazione del gigot con gli spinaci. Un gigot brasato è innazitutto carne ben cotta e ben aromatizzata.Manuel Vázquez Montalbán, Tatuaggio, Feltrinelli, pag.69
GRANDE BOUFFE
La Grande Bouffe comprendeva varie portate, diversi piatti principali e un numero incalcolabile di antipasti. I piatti centrali potevano essere uno, molti o multipli di infinite possibilità. Per nominarne solo alcune: bisamashakt, filetto tagliato a fettine sottili in sacchetti rotondi ripieni di riso e carne tritata; karshat, stomaco o intestino di pecora o mucca ripieni di riso, carne macinata e madorle; mahshi waraq ‘inab e kusa mahshi, fogli di vite arrotolate e zucchine ripiene; maazalah, una specie di moussaka greca preparata con melenzame e salsa di pomodoro; ogni tipo di yakahneh, una varietà di carni stufate cucinate con diversi ortaggi, okra, taccle, cuori di carciofo o grandi fagioli bianchi. Le portate principali non escludevano una vasta gamma di carni alla griglia, manzo, agnello e pollame.
Suad Amiry, Damasco, Feltrinelli, 2017, pp. 153-154
GRANITA
Ciò che non potei ignorare furono le bibite del gelativéndolo il quale, accampato sotto il tendone con ghiaccio, pialla da ghiaccio, secchi, e con l’iride nelle bottiglie dell’apoteca, mesceva il colore prediletto a ciascuno in un bicchiere colmo di ghiaccio in briciole, servendosi a ciò d’uno speciale mestolo-misurino di zinco. La coda del ramarro aveva sublimata in uno smeraldo liquido detto menta glaciale, dove la melarancia era un topazio, l’amarena un granato. Con il misurino di zinco mi impartì avaramente la mia razione di sogno – nei limiti della sua razione di realtà.
Carlo Emilio Gadda, Domingo del senorito en escasez in Racconti dispersi, Garzanti, 1996, pag. 94
KIBBEEH
L’elemento più delizioso e cerimoniale dell’intero pasto del venerdì era il kibbeh, che comprendeva sette diverse portate…
Gli ingredienti di base del kibbeh erano la carne di agnello più magra e il bulgur più fine che ci fossero…
Oltre a questi due ingredienti principali l’impasto del kibbeh conteneva sette spezie appena macinate ed enormi quantità di cipolle…
La qualità del kibbeh dipendeva anche dal modo in cui venivano mescolati e dunque li si mischiava a piccole dosi e un po’ per volta: una piccola quantità di carne, il bulgur morbido e ben inzuppato, le cipolle tritate fini e le sette spezie del kibbeh venivano messi nell’apposito mortaio di pietra e battuti con un pesante pestello di legno fino ad attenere un impasto rosa ben amalgamato e appiccicoso. Una volta che il ben battuto, ben mescolato e appiccicoso kibbeh era pronto, era giunto il momento di modellarlo ad arte nelle sue sette varietà…
Diviso l’impasto, alcuni kibbeh venivano appiattiti e sistemati in teglie rotonde, altri trasformati in pallette oblunghe e simmetricamente appuntite all’estremità (quasi a forma di trottola), altri ancora in polpette e polpettine, mentre alcuni venivano foggiati a cupola…
Il kibbeh crudo era preparato semplicemente, stendendo l’impasto in una piatto grande e guarnendolo con olio d’oliva, prezzemolo finemente tritato e noci grattugiate (il modo migliore di mangiarlo è accompagnato da pane sottile e cipolline fresche)…
Una volta terminato l’aperitivo, gli amanti del kibbeh crudo si univano ai fan del kibbeh
alla griglia (kibbeh mashwieh). Questo kibbeh a forma di cupola e cotto alla brace era farcito di lardo e carni macinate…
La varietà più sana del kibbeh, il kibbeh allo yogurt (kibbeh labanieh), che era fatto di polpettine di kibbeh fritto gettate in yogurt di capra cotto guarnito con fave fresche e menta secca e servito con un contorno di grano duro bollito e triturato…
Il kibbeh hamis, le palline fritte cotte in salsa di pomodoro e pasta di sesamo, con cipolle fritte, sciroppo di melagrana e pinoli…
La polpettina dal sapore delicato (kibbeh arnabieh) cotta in salsa di bergamotto…
Kibbeh fritto (kibbeh maqlieh): crocchette ripiene di carne alla menta, cipolle e pinoli…
Il kibbeh al forno ( kibbeh bisinieh), che somigliava piuttosto a una torta di kibbeh, era fatto di due spessi strati di impasto con uno strato intermedio di carne alla menta, cipolle e pinoli…
Suad Amiry, Damasco, Feltrinelli, 2017, pp. 154-155-157-158
KUNKIAV BEYANDI
Sì, siete in tempo per il piatto preferito del signor Stephanian, il kunkiav beyandi. Secondo il signor Stephanian il piatto è nato in Armenia, anche se i turchi affermano da secoli di possederne la paternità. E’ kebab servito con uova e un tipo di purè che i turchi chiamano Imam Baldi. Poi aggiunta di cipolle rosolate, pomodori, aglio, sale e pepe.
