In un recentissimo dibattito parlamentare il Presidente del Consiglio (dimissionario) e il Ministro degli Interni (non dimissionario) si sono aspramente confrontati su chi ce l’aveva più lungo (il coraggio), rivendicando ognuno il possesso di questa forza morale che mette in grado di affrontare difficoltà, sacrifici e pericoli. Come se fossero i soli in possesso di questo requisito, se lo sono conteso, sancendo la rottura di un rapporto politico che, a questo punto, è legittimo pensare fosse basato sulla pavidità e sull’acquiescenza.
Entrambi hanno rivendicato la legittimità ad una ribellione ad uno stato di cose che era diventato intollerabile per entrambi, mettendo in discussione non tanto identità ideologiche ed appartenenze politiche, quanto l’agire e il fare di un governo voluto allora (un anno fa circa) da un movimento politico ( 5 stelle) allora prima forza politica del paese, con una forza minoritaria, anche se in crescita (La Lega di Salvini), dopo il fallimento delle trattative con il Partito Democratico, guidato allora da Matteo Renzi.
Nell’aula del Senato sono a questo punto volati gli stracci tra i due soci dell’ormai ex governo gialloverde, che si era autonominato “governo del cambiamento”, con pesanti accuse reciproche di tradimenti, di complotti, di trasformismo, di inciuci segreti e immorali (politicamente).
L’opinione pubblica, al netto delle tifoserie di parte, è rimasta attonita e sgomenta di fronte alla contestazione dei fatti, alla distorsione delle notizie, all’alterazione delle verità, con l’unica certezza dell’avvio di una crisi di governo, anche senza una formale mozione di sfiducia. In un totale disorientamento si è subito guardato al Presidente della Repubblica, invocato come un santo protettore, un demiurgo in grado di pilotare la crisi agostana, foriera per la sua tempistica improvvisa (ma non imprevedibile) di disastri economici, finanziari e istituzionali.
Il fatto è che l’Italia non è una Repubblica presidenziale ma una Repubblica parlamentare ed è il Parlamento che deve trovare soluzioni, deve raggiungere compromessi sensati, deve garantire prospettive a lungo termine.
Lo farà? O se ne laverà le mani, autoscioglierndosi in nuove elezioni, rinunciando alle proprie prerogative costituzionali, accontentandosi di essere non il luogo della rappresentanza popolare, ma della rappresentazione di opportunismi, di egoismi di parte, delle volontà di prevalere di una parte sul tutto, dove il tutto è il bene comune?
E’ il momento del coraggio.
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