C’è una ridondanza di dichiarazioni altisonanti in televisione, di proclami sui giornali, di cinguettii (twitter) sul web, tesi a magnificare i piani del governo, a ribadire posizioni ideologiche, a rimarcare collocazioni politiche, a legittimare alleanze. C’è una enorme esposizione mediatica di leader, premier e vicepremier, gli unici autorizzati a esprimere opinioni e prese di posizione, a scapito di colleghi di organi collegiali, comprimari di partito, soci di maggioranza. Il tutto in forma ossessiva, assillante, persistente, quotidiana.
Si direbbe che l’antipolitica, conquistato il governo del paese, senta il bisogno di legittimarsi, di acquisire autorevolezza, di proclamarsi credibile. Ma non con i fatti, le azioni, i decreti, le leggi, ma con le parole, i detti, gli annunci. E’ una occupazione permanente dell’etere, degli spazi televisivi, dei social, fatta dalla politica o meglio da “una politica”, che sembra puntare al consenso non di cittadini, di classi o gruppi sociali, ma di spettatori, di clienti, di utenti, di amici, di complici. A tutt’ oggi è risultata vincente, almeno sul piano elettorale. Ma non sul piano economico e su quello sociale. Il calo della produzione industriale e del Pil, l’impoverimento di interi gruppi sociali, la riduzione della capacità di acquisto di stipendi e pensioni, sono tutti sintomi di una recessione in atto, che andrebbe contrastata con i fatti e non con le parole. Ma non è la preoccupazione di chi ha fatto dell’antipolitica il suo cavallo di battaglia e la tigre da cavalcare, perché deve regolare dei conti (non quelli pubblici), maturare delle vendette a scapito di nemici proclamati tali da tempo (burocrati, esperti di scienza e tecnica anche politica, immigrati, commissari europei), reclamare ascolto e considerazione (da parte del popolo), rivendicare spazi (parlamentari, mediatici, istituzionali). L’antipolitica si è fatta così politica di occupazione. Ma non solo della dimensione mediatica ma anche di quella istituzionale. Quelli che erano considerati “carrozzoni” pubblici sono prede ambite; le assemblee elettive, trattate come caravanserragli di privilegiati perdigiorno, sono oggetto di arrembaggi elettorali, ma solo per rendite di posizione non per il controllo di altri poteri; aziende pubbliche, di cui non si mette in discussione la loro gestione privatistica ma il loro non allineamento agli indirizzi governativi. Di fatto si pratica lo spoils system, la cui traduzione letteraria è “sistema delle spoglie” e deriva dall’affermazione del senatore statunitense William Mercy che nel 1832 avrebbe pronunciato la frase “le spoglie del nemico appartengono al vincitore”.
E’ un sistema che prevede l’assegnazione dei posti di vertice dell’amministrazione pubblica agli attivisti e sostenitori del partito vincitore nella competizione elettorale. Si basa sulla sottovalutazione delle competenze e conoscenze necessarie per amministrare e sulla sopravalutazione del potere politico rispetto al potere tecnico e al potere gestionale, ma deve essere praticato, come negli USA, non in maniera occulta, ma nel rispetto di un principio esplicito e condiviso.
In Italia così non è perché l’antipolitica è diventata un potere, che, non compensato da altri poteri, tende all’assoluto, con buona pace degli amministrati, dei cittadini, degli elettori.
Così non può durare.
E non è un auspicio, è una considerazione.
Concordo con quanto scrivi e con la conclusione: non può durare. Purtroppo, però, saranno i fatti a prevalere sulle parole e non è detto che la situazione sarà migliore. Al contrario ci si sveglierà da questo sonno della ragione e, aprendo gli occhi, ci troveremo in un mare di guai.
Quello che non mi è facile capire è l’alto consenso popolare di cui gode questo governo. Tento una spiegazione. Io credo che la radice sia nella diffusione dei social media in tutti gli strati della popolazione. Venti o dieci anni fa, l’uomo del popolo, culturalmente non attrezzato, poteva discutere al bar con gli amici alternando i giudizi sul calcio a quelli sulla politica, raggiungendo un uditorio di poche unità. E poi magari non andava neppure a votare perché non riteneva di poter influenzare le politiche del paese, governate da un’élite troppo lontana e irraggiungibile. Oggi invece lo stesso uomo del popolo può far sentire la sua voce a milioni di persone, esaltarsi per il concorrere con opinioni non meditate e viscerali, credersi finalmente ascoltato da persone che ragionano come lui e parlano il suo stesso linguaggio, non gravate dal peso d quegli orpelli culturali che caratterizzano i rappresentanti di quelle detestate e spocchiose élite, che ci hanno governato negli ultimi anno, e hanno fallito nel rappresentare il popolo. Il problema, in ultima analisi, è nel declino della scuola, colpevolmente trascinata e abbandonata negli ultimi decenni. Senza scuola, senza formazione, senza cultura siamo in balia dei più furbi e disinvolti, senza neppure rendercene conto.
Mi scuso per il refuso (il correttore automatico!) : trascurata, non trascinata!