Rex Stout, Nero Wolfe e il caso dei mirtilli in Delitti in vacanza, Mondadori, 2001, pag.150
IL BUE
Il bue, che deve aver lavorato, ha da essere un animale maturo e muscoloso, va fatto stufare lentissimamente a fuoco dolce, con – e qui sta il segreto – cotenne di maiale, piedino di vitello e vino rosso giovane, meglio se un poco brusco. Con un bouquet di cipolla, cerfoglio, prezzemolo, sedano e carota avvoltolati in una sottile fetta di lardo. Ma se gli è di stomaco delicato, può sostituire alla cipolla il bianco di tre porri e aggiungere del timo, sostituendo al vino rosso un bianco secco.
Hans Tuzzi, Il sesto faraone, Bollati Boringhieri, 2016, pag. 123IL
CYPSELLE DI PALAFRUGELL
Con una deviazione di appena venti chilometri avrebbe potuto cenare al Cypselle di Palafrugell con un riso nero a base di pesce, brodosetto, riso annerito alla cipolla bruciata e tritata, pane tostato e pomodoro servito con le acciughe, le squisite polpettine di carne di maiale mescolata a gamberi e calamari e allo stesso tempo prenotare con il proprietario del ristorante un Niu per due settimane dopo.
Manuel Vázquez Montalbán, Storie di politica sospetta, Feltrinelli, pag.142
LO SPIRITO DEI POPOLI
I menù a poco prezzo stanno scomparendo, signor Méndez: i prezzi salgono perché la gente pensa solo a mangiare. La gente non crede più nei politici, ma almeno crede nei cuochi, e questo ci porterà a un’epoca stabile e felice. Nessuno chef ha promosso una guerra civile, che si sappia, nè ha parlato male del presidente delle Cortes, che è tutto dire. Quando il Paese sarà un’unica felice trattoria, e la gente litigherà solo per sapere dove si mangia meglio, finiranno i problemi, ma finirà pure la storia…
Di fatto ancora moltissima gente mangia male, signor Méndez…e lei ne è la dimostrazione, e compra solo nelle tripperie, che prima facevano parte della storia gastronomica di questo Paese. Oggi il proletariato, che sognava la rivoluzione per potersi mangiare una bistecca, è quasi scomparso; però esiste il proletariato degli immigrati, a dimostrare quanto giusto e perfetto sia diventato il mondo. La rivoluzione sociale finiranno per farla loro, quando saranno più di noi, dunque è urgente che mangino bene e credano più in un cuoco prima che a Maometto. Oggi la cucina è lo spirito dei popoli, signor Méndez, e stiamo raggiungendo il massimo: nessuno conosce la Costituzione, ma tutti conoscono la Guida Michelin.
Francisco Gonzalez Ledesma, Mistero di strada, Giano, pag. 193
MAGNA GRECIA
Solamente la fantasia pagana della Magna Grecia poteva fare dolci stupefacenti con gli organi sessuali dei martiri cristiani. Per esempio, i chicchi di zibibbo macerati nel passito di Pantelleria, avvolti in un bolo di pasta reale, in forma di collinetta pizzuta glassata in un bagno di cioccolato fondente di Noto: a tutto questo le monache di Santa Caterina davano nome di seni di Santa Felicita in quanto la martire cristiana torturata e uccisa nel 203 a Cartagine era, come avrebbe detto il Cigno di Avion, una mora.
Hans Tuzzi, La figlia più bella, Bollati Boringhieri, pag.74
MANGIARE
Si trattenne davanti ai negozi di coloniali trasformati in vetrine di cibi della Spagna interna, salami piccanti, sanguinacci, carne di maiale salata e una dichiarazione dei principi luguminosi: lenticchie francesi e di Salamanca, fagioli viola di Barco, viola di Tolosa, dell’occhio, per il riso, cannellini, borlotti, delle Asturie, della Vergine, fagioloni della Granja, e un po’ più in là ceci di Arévalo, di Pedrosilla, fagioli neri messicani, rossi di Léon, fagioli primizia, farina per focacce, architetture di scatole di sgombri, di trippa, di vongole e dolci fanghi disidratati conosciuti come polvorones, e torroni e marzapani e scatole di cibo per cani e gatti del quartiere, esclusivamente del quartiere e che erano tanto ingrati da pisciare a ogni angolo di quel negozio di alimentari di un certo signor Cabello. Lo spettacolo era una sfida allo spirito di conservazione alimentare dei viandanti intimoriti dai nemici interni ingrassati dai cibi pericolosi. Non si poteva mangiare nulla di quello che si vedeva, tranne i legumi e in quantità prudenziali, come se i legumi si potessero mangiare con prudenza. Non si può mangiare con prudenza. Non si deve mangiare con prudenza. Se non si può mangiare non si mangia e basta.
