PISA 10-11 settembre 2018

Pisa sequestra la luce, annullandola nei grandi coni d’ombra prodotti dalle sue altissime mura medievali o dai suoi tanti palazzi nobiliari, chiese e conventi che si allungano sui rettilinei di via Roma e di via Santa Maria e sugli slarghi delle piazze Garibaldi, Mazzini o Solferino o Cairoli, mentre in Borgo Stretto sono i portici a farlo o il fitto reticolo di vicoli che innervano i lungarni meridionali.

Pisa restituisce la luce, ricomponendola nelle superfici lavorate dei marmi del Campo dei Miracoli, nella decorazione a graffito della facciata del Palazzo dei Cavalieri e, al tramonto, sugli affacci urbani dei Lungarni Pacinotti e Mediceo, fino alla sua scomposizione nelle pennellate impressionistiche sulle acque del fiume.

La mezquita pisana

All’interno del Duomo va fatta una magia, annullando le vetriate istoriate, gli altari marmorei, le tele dipinte e concentrandosi sulla struttura, in particolare sulla foresta di colonne che, numerosissime, moltiplicano lo spazio all’infinito, esaltato anche dalla lineare decorazione a pietra bianca e nera. Come nella mezquita di Cordova il richiamo alla divinità è affidato alla suggestione dell’insieme architettonico, ai rimandi spaziali, astratti, metafisici, atemporali, quanto di più lontano dalle rappresentazioni umanissime di episodi biblici, dalle immagini di santi adoranti, di madonne in trono, di triadi onnipotenti, tutte piegate da contingenze terrene, da necessità corporali, da vicinanze e appartenenze immediate.

La magia è impossibile con il Pergamo di Giovanni Pisano, anche se la drammaticità degli episodi riportati nelle specchiature ottagonali è accompagnata dalla leggerezza e dall’eleganza delle colonne, dei leoni stilofori e delle statue.

Il Camposanto

Come è possibile che tanta grazia sia stata oggetto del furore degli uomini,  disumanizzati, esaltati dalla guerra e accecati da beceri nazionalismi ?

E’ inaccettabile che non si possano più ammirare affreschi, sculture e sarcofagi distrutti dal cannoneggiamento alleato del 1944, nel corso di trattative di pace conseguenti al Gran Consiglio del Fascismo del 20 luglio, come se una vasta galleria a pianta rettangolare, originariamente nata attorno all’antico cimitero e poi destinata a incredibile raccolta artistica, potesse essere considerata obiettivo militare.

Il restauro e il conseguente ripristino dell’intero complesso architettonico e delle sue opere d’arte permettono oggi di godere di questo spazio, apprezzandone l’unicità e l’originalità, anche se nel mondo continuano guerre e devastazioni e il loro ripudio, scritto nella Costituzione, sia stato più volte disatteso da recenti e attuali governi italiani, camuffando azioni militari come missioni di pace.

Sono comunque cattivi pensieri, che vengono allontanati dallo sguardo presente che coglie solenni monumenti funerari, con profili nobilissimi e ricchi di patos, sarcofagi antichi di squisita fattura e, in alto, sulle pareti, cicli di affreschi con storie del Vecchio e Nuovo testamento, fino a cogliere un incredibile Trionfo della Morte ed un altrettanto incredibile Giudizio Universale, tutti del Trecento.

Piazza dei Cavalieri

Oggi si fa un gran parlare di riqualificazione urbana, di recupero dell’esistente, di riutilizzo del già costruito. Ieri, nel sedicesimo secolo, questo si realizzava a Pisa per recuperare e attualizzare il centro del potere civile e amministrativo della città medievale, un tempo luogo del foro romano. Una operazione volutamente arbitraria, dettata dall’ esigenza di modernizzare uno spazio urbano, al prezzo di cancellare le preesistenti strutture, ma alla luce di un progetto che si rivelerà equilibrato. Eppure lo spazio è irregolare, la stessa facciata del Palazzo dei Cavalieri presenta una curvatura apparentemente anomala, il palazzo dell’Orologio mantiene l’originale separazione degli edifici originali, con ancora la strada fra gli stessi, eppure il risultato, anche al netto delle aggiunte successive, fino al novecento, è di stupefacente armonia.

Seduto sulle panche di pietra penso ad Aldo Capitini, lo immagino nel suo tempo libero dall’incarico di segretario della Scuola Normale Superiore negli anni trenta del Novecento, forse intento anche lui a contemplare, preso da pensieri e congetture, prima della cena frugale, già vegetariano convinto. Non è invece frugale quella che consumiamo, io e Anna Maria, presso la vicina Osteria dei Cavalieri. Baccalà su crema di ceci per me, con un calice di Vermentino, a finire sorbetto di mela al calvados e sformato di porri su crema di parmigiano con vellutata di zucca, torta di pere e cannella per Anna Maria.

L’altra Pisa

E’ l’antico quartiere di Chinzica, sulla sponda sinistra dell’Arno, frutto della pianificazione urbanistica ottocentesca, conseguente all’apertura della stazione ferroviaria, ma in epoca medievale luogo di insediamento di una vasta comunità “straniera” , fatta di commercianti e mestieranti, che gravitava sulla piazza mercantile pisana, con autonomia amministrativa e religiosa fino al suo inglobamento con le mura cittadine del 1155. Testimonianza del nostro meticciato, al di là di razzismi e suprematismi odierni.

Qui è morto Giuseppe Mazzini, in clandestinità, nonostante che la patria italiana, di cui è considerato retoricamente uno dei quattro padri costituenti, fosse già realizzata e qui, sembra sia vissuto Galileo Galilei, un altro incompreso del suo tempo.

E’ ancora oggi il centro commerciale di Pisa. Rari i turisti, numerosissimi nella città storica, mentre sono numerosissimi i giovani, che qui convergono in massa, soprattutto in Corso Italia, l’asse viario di collegamento tra il centro e la stazione ferroviaria, con davanti il grande spazio di Piazza Vittorio Emanuele II.

Un fitto e regolare reticolo di vicoli collega il quartiere con i lungarni, poche le emergenze architettoniche. All’ombra di una di esse, San Martino, consumiamo una tipica cena locale, presso il ristorante Galilei. Crostini toscani, trippa alla pisana e, per finire, tiramisù.

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