Sono ormai agli atti le dichiarazioni di continuità del governo gialloverde, reiterate innumerevoli volte da Conte, Salvini e Di Maio, a rassicurare più sé stessi e i propri sodali che l’opinione pubblica, attonita per il clima di litigiosità e di disistima tra i due partner di governo. E’ agli atti anche l’infelicissima frase del premier Conte, “sarà un anno bellissimo”, a fronte di una gravissima e persistente crisi economica e sociale, ma non è agli atti un provvedimento varato dall’ormai ex governo italiano, il cosiddetto decreto sicurezza bis. Con esso l’Italia rinnega la sua storia di paese di migranti e nega la sua natura di luogo di frontiera, ma soprattutto attribuisce pieni poteri al ministro degli Interno, per limitare o vietare l’ingresso, il transito e la sosta di navi nel mare territoriale. Il Consiglio dei Ministri non è più un organo collegiale e il suo Presidente non è più colui che dirige la politica generale del Governo, mantenendo l’unità di indirizzo politico ed amministrativo. Del resto dall’insediamento del governo gialloverde Matteo Salvini è stato un ministro plenipotenziario, intervenendo non solo nel campo che gli competeva, quello dell’ordine pubblico, ma anche in quello dell’economia, della programmazione, della sanità, del welfare e non è un caso che stia chiedendo di poter assumere pieni poteri, grazie ad un voto plebiscitario nelle prossime elezioni. Non più un uomo solo al comando, come pretendeva Berlusconi, ma un uomo forte, a scapito di un Parlamento privo ormai di ruolo e di autorevolezza, con una Magistratura ormai debolissima per il grave scandalo delle nomine del Csm, una stampa che è a corto di credibilità e di fiducia, l’opposizione in un angolo, sia per sue responsabilità, sia perché un uomo forte non tollera, pena la diffamazione e la delegittimazione, progetti alternativi.
I modelli di riferimento non mancano, a partire da russo Putin, fiancheggiato da una nuova Europa, costruita dalla Lega di Salvini, da Orban, da Le Pen con l’assenza-presenza di Boris Johnson, per non disdegnare Donald Trump e i suoi imitatori latinoamericani, in primis il brasiliano Bolsonaro. L’impero cinese è lontano e vicino nello stesso tempo, in grado di offrire suggestioni finanziarie ed economiche, ma (per ora) non politiche o istituzionali.
Un modello alternativo sta nella democrazia liberale, ma il fatto che oggi la si debba predicare, specificando se si tratta di democrazia rappresentativa, parlamentare, diretta, plebiscitaria, conferma un suo logoramento, una sua perdita di credibilità e di consenso.
Basterebbe applicare la Costituzione repubblicana, ma oggi è oggetto di attacchi diretti e indiretti, di richieste di modifiche e di abrogazioni, di insofferenze e di ironie, anche perché fu modellata per impedire un nuovo uomo forte, dopo Benito Mussolini.
Rimane la ragione. Non solo la ragione di stato, che sembra smarrita, ma la ragione politica, che nasce non dalla convenienza o dal realismo, inchiodati al presente, ma dall’inchiesta, dallo studio, dall’ascolto, che ipotizzi una possibile città futura per individuare obiettivi prefiguranti e mediazioni accettabili, che valorizzi competenze e capacità, che ridimensioni false aspettative, che parli alla testa e non alla pancia di uomini e donne, di giovani e vecchi, di cittadini e di persone in attesa di cittadinanza.
E che sia animata da passione civile, non dal calcolo egoistico o dalla affermazione individuale. La ragione del noi non dell’io.
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