Manuel Vázquez Montalbán, Il premio, Feltrinelli, pag.61
MANGIARE IL PESCE
Il Commissario aveva due modi di mangiare il pesce. Il primo, che adoperava controvoglia e solo quando aveva picca tempo, era quello di spinarlo, raccogliere nel piatto le sole parti commestibili e quindi principiare a mangiarsele. Il secondo, che gli dava assai più soddisfazione, consisteva nel guadagnarsi ogni singolo boccone, spinandolo sul momento Ci si impiegava più tempo, è vero, ma proprio quel tanticchia di tempo in più in un certo senso faceva da battistrada: durante la ripulitura del boccone già condito il cervello preventivamente metteva in azione gusto e olfatto e così pareva che il pesce uno se lo mangiava due volte.
Andrea Camilleri, Gita a Tindari, Sellerio, 2000, pag.164
MELANZANA
La melanzana,… è il Mediterraneo. E’ l’unico prodotto che per davvero unifichi il Mediterraneo e dia un senso a quest’invenzione che è la mediterraneità. Immagino la bandiera: melanzana rampante su un cielo con luna.
Manuel Vázquez Montalbán, Millennio 1. Pepe Carvalho sulla via di Kabul, Feltrinelli, 2004, pag. 90
MENU’
Menu: antipasto di mare (anciovi fatte còciri nel suco di limone e condite con aglio, sali, pepe e prezzemolo; anciovi “sciavurusi” al seme di finocchio; ‘nsalata di purpi; fragaglia fritta); primo piatto: spaghetti alla salsa corallina; secondo piatto: aragusta alla marinara (cotta sulla braci viva, condita con oglio, sali e tanticchia di prezzemolo)
Andrea Camilleri, Il campo del vasaio, Sellerio, 2008, pag.88
MENU’ CATALANO
Al “cos’avete di nuovo” che Carvalho pronunciò come una semplice formula, risposero senza batter ciglio, foie-gras d’oca alla crema di lenticchie verdi, gli antipasti di foi-gras, i duroni alla crema di limone verde, il baccalà gratinato aromatizzato con l’aglio, i farcellets di cavolo ripieni di aragosta al profumo di zafferano, il branzino alla ciboulette, la sogliola con le more, il riz de veau alla crema di limone verde e fermarono la loro esposizione di novità sena turbarsi, senza prendere coscienza della profonda emozione suscitata nell’animo di Carvalho, sdegnato da così tante possibilità dall’obbligo di scegliere.
Manuel Vázquez Montalbán, Il centravanti è stato assassinato verso sera, Feltrinelli, 1991, pag.139.
MINESTRA NEI FAGIOLI
“…la sera prima si mettono i fagioli secchi a bagno, poi il giorno dopo si fanno bollire, con qualche foglia d’alloro per l’aroma. Quando sono bolliti preparo sulla pistadora un trito di aglio e prezzemolo e lo faccio soffriggere nell’olio…Dopo un po’ aggiungo la conserva e un paio di mescolini di fagioli cotti. Un altro po’ li passo, li schiaccio in un colino e aggiungo tutto al soffritto, col brodo che han fatto i fagioli bollendo. Poi metto la pasta…Noi usiamo quei maccheroncini che chiamiamo paternostri perché sembrano i grani grossi del rosario. Bè, ecco come facciamo la minestra nei fagioli.
Francesco Guccini, Loriano Macchiavelli, Macaronì, Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, 2007, pag.50
MORTERUELO
“Lei sa cos’è il morteruelo?”
“Una specie di pâté castigliano”.
“Di Cuenca, per la precisione. Un’impressionante pâté a base di lepre, codino di maiale, gallina, fegato di maiale, noce moscata, chiodo di garofano, cannella, cumino…cumino!…che bella parola per un’eccellente merenda!”.
