Le premesse di una sconfitta così sonora del nuovo
centrosinistra (allargato ai grillini) in Umbria c’erano tutte: una candidatura
a presidente opaca e anonima sul piano politico, un accordo elettorale tra Pd e
5Stelle tardivo e ambiguo, una frantumazione della sinistra in tanti cespugli
insignificanti (addirittura due partiti comunisti), la perdita recente del
governo di importanti città, quali Perugia, Terni, Todi e Foligno, una gestione
del potere amministrativo regionale da parte del Pd miope e disinvolta (al
limite del penale) e una sua totale inconsistenza organizzativa e
rappresentativa, una pochezza incredibile di proposte rispetto alla profonda
crisi economica e sociale dell’Umbria. Per non parlare del mainstream di destra,
la tendenza che oggi beneficia di un seguito di massa a livello locale,
nazionale e internazionale, con la Lega protagonista assoluta nel dettare
l’agenda politica (prima l’immigrazione poi le tasse), una comunicazione
politica passionale e minimalista, una crisi verticale di modelli culturali e
una radicale ridefinizione delle gerarchie valoriali.
Nessuna meraviglia dunque per questo esito elettorale, scontato e prevedibile,
frutto di anni di disimpegno sociale e culturale del centrosinistra,
rabberciato alla meglio con l’inclusione dei grillini, riluttanti se non ostili
rispetto al loro inserimento nell’area cosiddetta progressista.
La mancata sorpresa non può comunque nascondere l’amarezza, anche perché sarà
difficile, se non impossibile, evitare contraccolpi sul governo giallorosso.
Sarà un bel dire la portata limitata del corpo elettorale umbro e il valore
tutto localistico della competizione. Perdere con un distacco di oltre 20 punti
in percentuale non è cosa da poco, dopo una presenza sul suolo umbro di tutti i
competitor nazionali, compreso il presidente del consiglio, a inseguire uno
sfrenato leader legista, ormai a tempo pieno e vicinissimo ai pieni poteri
richiesti.
Se il movimento 5 Stelle non ha garantito un apporto significativo al candidato
Bianconi, da loro scelto e imposto (a scapito di Fora), passando in Umbria dal
25 % delle politiche del 2018 all’attuale 8%, sarà in grado di garantire
sostegno, fiducia e lealtà al governo Conte bis, dopo l’ennesima disfatta
elettorale locale? Il rischio di una sua implosione è alto, stretto tra una
rivendicazione identitaria e la volontà di “fare governo”, spregiudicatamente,
con chiunque sia disponibile e con poche (o molte ma generiche) idee.
E’ nel loro interesse aspettare comunque le contromosse di altri, non del Pd
che limita i danni, ma di Matteo Renzi, ubriaco di protagonismo ma dotato di
intuito politico. Ha sicuramente sniffato puzza di bruciato, tanto da tenersi
lontano dall’Umbria. E’ pronto a raccogliere i cocci di Forza Italia, ma deve
smarcarsi, rimanere solo sul palcoscenico della politica e giocare le sue
carte. E’ solo questione di tempo.
Nel frattempo lontano dall’Umbria, oggi veramente cuore verde d’Italia,
migliaia di persone scendono in piazza in America latina (Santiago del Cile),
Medio oriente (Bagdad), Estremo oriente (Honk Kong), Europa (Barcellona), a
contestare l’attuale status quo internazionale, il divario tra ricchi e poveri,
l’impoverimento se non la emarginazione di interi strati sociali, a rivendicare
autonomie e riforme radicali.
Da lì arriva la vera sfida al governo italiano.
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