30 maggio 2019 Perugia: la bella addormentata

E’ giusto considerare il presente inaccettabile per la sua mediocrità e la sua insignificanza?

E’ giusto indignarsi per la mancanza di un progetto, di una proposta, di azioni concrete nel campo politico?

E’ giusto lamentarsi di una azione amministrativa che non sembra riflettere una idea di città, una visione urbana, una cultura civica?

Sono domande che ci si deve porre all’indomani delle ultime elezioni amministrative a Perugia, dopo che una larga maggioranza ha riconfermato al primo turno il sindaco uscente, premiando di fatto la sua amministrazione e la coalizione politica di centrodestra che lo ha sostenuto nell’ultima sindacatura.

Di fronte alla schiacciante evidenza di questo dato sorge il sospetto che questa città non abbia problemi, né di natura sociale né economica, che contraddizioni non la attraversino, che eventuali questioni lasciate aperte e insolute dalle passate amministrazioni siano state affrontate e risolte, che le problematiche che assillano tutti i contesti urbani, dall’inquinamento alla desertificazione sociale, dall’impoverimento dei ceti più deboli al ridimensionamento dei servizi pubblici, dalla crisi dei settori produttivi alla rarefazione delle attività commerciali, non esistano in forma preoccupante, perché affrontate da una energica ed efficace azione amministrativa.

E’ doveroso porsi questi dubbi, perché è possibile avere una visione distorta, deformata da un eccesso ideologico, da un ipercriticismo fine a se stesso, da una partigianeria sterile e ottusa. E poi non è corretto pretendere di avere ragione rispetto alla maggioranza dei propri concittadini.

Eppure i conti, al netto dei dubbi e dei ripensamenti, non tornano.

Non sono conti matematici, risultati dalla lettura di dati relativi all’occupazione, alla produttività, alla ricchezza prodotta, al costo della vita, alla rendita e al valore immobiliare o all’offerta commerciale, su cui va costruita una valutazione seria e articolata sullo stato di salute di una città e sull’efficacia amministrativa di chi la governa.

Sono conti politici, valutazioni soggettive e pertanto valgono come arbitrarie e di parte.

Il primo conto riguarda il ruolo di Perugia in Umbria e in Italia. Oltre il fatto burocratico di essere il capoluogo regionale, Perugia era riconosciuta egemone (in senso gramsciano) dagli altri territori umbri (e anche a livello nazionale) per tre fattori indiscutibili: un tessuto produttivo di alto livello qualitativo e quantitativo (con la Perugina in testa); la presenza di due università; la capacità di attrarre abitanti e residenti, per qualità di vita ed offerta di servizi. Di questi il primo è largamente ridimensionato, con la Perugina relegata a fabbrica periferica di una multinazionale interessata solo al mercato internazionale e disinteressata a ricerca e sviluppo tecnologico; la crisi profonda dell’Università degli Studi, favorita da una dissennata politica di decentramento regionale e parzialmente nascosta da effervescenze elettorali e rettorali, affiancata dalle difficoltà dell’Università per Stranieri, di fatto ha fatto perdere alla città il suo ruolo di capitale della cultura; rimane solo una massa critica di oltre 160.000 persone, tra residenti e abitanti, dispersi in una area urbana vasta e disomogenea, policentrica e sbilanciata, con una identità sfumata e incerta.

Il secondo conto riguarda proprio il suo tessuto urbano, le sue articolazioni sociali, la qualità del suo costruito. La politica urbanistica di un comune è il frutto di decenni di amministrazioni e poco è attribuibile all’ultimo sindaco, ma segni di controtendenza andavano dati, nel senso di una riqualificazione dell’esistente, a fronte di un blocco dell’espansione urbana, non affidata al mercato, ma a precise scelte programmatorie. La mobilità, con un incremento di quella alternativa e di quella “dolce”, l’arredo urbano, inteso non solo come decoro, ma come servizio pubblico e la tutela del centro storico andavano letti come logico corollario di una politica urbanistica che riqualificasse la vita di migliaia di cittadini. Sono rimasti problemi aperti, sicuramente di difficile soluzione, ma bisognosi di maggiore determinazione e di capacità di innovazione.

Il terzo conto riguarda lo stato dei servizi, tra i quali va intesa anche l’offerta commerciale, vero e proprio spazio sociale, indicatore di vitalità e salubrità urbana. Su questo terreno si gioca la partita fondamentale della giustizia sociale e del “risarcimento” di strati sociali deboli e impoveriti dalla crisi. Qui non basta la tutela dell’esistente, ma il suo incremento. Trasporti pubblici, asili nido, scuole materne, case della salute, sportelli di cittadinanza, tutoraggio sociale, vigilanza (non polizia) urbana vanno potenziate o addirittura create ex novo, perchè sono i veri strumenti non solo della tutela, ma anche della inclusione e della sicurezza, antidoti alla rabbia e alla disperazione.

Va bene. Conti non canti, dati non narrazioni, evidenze non opinioni.

Ci sarà tempo per tutto questo. Per ora si tratta di uscire dall’annichilimento e dall’ammutolimento. Perché se Perugia rimarrà una bella addormentata, al suo risveglio, invece di una aurea mediocritas, troverà contraddizioni profonde e laceranti.

1 Commento

  1. Caro Marcello, ho letto tutto d’un fiato questo tuo scritto solo oggi (21 agosto) e ti voglio manifestare tutto il mio apprezzamento per la lucidità con cui scrivi di questa città. Di certo dovremmo interrogarci anche sulle persone che in questi decenni si sono spese (nel bene o nel male) perché non si arrivasse a questa sorta di capolinea. Hanno realizzato un bilancio del loro operato? Pensano di poter tirare i remi in barca? Che cosa offrono della loro esperienza alle giovani generazioni?

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