Manuel Vázquez Montalbán, I mari del Sud, Feltrinelli, 1994, pag.54
‘MPANATA DI MAIALI
Fate lessare un cavolfiore in acqua salata, tiratelo fora al dente e tagliatelo a tocchi. Fatelo ‘nsaporire dintra a un tegame indole aviti soffritto ‘na cipuddruzza tagliata a fettine. A parte, friggiti un bel pezzo di sasizza frisca e appena che addiventa dorata, tagliatela a dischetti massimo di un centilimetro, livannogli la pellicina. Mittiti ‘nzemmula cavolfiore e sasizza nell’oglio di frittura, aggiungendo qualichi patata tagliata a dischi trasparenti, aulive nivure spezzettate, sali e spezie. Ammiscate bene questa composta. Con tanticchia di pasta di pani lievitata fate’na sfoglia a disco e assistematela in una tortiera a bordo alto, inchitela con la composta, ricoprite con un altro disco di pasta di pani incollando bene i bordi. Ungete le parti superiori con sugna e mettiti la tortiera nel forno caldissimo.Tirate fora appena si dora (ma ci vorrà ‘na mezz’orata)
Andrea Camilleri, Le ali della sfinge, Sellerio, 2006, pp.186-187
NATALE INGLESE
L’albero di Natale, i regali, la zuppa d’ostriche, il tacchino – due tacchini: uno lesso e uno arrosto, il dolce di prugne con l’anello nascosto dentro, i ranuncoli e tutte le altre cose. E ci vorrebbero i sei pence d’argento puro. Ci sono, tuttavia, i dolci tradizionali, le prugne di Elvas e quelle di Carlsbad, e le mandorle e l’uva passa, e la frutta candita e lo zenzero.
Agatha Christie, Il rubino in il Meglio dei racconti di Agatha Christie, Mondadori, 1990, pag.444
IN UNA BETTOLA DEL QUARTIERE ARABO DI GERUSALEME
Le parole sembravano essere custodi del segreto dei piatti ed esibivano una grande ricchezza enunciativa: felafel, hummus, mudammas, muttubal betinjan, kibbeh, mjadarah, shakrieh…Quel piattino tondo che spartiva con Biscuter si chiamava shakrieh e il menu riportava la traduzione in inglese: la Riconoscente. Cosa contiene un piatto che si chiama la Riconoscente? Yogurt, cipolla, uova, carne trita, olio di oliva, mezzo cucchiaio di fulful bhar o miscela di spezie, cannella, sale, limone…Era come un poema mentale semplicissimo ma con effetti magici sul palato e preparava a un assortimento di farciture che esaltavano le eccellenze di ciò che andava farcito, zucchine, melanzane e l’osannato “sceicco dei ripieni”, anch’esso a base di melanzane, questa volta arricchite di carne trita, salsa di pomodoro, cipolla, l’inevitabile fulful bhar, sale, prezzemolo, coriandolo, samneh o burro chiarificato, olio d’oliva e sugo di carne o di carni.
Manuel Vázquez Montalbán, Millennio 1. Pepe Carvalho sulla via di Kabul, Feltrinelli, 2004, pp.89-90
OSTERIE DEL CARSO
“Besenwirtschaft”, “Strausswirtschaft”, “Buschenschanke”, “Osmizza”, “Frasca”, erano i nomi che ricordavano ancora oggi fin dove si era spinto il potere degli Asburgo. Durante le loro escursioni sul Carso, i triestini amavano frequentare queste taverne che oltre al vino di produzione domestica offrivano prosciutto cotto con cren grattugiato fresco o finocchietto selvatico, salame, formaggio, uova sode e altre delizie della casa.
Veit Heinichen, Morte in lista d’attesa, Edizioni e/o, 2004, pag.163
PAELLA
Oh insigne sinfonia di tutti i colori!
Oh illustre paella
all’esterno con la blusa colorata
e con ansie di fanciulla dentro bruciata!
Oh policromo piatto colorista
che prima che col gusto si mangia con la vista!
Concentrato di glorie dove nulla si scarta.
Compromesso di Caspe del pollo con la vongola.
Oh piatto decisivo:
confederato e collettivo!
Oh piatto delizioso
ove tutto è prezioso
e tutto si distingue, ma nulla è capriccioso!
Oh piatto liberale dove un chicco è un chicco
come ogni uomo è un voto!
Manuel Vázquez Montalbán, I mari del Sud, Feltrinelli, 1994, pp.83-84
PANE
Servirono pane di ogni forma e tipo, pane in cassetta, baguettes francesi e pane integrale tedesco, pane bianco londinese e bretzel, pane arabo e friabili giochi rococò che risultarono essere pane ferrarese, nonchè, in onore della vicina costa americana, pane Graham e pane Anadama.
Hans Tuzzi, Al vento dell’Oceano, Bollati Boringhieri, 2016, pag.131.
