3 novembre 2019 L’impopolarità

E’ il momento di essere impopolari, è l’ora di uscire dalla corrente principale, di mettere in discussione il senso comune, di smettere di inseguire il consenso della “gente”, di parlare alla pancia di strati sociali impauriti e disorientati. Va messa in atto una agenda politica che non avrà nell’immediato adesioni a livello popolare, perché proporrà mutamenti profondi delle convinzioni diffuse, dei comportamenti dominanti e delle aspettative largamente coltivate.
A partire dall’dea che siamo oggetto di una invasione delle nostre terre da parte di alieni, di non persone, di criminali già in essere o in procinto di diventarlo, perché abbiamo assolutamente bisogno di quegli esseri umani in fuga da guerre, persecuzioni, carestie. Ne ha bisogno la nostra economia manifatturiera, il nostro welfare, sia previdenziale che di servizi, le nostre campagne abbandonate, le nostre comunità desertificate. La transizione demografica che l’Italia (e l’Europa) sta vivendo in questo momento, sta modificando in maniera radicale i profili quantitativi e qualitativi delle nostre popolazioni, sta provocando carenze di manodopera, abbandono di territori, chiusura di servizi pubblici, riduzione del gettito fiscale. Non è solo la mancanza di lavoro a impoverirci, ma la mancanza di esseri umani in grado di lavorare, di fare figli, di fare società. Le risorse, a partire dal tempo che dedichiamo a questo problema, andrebbero dedicate alla ricerca di soluzioni credibili e fattibili per la piena inclusione di questi nuovi cittadini nelle nostre esauste comunità.
Così non possiamo più permetterci di affidare la nostra vita, sia lavorativa che di svago, al motore termico e all’utilizzo esclusivo dei mezzi che ne vengono alimentati, pena l’ulteriore riscaldamento del pianeta, il collasso della circolazione, la sedentarietà individuale. Così l’energia non può più essere prodotta dai combustibili fossili, ormai in via di esaurimento oltre che essere altamente inquinanti, ma dal sole, dal vento, dall’acqua, riconvertendo le nostre città, da giganteschi drive-in a spazi pienamente fruibili con mezzi alternativi e dotate di una rete di servizi di prossimità.
E poi dobbiamo pagare le tasse. In maniera progressiva, non appiattite su tutti i redditi, secondo il principio “da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo le sue necessità”, perché con la fiscalità generale manteniamo la sanità pubblica, la scuola pubblica, le forze dell’ordine e della sicurezza, i vari apparati di indirizzo e controllo dello stato di diritto, il sistema della previdenza e dell’assistenza pubblica. Senza la fiscalità generale, che deve essere equa e a carico di tutti, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione e all’informazione, il diritto alla sicurezza sarebbero un privilegio di pochi, dei ricchi e straricchi, in grado di vivere senza il Servizio Sanitario Nazionale, il welfare state, la tutela pubblica di beni e persone. Negare le tasse, qualsiasi sistema di tassazione (e la conseguente lotta all’evasione fiscale), è il frutto di una mentalità da sudditi, privi della consapevolezza di diritti propri, in attesa solo di regalie e favori elargiti da un sovrano dotato di pieni poteri. Sudditi non cittadini.
Nessuna di queste proposte (e delle tante altre che ne sono connesse) gode del consenso popolare. Per farle proprie bisogna mettere in discussione credenze, comportamenti e aspettative largamente diffuse in ampi strati sociali. Se la politica si facesse carico di questa opera di alfabetizzazione sociale dovremmo solo affinare gli strumenti pedagogici e correggere eventuali errori di metodo. Ma oggi la politica non è più un servizio, ma un mestiere come altri e come tutti i mestieri deve garantire profitti e prestigio. Immediati.

4 Commenti

  1. Caro Marcello, concordo pienamente con quanto scrivi e leggo sempre con molto interesse le tue riflessioni che sono il frutto della tua vita e della tua esperienza politica anche a contatto con i centri di potere della nostra Umbria. Con i miei figli emerge spesso l’esigenza di un impegno politico, non solo nel quotidiano come cittadini consapevoli, ma anche in una struttura politica nella quale portare il proprio contributo e arginare l’imbecillità e la malafede dilagante).Poi si pone il problema della scelta (non si discute quale sia la parte giusta ma solo con chi…) Un grande abbraccio!

  2. Come non essere d’accordo con una analisi che ha anche il pregio di non essere lamentosa al limite dell’impotenza, ma finalmente d’attacco. Sì smettiamola di blandire chi per anni è stato l’oggetto del nostro desiderio e che invece di essere il motore della storia si sta facendo strumentalizzare per una vergognosa guerra tra poveri. Ma per contrastare questa tendenza e cercare di rovesciarla bisogna che alla teoria, di cui noi “sinistri” siamo maestri, si ricominci ad affiancare quella che il compagno Carletto chiamava “prassi” e che ai tempi belli traducevamo in “lavoro di massa”. Aspettare la costruzione di un partito che abbia autorevolezza per gestire questa fase sarebbe ancora una volta patetico ed illusorio. Bisogna accontentarsi di quello che c’è ed incominciare ad uscire per la strada.

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