L’ Associazione Temporanea di Imprese (ATI) è una formula giuridica nella quale più imprese si uniscono per partecipare insieme alla realizzazione di un progetto specifico, per la cui attuazione le singole aziende non possiedono, individualmente, tutte le competenze operative.
Una tale associazione è composta da un’azienda capogruppo, detta mandataria, alla quale le altre aziende che ne fanno parte, dette mandanti, danno l’incarico di trattare con il committente l’esecuzione di un’opera ed ha una durata coincidente con l’effettuazione dell’opera per la quale è stata costituita.
L’operazione politica che 5 Stelle e PD stanno concordando, per le modalità con cui è nata e si sta sviluppando, assume sempre più i connotati di un’ ATI, al di la delle reciproche e roboanti dichiarazioni riguardo a volontà progettuali e intenti di lunga durata. Lo scontro in atto non sembra essere sul progetto, in cui tutti concordano essere l’unico possibile, ma su chi assume il predominio dell’associazione, su chi sia cioè il soggetto mandatario, quello abilitato a trattare con il committente, in questo caso il Presidente della Repubblica e in futuro il Parlamento della Repubblica. La definizione di un vicepresidente (o di due) e gli equilibri all’interno del governo, sono esssenziali per salvaguardare chi si considera il soggetto mandatario, grande e rappresentativo, ma con una organizzazione priva di tutte le conoscenze, i mezzi e le strutture necessarie per eseguire il progetto.
Chi non aveva dubbi in proposito sembra sia stato Matteo Renzi, convertitosi repentinamente a questa soluzione, divenuta a lui cara, soprattutto perché temporanea, cioè strettamente legata alla soluzione di pochi e stringenti problemi, di natura strettamente economica e finanziaria.
Ben altri problemi ha chi è rappresentante politico di un partito, non un battitore libero e neanche in procinto di diventarlo, che ha assolutamente bisogno di dare un respiro progettuale al progetto, che vada al di là di un accordo contingente e temporaneo, che superi visioni ristrette, tatticismi e tornaconti. Ma la logica di un ATI è quella di integrare consensi e apparati, in una complementarità momentanea, per ottimizzare un profitto dal presente, senza nessuna ipoteca sul futuro. L’obiettivo è infatti vincere una partita dell’oggi, pena la vittoria di altri e la fuoriuscita dal “mercato”, che in questo caso è il consenso elettorale.
Per il Partito Democratico è un terreno impervio, anche scivoloso, irto di ostacoli, dove pesa la sua stessa natura di organizzazione che vuole essere ancora di massa, che ha bisogno di spazi aperti e liberi per scontri ideologici, per manifestare ideali, per contrastare frontalmente gli avversari, differenziandosi nettamente. Ma lo è ancora una parte di esso, mentre un’altra parte ha subito e subisce il fascino del cambiamento, della rottamazione, dell’alleggerimento ideologico e morale, dell’improvvisazione per adeguarsi ai repentini cambiamenti di umore di una popolo stremato e disorientato.
Meno problemi hanno i 5 Stelle, la cui spregiudicatezza ideologica (non post ideologica) permette qualsiasi opzione politica e non condiziona alleanze, né tantomeno programmi. Ritornati da poco “grillini” per la nuova entrata in campo del fondatore, hanno ritrovato l’aggressività originaria, dopo mesi di acquiescenza e subalternità, e con essa il vezzo dei proclami e dell’autoesaltazione. Liberatisi di un alleato scomodo e prepotente, ne hanno trovato uno apparentemente comodo e tollerante, con cui andare ad accordi frettolosi e generici, in una associazione dove l’unica cosa certa è la vittoria di un appalto, non la conquista di un futuro.
ATI o non ATI il tentativo andava fatto. Anche perché c’è una possibile alternativa: l’evoluzione delle associazioni d’impresa in consorzi stabili, che costituiscono associazioni che prevedono una durata indeterminata, in grado di andare oltre l’odierna inadeguatezza di committenti, mandatari e mandanti.
condivido in tutto, ma la soluzione duratura quale sarà?