25 gennaio 2019 Fascismo, neofascismo, postfascismo

F

La generazione precedente alla mia (sono nato nei primissimi anni del dopoguerra) ha fatto pesantemente i conti con il fascismo. La mia si è scontrata con il neofascismo. Quelle successive, (sono almeno due) si devono confrontare con il postfascismo.

Sono tre fenomeni molto diversi, difficilmente riproponibili per le loro caratteristiche in epoche e contesti nuovi rispetto a quelli in cui sono nati e si sono affermati, ma che hanno comunque connotati simili, che giustificano, al di là dei prefissi, il sostantivo che li accomuna: fascismo.

E’ un termine invocato, spesso a sproposito, per drammatizzare la realtà attuale, ben sapendo che il fascismo (così come il neofascismo) è un fenomeno ormai storico, definitivamente concluso, sicuramente nel suo armamentario simbolico, ma anche in quello ideologico. E’ inoltre un fenomeno sconfitto, non tanto dalla storia che è una astrazione, ma da eventi militari e politici prodotti dalla volontà e dall’azione di migliaia di uomini e donne, che hanno decretato la fine di uno stato asservito, di un regime autoritario, di apparati di potere ramificati e onnipotenti. Questo non ha impedito che ai margini dell’Italia repubblicana, sopravvivesse una presenza politica e culturale nostalgica del fascismo, impregnata di quei valori, legittimata dal suo anticomunismo viscerale nella fase cruciale della cosiddetta “guerra fredda”, in grado di mutuare dal suo modello di riferimento un solo elemento: la violenza squadristica. Questo ha fatto del neofascismo lo strumento per una politica di scontro, a volte infida e ambigua come la “strategia della tensione”, tesa a contrastare ogni evoluzione degli assetti politici e sociali, a minare ogni strategia di apertura e di confronto, a delegittimare ogni volontà di cambiamento. Con la caduta del muro di Berlino, la fine dell’Unione Sovietica e il drastico ridimensionamento (se non la scomparsa) nei paesi occidentali dei “partiti fratelli”, perdeva di senso una battaglia contro un nemico quasi volatilizzato, essendo venuta meno per l’occidente capitalistico una minaccia (più teorica che reale) ai propri assetti sociali, economici ed istituzionali. Il mondo diventava solo uno, con una sola superpotenza, un solo modello economico, un solo pensiero dominante. Se non c’era più un nemico esterno, la necessità di una battaglia di civiltà, l’obbligo di schierarsi da una parte o dall’altra, venivano meno alleanze scomode, impegni sotterranei, sostegni ambigui, coperture e foraggiamenti clandestini. Si chiudeva così anche la stagione del neofascismo, con i suoi morti e le sue stragi, i saluti romani e le bombe, gli scontri di piazza e le congiure di palazzo.

Rimane la terza variante, quella attuale, che non è fascismo né la sua nostalgia, ma una espressione moderna, legata alla contingenza della fase politica, coerente con i nuovi assetti politici: il postfascismo.  Chi lo rappresenta non agita manganelli né somministra olio di ricino, non fa saluti romani né indossa la camicia nera, non compie attentati né pratica lo scontro di piazza, non è in combutta con i servizi segreti né si muove in clandestinità, ma condivide in maniera aperta tre elementi del fascismo: la demagogia, il nazionalismo, il razzismo.

L’uso spregiudicato del linguaggio, fatto di fake news e di proclami, di suggestioni e di promesse, amplificato dai mass media, reso diretto e immediato dai social, non è roba di oggi, al netto della rivoluzione informatica. L’intimidazione verbale, condita di ironia e di paradossi, la riproposizione sistematica di una bugia fino a farla diventare una verità, insistere sui toni e non sui contenuti dei propri messaggi, non è invenzione dei nostri attuali vicepresidenti o ministri, ma è cosa studiata e perfezionata in tempi lontani, rilanciata da balconi o da tribune di stadio, oggi adattata ai nuovi strumenti e alle nuove tecnologie. L’apparire comunque e dovunque, gli interventi onniscienti, l’inseguire gli alleati o gli avversari non sul terreno del fare ma su quello del dire, poco prima o subito dopo, sono la riproposizione di un linguaggio e di un modo di fare politica, tipici di un regime autoritario. Sapendo di avere il totale controllo se non il monopolio dell’informazione pubblica e di poter contare sul prossimo annullamento, con appositi decreti illiberali, dell’informazione indipendente.