PANE E POMODORO ALLA CATALANA
Il cameriere aveva portato lo spuntino a Sánchez Bolín e i compagni di tavolo concentrarono l’attenzione sul rito dell’elaborazione del pane e pomodoro. Lo scrittore tagliò i pomodori a metà, né strofinò ciascuna sulle fette di pane sino a inzupparle di polpa, sugo e semi. Seguiva una tecnica speciale consistente nello spezzare la polpa del pomodoro sui bordi della crosta della fetta, così era più facile da distribuire sulla superficie e quando riuscì a uniformare la piattaforma di un colore rosato la salò e vi aggiunse un filo d’olio per il lungo e per il largo del territorio propizio, poi premette con due dita i bordi della fetta, affinché l’olio imbevesse ben bene il tutto.
Manuel Vázquez Montalbán, Il premio, Feltrinelli, 1998, pp.111-112
PAPANNOZZA
Assittato nella verandina, si era goduta la pappanozza che da tempo desiderava. Piatto povero, patate e cipolle messe a bollire a lungo, ridotte a poltiglia col lato convesso della forchetta, abbondantemente condite con aglio, aceto forte, pepe nero macinato al momento, sale. Da mangiare usando preferibilmente una forchetta di latta (ne aveva un paio che conservava gelosamente), scottandosi lingua e palato e di conseguenza santiando ad ogni boccone.
Andrea Camilleri, La gita a Tindari, Sellerio, 2000, pag.44
PESCE
“I pesci che Gesù moltiplica insieme ai pani sono, con tutta probabilità, pesci di lago, così come di pesci d’acqua dolce è formata la pesca miracolosa narrata dai Vangeli: antenati dei missoltitt, che a te piacciono con qualche riserva”…”Nell’impero romano il pesce è di mare, ed è la componente primaria del garum, la salsa che accomunava tra loro le mense di ricchi e plebei; per non parlare del salamen, il pesce conservato appunto sotto sale, antenato delle nostre acciughe e del baccalà”.
Hans Tuzzi, La belva nel labirinto, Bollati Boringhieri, 2017, pag. 130
PIATTO ESTIVO
Dopo la notte in bianco, Fiorenza aveva disdetto la cena con gli amici e ora stava preparando uno dei suoi piatti estivi: stufato nell’olio lo scalogno, stemperate tre acciughe, aggiunti aglio alloro uvetta capperi pinoli e aceto bianco, mise ad arrostire in un’altra padella due trance di tonno fresco, salato e pepato con pepe aromatico dell Val Maggia… e intanto rigirò le due fette di tonno, spense il fuoco, aggiunse poche gocce di limone, ricoprì con l’agrodolce cotto a parte per concludere in spolvero di scorza di limone e prezzemolo finemente tritati
Hans Tuzzi, La belva nel labirinto, Bollati Boringhieri, 2017, pp. 36-37-38
PIZZA AL TRANCIO
Però la pizza al trancio è un’altra cosa. Sta alla pizza napoletana come il caffè americano sta all’espresso. E’ un’altra cosa. E’ un padellone di circa 90 centimetri di diametro, una pasta alta; quando è ben cotta è spugnosa, morbida, con sopra pomodoro, formaggio, qualcuno ci mette l’acciuga e una bella spruzzata di olio d’oliva. L’hanno inventata dei toscani, così dicono, roba di cinquant’anni fa, emigrati a Milano. Si sono messi ad aprire rosticcerie a manetta. All’epoca c’erano poche pizzerie. Si dice che la prima a Milano sia nata intorno agli anni trenta.
Gianni Biondillo, Con la morte nel cuore, TEA, pag.127
POLLO FRITTO ALLA VILLEROI
Ho squartato il pollo e l’ho messo a macerare con un’arancia acre e due teste d’aglio e l’ho lasciato marinare. Ma deve essere un pollo bello grande, però. Poi l’ho rosolato con due etti di burro e due cipolle tagliate a rondelle. Dopo averlo fatto dorare per bene gli ho aggiunto una tazza di vino secco e ho condito con sale e pepe. Poi l’ho lasciato ammorbidire. Ho aspettato che si raffreddasse, l’ho disossato e poi sono partita con la ricetta vera e propria. Lo sapete che i francesi mettono la salsa dappertutto? Per questa servono burro, latte, sale, pepe e farina. Poi la si mette sul fuoco finché non ne viene fuori una crema densa, bella soda, senza neanche un grumo, e a quel punto ci si aggiunge altro vino secco e succo di limone. Metà di questa salsa va messa in un contenitore dai bordi alti e l’altra metà si mette sul pollo e si lascia raffreddare, finché non si rapprende. A quel punto si impanano i pezzi di pollo ed ecco fatto. Li ho appena fritti nello strutto caldo.
