Avevamo studiato un corpo nudo, morto, tagliato a pezzi. Questo era l’oggetto di studio della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Poi arrivò Alessandro Seppilli e il corso di Igiene. Allora il morto riprese vita all’interno di un contesto di vita e di lavoro, si vestì di un abito che lo connotava esteriormente e che rifletteva la sua interiorità, assunse la interezza e la complessità di un corpo in cui si integravano apparati diversi ma complementari. Dopo la laurea, nel Corso di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva e nei corsi del Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria arrivò Tullio Seppilli e quel nuovo oggetto di studio parlò, rivelando con la parola bisogni, domande, aspettative, all’interno di un sistema gerarchico di valori, manifestando così pienamente quella soggettività che la medicina tradizionale gli negava, relegandolo a oggetto passivo, inerte, paziente.
Tullio ci spiegò, affascinandoci per poi anche confonderci per la messa in discussione di certezze e di semplificazioni, che ognuno di noi era portatore di conoscenze e di competenze, frutto della nostra esperienza esistenziale e delle infinite interazioni sociali, indispensabili, in campo sociosanitario, non solo per attivare efficaci interventi preventivi, ma anche per una puntuale diagnosi ed una puntuale terapia e anche per favorire una prognosi favorevole.
Non seminava certezze ma alimentava dubbi, esaltava i contrasti e le contraddizioni, cercando sempre la mediazione, il punto di caduta più opportuno, l’obiettivo più immediato, sia sul piano intellettuale, che su quello scientifico per arrivare a quello politico. Per poi ripartire criticamente, riaprire interrogativi, risollecitare riflessioni, ma sempre partendo dallo scalino precedente, non azzerando niente, lavorando per addizione, mai per sottrazione.
Sempre con lo stesso tono, mai aspro, mai tagliente, fermo e pacato, coinvolgente, seduttivo.
Il rapporto con lui non era mai simmetrico ma complementare, perché non si poneva mai in antitesi, in pieno contrasto, in un rifiuto di confronto. Si meravigliava di ogni forma di aggressività, non solo perché la riteneva immotivata se rivolta nei suoi confronti, ma, in quanto tale, indegna, inaccettabile, ingiusta.
In questo sicuramente aveva pesato, in quanto ebreo, la sua condizione di paria, di escluso, di profugo, ma anche in quanto comunista, portatore di una alterità ideologica e politica, fortemente avversata, negata, perseguitata.
Non era un atteggiamento legato al bon ton o alla buona educazione e neanche alla certezza delle proprie idee o di una fede, ma alla piena padronanza di un metodo per leggere e capire, sicuramente i processi culturali, le dinamiche sociali, i conflitti ideologici, molto più delle proprie contraddizioni, con sé e con gli altri.
Questo metodo gli ha permesso di essere un maestro, nell’impegno universitario, in quello politico e in quello sociale. Senza essere un accademico, un politicante, un mestatore.
tutto vero e davvero tutto
pg