La nazione, il concetto di patria, l’identità e l’appartenenza contenute in una sola lingua, in una unica tradizione, in un assetto istituzionale originale e particolare, sembravano superate da nuovi assetti sovranazionali, dalla caduta delle barriere linguistiche e culturali e doganali, dal libero scambio delle merci e dalla libertà di movimento delle persone. Non si era più orgogliosi di essere italiani o francesi o bulgari, ma, al massimo, si era contenti di esserlo, per godere di affinità e di opportunità, di una memoria condivisa e di una possibilità di rappresentazione comune, ma in un mondo aperto, dove il primato spettava non all’appartenenza nazionale, ma alle competenza, alle capacità, alle conoscenze. E dove i diritti, come i doveri, erano universali, perché comuni all’universo mondo, non al mondo di casa propria. Questa era stata una speranza prima della Seconda guerra mondiale ed era diventata una realtà con la caduta dei fascismi, perché era loro l’affermazione di una “heimat” contro altre, considerate anche inferiori, il proporre confini e distinzioni (e la loro vigilanza armata), sbarrare l’accesso a chi era altro per favorire sovranismi e suprematismi. Chi lo fa oggi, anche dai banchi del governo, a questi modelli fa riferimento, pescando sfacciatamente nei maleodoranti meandri della pancia del paese, inventandosi nemici negli alleati di ieri (ma anche di oggi), oscurando affinità, minimizzando necessità di integrazioni economiche e finanziarie.

L’annullamento del diritto di asilo prevede non solo l’affermarsi della categoria del  “suolo patrio”, calpestabile solo dagli indigeni, ma anche, e soprattutto l’invenzione dell’altro, di una persona non persona, appartenente ad specie o ad un genere che non ha diritto all’accesso, alla ospitalità, anche se è in fuga dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla fame, anche se esprime una volontà di integrazione, per esempio attraverso il lavoro o l’istruzione, è portatore di una sensibilità religiosa, attribuisce un valore alla paternità e della maternità, alla famiglia. Dovrebbe bastare per sentirlo simile e uguale, anche se, e soprattutto, è in Italia da tempo, accolto da mesi se non da anni, ed ha potuto dimostrare il suo essere come noi. Per respingerlo c’è bisogno di classificarlo, ingabbiarlo in una definizione di alterità. Per ora è bastato quella di immigrato o di extracomunitario. Ma non basterà. Allora si inventerà un’altra razza. Gli esempi non mancano, a partire dagli ebrei.

2 Commenti

  1. Analisi lucida e condivisibile. Ma i tre elementi costitutivi del postfascismo rappresentano il collante della nuova destra mondiale e non sono iscritti nel lessico democratico. Continuo a ritenere che una nuova alleanza democratica, che sappia riunire chi combatte demagogia, sciovinismo e razzismo, sia una risposta politica necessaria ed urgente.

  2. Le tue condivise riflessioni mi portano ad aggiungere alcune amare considerazioni .Il post fascismo di oggi ,si incardina nella incapacità di questo Paese (ieri come oggi) di uscire dalla crisi strutturale che attraversa l’intero sistema globale e quindi anche noi ,con processi di modernizzazione e crescita sociale ed economica avanzati ,con un rafforzamento della democrazia e delle istituzioni,con maggiore giustizia ed equità sociale e territoriale. Con un rinnovamento della classe dirigente responsabile e lungimirante ,in dardo di avere un pensiero generale.. A questo si preferisce la perversa scorciatoia del localismo,del sovranismo piu becero,della dequalificazione del lavoro e la destrutturazione dei diritti generali di cittadinanza (scuola, sanità, lavoro, occupazione ) sostituita con politiche neo assistenziali ,alimentando la guerra tra poveri, l”idea del nemico alle porte(migranti) , un conflitto parolaio con i paesi europei . Questo post fascismo è terribilmente pericoloso per noi è per l’Europa.

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*