Leonardo Padura Fuentes, Venti di Quaresima, Tropea, 2001, pp. 209-210
PRANZO DI NATALE
Abbiamo appetito e ci tuffiamo nella squisita minestra in umido con i “galets”, i giganteschi conchiglioni di pasta rigata, senza lasciare un solo angolino di bocca libero per conversare, il che diventa possibile quando arriva la seconda parte della stessa specialità, le patate, il cavolo, i ceci bolliti e infine lo spettacolare dispiegamento delle carni, tra cui prediligo la “pilota”, lo squisito polpettone bollito, e gli zampetti di maiale, anche se non disdegno una bella porzione di sanguinaccio e divento tutt’occhi per cercare sul tavolino di servizio la promessa del pollo arrosto, pollo, vale a dire uno di quei polli che Madrona riesce a procurarsi a Natale e che sembrano succosi struzzi, lontani dal sapore di segatura di pesce tipica degli sventurati polli di allevamento industriale, quelle povere vittime di ogni Dachau della produzione di proteine per i ceti popolari.
Manuel Vázquez Montalbán, Erec e Enide, Frassinelli, pag.271
Nell’infanzia e nell’adolescenza associavo il pranzo di Natale alle olive ripiene servite con l’aperitivo e i liquori, loro li chiamavano così, che apparivano insieme a tre tipi di torroni: il friabile “jijona”, il durissimo “piedra” e quell’altro di marzapane e frutta candita. Un panetto di ciascuno che poteva durare dalla vigilia a Capodanno, compresi i pranzi natalizi del 25 e del 26 e San Silvestro. Il liquori erano dei digestivi e del cognac, Licor 43 e Soberano o Veterano.
Manuel Vázquez Montalbán, Erec e Enide, Frassinelli, 2002, pag.273
SEDICI TIPI DI ANTIPASTI
Gammaretti, gammaroni, totani, tonno affumicato, purpette fritte di ninnato, ricci di mare, cozze e vongole, pezzetti di purpo a strascinasali, pezzetti di purpo affucato, angiovi marinate nel suco di limone, sarde sott’oglio, calamaretti minuscoli fritti, calamaretti e seppie conditi con l’arancio e pezzetti d’acci, angiove arrrutulate con la chiapparina ‘n mezzo, sarde a beccafico, carpaccio di pisci spata…
Andrea Camilleri, La pista di sabbia, Sellerio, 2007, pag.180
SGOMBRO
La sera prima aveva messo insieme rapidamente quattro filetti di sgombro in agrodolce – quattro scalogni soffritti nell’olio fino a disfarsi, tre acciughe sfrante, pinoli, una foglia d’alloro, aglio scamiciato, uvetta rinvenuta nell’aceto bianco e capperi, il tutto cotto cinque minuti e versato sui filetti di sgombro arrostiti all’olio in un’altra padella; salati, pepati, cosparsi di scorza di limone e prezzemolo finementi tritati e mangiati. Bevendo Gargànega della Valpolicella orientale.
Hans Tuzzi, La vita uccide in prosa, Bollati Boringhieri, 2018, pag. 128
SPAGHETTI ALLA CARBONARA
Allora, se pijano quattr’ova e se divide er rosso dar bianco, se tengono tutti i rossi e solo du’ bianchi, e se comincia a sbatté, sbatté, e ce se mette na bella grattata de pecorino nostro, e se sbatte, se sbatte, poi ce se metté sopra er pepe nero. Oh. A ‘sto punto ‘sta specie de crema iniziemente se mette a bagnomaria, e se comincia a mescola’, finchè esce ‘na specie de dorce salato tutto mischiato. E ‘o lasci sta’. Oh. Poi piji quarche pezzetto de servaggina, che so, quaja, tordo, puro er piccione va bene, e lo fai rosola’ che resta croccante, e serbi er grasso de cottura. Oh. Poi fai abboli’ l’acqua, cali la pasta, e quanno è tirata, ma tirata proprio ar dente, me spiego, la scoli e la immischi alla crema de ova, ce metti sopra er grasso de cottura e li pezzi de animale, la quaja de cui sopra, e infine anche pecorino e proprio ‘n finale finale ‘n ‘anticchia de pepe nero. E sei servito.
Giancarlo De Cataldo, Quasi per caso, Mondadori, 2019, pp. 92-93
RETSINA
Nessuno, sembra, sa quando i greci cominciarono a trattare il vino con la resina. Certamente questo procedimento era noto in età bizantina. Alcuni ne fanno risalire le origini molto più indietro, basando la loro ipotesi sul viluppo d’edera a forma di pigna che nelle antiche sculture sovrasta talvolta il tirso di Dioniso. Si presume che questo gusto sia nato fortuitamente con l’usanza di calafatare le fessure dei barili e degli otri di vino con grumi di resina. Le pendici vestire di vigne e di pini dell’Attica sono il vero habitat della retsina, ma molte altre regioni ne vanno famose. Forse le due fonti più celebri, per berla sul posto e per esportarla in regioni e isole meno generosamente favorite, sono l’antica città di Megara, a metà strada fra Atene e Corinto e Caristo nell’Eubea.
