Nel commentare i voti spesso ci si dimentica di come siano cambiate le motivazioni e le dinamiche di scelta elettorale, conseguenza di radicali trasformazioni sociali e culturali. Oggi il voto è una scelta fondamentalmente individuale, risultato di suggestioni che sono indirizzate alla singola coscienza e finalizzato a soddisfare bisogni e aspettative che sono proprie di ogni singola persona. E’ il risultato di una profonda atomizzazione della società, in cui il voto non è più l’espressione collettiva di una famiglia, di una comunità, di una sezione politica, di una parrocchia, come è stato largamente nel passato, quando ceti, gruppi e classi sociali erano ancora coesi, identificati e identificantisi in un territorio, in un specifico contesto urbano e sociale. Il voto era coerente con le decisioni del capofamiglia, del capo sezione, del parroco, del vicino influente e veniva confermato e legittimato nelle frequentazioni quotidiane della tavola familiare, del bar, del circolo politico, della parrocchia. Quasi mai ci si discostava da queste volontà collettive, pena il biasimo, lo sfottò se non addirittura l’emarginazione. Oggi la famiglia è rarefatta, i circoli politici sono chiusi, i bar sono luoghi essenzialmente per il consumo, le parrocchie sono pressoché deserte, i quartieri hanno perso ogni innervazione sociale, rappresentata dalla rete artigianale, dal commercio di prossimità, dai rituali di vicinato. Sono altre le modalità di formazione del consenso elettorale, indipendentemente da appartenenze di classe, di genere, di ceto e sono affidate prevalentemente alla comunicazione indiretta e mediata, ai mass media onnipresenti e onnipotenti, che hanno sostituito il comizio, il manifesto, il volantino, la propaganda porta a porta. La brevità e l’essenzialità del messaggio, i toni aspri e violenti, il ricorso non straordinario alle fake news, puntano alle emotività e alla istintualità individuale, al coinvolgimento emozionale dell’elettore. Se forse è stato così anche nel passato, tutto questo non è temperato dal confronto, dal contraddittorio, dalla critica, perché pretenderebbero tempo e spazio, che non sono dati dalla politica odierna. La conseguenza è un voto fluttuante, privo di stabilità, destinato ad essere passeggero, legato agli umori, alle paure, alle sensazioni del momento. Come si spiega altrimenti che negli ultimi trent’anni siano stati premiati in forma quasi plebiscitaria Forza Italia di Berlusconi, il PD di Renzi, Il movimento 5 Stelle, ed oggi la Lega di Salvini? Come è altrimenti possibile che una forza politica raddoppi, triplichi i suo voti nello spazio di pochi anni, mentre altre precipitino nello stesso arco di tempo “dalle stelle alle stalle”? I perdenti di turno denunciano spesso la dabbenaggine o la poca coerenza degli elettori, come se il voto, che oggi è fondamentalmente d’opinione, sia inficiato e inficiabile e non l’espressione dei tempi e dei modi della politica attuale, a sua volta specchio fedele della cultura e degli assetti sociali attuali. L’attenzione andrebbe rivolta alle laceranti contraddizioni della società attuale, alle disuguaglianze crescenti, alla povertà dilagante in ampi settori sociali, al dissennato consumo di suolo, aria e acqua. Sulla risoluzione di queste questioni, come di altre di assoluta attualità ed emergenza, andrebbe richiesto il consenso elettorale ed un conseguente mandato di governo. Ciò pretenderebbe un voto meditato, frutto di una convinzione ideologica e di una visione strategica, espressione di una speranza di cambiamento. Ma ciò non è dato per la desertificazione culturale, sociale, ambientale, per il prevalere di egoismi, particolarismi e individualismi, per la sfiducia nel futuro e per la rassegnazione all’esistente. Qualcuno potrebbe dire con una battuta: “E’ il neoliberismo, bellezza!”.
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