Patrick Leight Fermor, Mani Viaggi nel Peloponneso, Adelphi, 2004, pp. 308-309
RIJSTTAFEL ALLA MEDITERRANEA
Se d’abitudine un rijstafel esibizionista si presentava con oltre venti piattini complementari, Biscuter ne presentava ben di più grazie al procedimento di variare e adattare i citati piattini, e non solo con invenzioni della zona catalana dell’Ampuurdà: pollo con gamberi, calamari nel loro inchiostro, minuscoli calamari ripieni di carne, fagottini di cavoli, escalibada, funghi con pezzetti di salciccia, pesce alla marinara, zuppa di pesce all’aroma di finocchietto, fricassea, pollo all’aglio, gallina in salsa pepitoria, trippa con i ceci, insalate condite con romesco, baccalà a la llauna, polpettine con le seppie, spinaci con pinoli e bacon, cubetti di formaggio saltati in padella con aglio e peperoncini dolci, insalata di barbabietole, cetriolini, capperi, olive ripiene, funghi e sottili fette di agnello in salsa agrodolce, lonza di maiale in agrodolce, ostriche affumicate annaffiate di champagne, oloturie all’aglio e al coriandolo, carciofini ripieni di uova di coturnice e un cucchiaino di caviale, tocchi di tonno crudo marinati nello zenzero, nell’aceto balsamico e nella soja, e cipolline condite con salsa salvitjada.
Manuel Vázquez Montalbán, Millennio 2. Pepe Carvalho, l’addio, Feltrinelli, 2005, Erec e Enide, pag.65.
RIFLESSIONE
Aveva scelto un pranzo che non aveva bisogno né di riflessione né di qualsivoglia preparazione spirituale. Un pranzo compagno discreto di qualunque meditazione trascendentale. Neppure il prosciutto sarebbe stato un compagno adeguato. Il prosciutto esige una degustazione critica, ponderata. Invece la salciccia catalana è un insaccato cotto che si adatta alla meccanica del gusto e della masticazione senza grandi pretese. Esigerla ben farcita era il minimo necessario perché il sapore lo sorprendesse di tanto in tanto, quando i pezzettini di tartufo aromatizzavano bruscamente la cavità boccale e gli solleticavano la punta del naso. Qualsiasi cosa mangiasse, doveva sempre lasciare uno spazio alla dialettica, o partendo dal sapore oppure dagli ingredienti del cibo.
Manuel Vázquez Montalbán, Assassinio al Comitato Centrale, Sellerio, 1986, p.28
RISO
Il riso è una bestiolina molto delicata, signor Camps. In apparenza si può fare quel che si vuole, ma ha un’anima nucleare molto sensibile. Non si può paragonare né alla patata né alla pasta italiana, che sono anche semplici veicoli con volume e testura per ogni tipo di sapore. Il riso ha bisogno di un sapore fondamentale, oppure deve restare staccato per assorbire tutti i sapori. Ecco perché lo si può cucinare solo con ingredienti che abbiano lo stesso padre e la stessa madre, e quando si combina con carne e pesce deve trattarsi di riso in bianco, bollito nella sua solitudine, passato e poi combinato con altre solitudini. I veri valenciani sono gli inventori del riso cucinato in compagnia e non sono gli inventori di quella cosa truce che in molti ristoranti chiamano paella di pollo e frutti di mare. I cinesi e gli asiatici sono i maestri del riso solitario, e lo combinano poi con quello che si vuole, che siano tre, quattro o cinquemila delizie.
Manuel Vázquez Montalbán, Il centravanti è stato assassinato verso sera, Feltrinelli, pag.26
TACCHINO RIPIENO DI RISO E FAGIOLI STUFATI
Ieri ho comprato il tacchino e, dal momento che oggi ho sbrinato il congelatore, era ancora morbido, così l’ho tirato fuori e l’ho fatto marinare mentre finiva di scongelarsi. Nella concia ho messo aglio, pepe, cumino, origano, foglie di basilico, prezzemolo e claro, arancia acerba e sale, e l’ho bagnato per bene, dentro e fuori, con questo intingolo. Poi gli ho messo sopra cipolla in abbondanza, tagliata così, a grandi rotelle. Sarebbe stato meglio lasciarlo a macerare nella concia per un paio d’ore, ma siccome vi leggo in faccia che siete affamati. Allora, dal momento che avevo dei fagioli neri sul fuoco, mi sono messa a preparare un buon soffritto: ho preso due fette di pancetta, le ho tagliate a cubetti e le ho messe a friggere, e in quel grasso ho versato altra cipolla, tritata per benino, aglio schiacciato e peperoncino quanto basta, e voilà! quando si erano ormai ammollati, ho messo i fagioli nel soffritto e ho aggiunto una tazza di vino secco, perché rimanessero aciduli, così come piacciono a voi, no?…
Poi ho aggiunto il riso bianco perché si stufasse, l’alloro, un altro po’ di origano, così a occhio, un pizzico di sale, una spruzzata di cipolla tritata a dadini. Quindi ho aspettato che il riso si asciugasse, ma prima che i chicchi si ammorbidissero del tutto, chiaro, l’ho tolto dal fuoco e con questo stufato ho riempito il tacchino, perché finisca di cuocere dentro alla carne, ecco..E guarda un po’, lo sai che cosa mi mancava? Gli stuzzicadenti per tenerlo chiuso…E allora l’ho ricucito con i gambi delle arance, che sono belli e robusti. Poi, chiaro, l’ho messo in forno…
Leonardo Padura Fuentes, Maschere, Nuove Edizioni Tascabili, 2003, pp.207-208
TAMAL IN FRICASSEA
Non è un Tamal qualsiasi, è fatto con il mais grattugiato, che è molto meglio di quello macinato, e successivamente l’ho passato al setaccio perché non ci restasse in mezzo la crusca; ci ho messo un po’ di zucca per dargli consistenza, e dentro ci sono carne di maiale, pollo e costine di manzo.
Leonardo Padura Fuentes, Venti di Quaresima, Tropea, 2001, pag. 182
THANKSGIVING DAY
Un tacchino arrosto, un prosciutto affumicato, un piatto di quaglie e un altro di scoiattolo, un opossum al forno su un letto di patate dolci, insalata di cetrioli e barbabietole e patate dolci e patate d’Irlanda, e riso e polenta e biscotti caldi e biscotti secchi, e delicati grissini di granoturco, e marmellate di fragola e di pera, e gelatine di cotogna e di mela, e composte di mirtilli e pesche in conserva.
William Faulkner, Sartoris, Garzanti, 1975, pag.349
TROTA ALLA MONTANA
La prima vera trota “alla Montana”e cioè la prima cucinata da un viso pallido, risale probabilmente alla spedizione Lewis e Clark, quando fu fritta in una padella con grasso di montone e sale, ammesso che ne fosse rimasto…C’è un tipo a Timbemburg, secondo il quale la vera trota “alla Montana” dev’essere strofinata sul grasso di prosciutto, avvolta in carne da macellaio, ben pepata e salata, e ficcata nel forno di una cucina da campo. Il tempo di cottura dipende dalla grossezza della trota. La signora Greve ha ereditato la ricetta da uno zio. Gli unici particolari che ha cambiato sono: sostituisce la carta da macellaio con un foglio d’alluminio e il forno di una cucina elettrica al posto di quello da campo. Molto semplice. Si adagia una fetta di grasso di prosciutto sul foglio d’alluminio, si cosparge di zucchero non raffinato e di sottili fettine di cipolla, con l’aggiunta di abbondante salsa Worchestershire. La trota viene servita dentro il foglio d’alluminio.
Rex Strout, Nero Wolfe e il caso dei mirtilli in Delitti in vacanza, Mondadori, 2001, pag.108
TORTA AL TESTO
Aeneas primique duce set pulcher Iulus
corpora sub ramis deponunt arboris altae
instituuntque dapes et adorea liba per herbam
subiciunt epulis, sic Iuppiter ipse monebat,
et cereale solum pomis agrestibus augent.
consumptis hic forte aliis ut vertere morsus
esigua in Cererem penuria adegit edendi
et violare manu malisque audaci bus orbem
fatalis crusti patulis nec parcere quadris:
“Heus! Etiam mensas consumimus” iniquit Iulius,
nec plura adludens.
Enea e lo stato maggiore e il bellissimo Iulio,
posati i corpi all’ombra dei rami d’un grande albero,
imbandiscono il pasto, e sotto i cibi nell’erba
dispongono focacce di farro, secondo i dettami di Giove,
e colmano il piatto cereale di frutti selvatici. Poi,
consumano il resto, quando la penuria di cibo li istiga
a mettere i denti sulle pizze sottili di Cerere
e a violar con le mani e con le mascelle indolenti i bordi
“Ma no! Ci stiamo mangiando anche i piatti”, fa Iulio per scherzo:
nient’altro.
VII, 1-405
Vittorio Sermonti, L’Eneide di Virgilio, BUR Rizzoli, pp. 365-3671
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