Della Rocca Paolina si disse “splendida e inutilissima mole”. Lo stesso potrebbe dirsi della Fontana Maggiore, togliendo la mole, perché è un gioiello splendido nelle sue fattezze, equilibrato nelle sue dimensioni, con una posizione razionale per la Platea Magna Civitatis. Ma oggi considerata inutilissima, ostacolo ai mille eventi che vengono tollerati e permessi nella Piazza IV novembre, oscurata da palchi e palchetti, gazebi, gonfiabili, camion e camioncini di servizio, baracche e baracchini. Ormai intralcio alle tante manifestazioni moderne (e post moderne), ai vari festival, feste, raduni, trattenimenti, rimpatriate che Perugia, fino a ieri città di provincia ma mai provinciale, ospita oggi nella sua piazza principale, garantendo con i suoi alti profili architettonici scenari unici e prestigiosi, ridotti però a semplici quinte teatrali. E’ ora di toglierla di lì, trasferirla altrove, facendo felici mercanti e faccendieri, manager dello spettacolo e dell’intrattenimento, imprenditori dell’effimero, amministratori festaioli.
Del resto la cultura, oltre che non dare da mangiare, è ormai considerata un lusso per pochi, una questione di élite, e il bene artistico va valorizzato come merce, altrimenti non è, non serve, è inutile.
Del resto con il ridimensionamento delle Sovrintendenze e la creazione dei direttori monocratici dei Poli museali, non si è voluto aziendalizzare i beni culturali, enfatizzando la loro gestione, a scapito della tutela e della promozione? Non si sono cercati per questo ruolo dei manager più che degli esperti di settore? La loro mission non è quella di garantire la massima visibilità e fruibilità alle raccolte di prestigio, facendo del numero dei visitatori il riscontro oggettivo e incontrovertibile dell’efficacia della gestione? Non importa poi se mancano o si riducono competenze per la ricerca e gli scavi, al fine della individuazione, del restauro di beni che vanno tutelati e promossi.
La Fontana Maggiore è un bene di tutti, non è musealizzato, non si paga il biglietto per vederla, non è gestibile nel senso tecnico del termine.
Andrebbe innanzitutto rispettata, nel senso che pretenderebbe un’area di rispetto, per impedire intromissioni di qualsiasi genere, anche acustiche. Andrebbe contemplata, libera da ostacoli e impedimenti visivi, sempre, in qualsiasi ora del giorno e della notte, per una fruizione continua e un arricchimento interiore.
Andrebbe capita, per coglierne il linguaggio, messaggi, i simboli, che, anche se medievali, sono ancora attuali. E’ una grande rappresentazione di saperi e conoscenze, una summa di visioni e di consacrazioni, di memorie e di testimonianze. Ci arriva dall’età dei liberi comuni, da una incredibile esperienza di democrazia possibile, di emancipazione e di diritti, di rinnovamento e di speranza. E’ per questo che vi sono rappresentati i lavori dell’uomo e le stagioni del tempo, le professioni e le discipline, le metafore del potere e del sapere, i santi e i personaggi mitici, le città e i territori. C’è tutto quello che era conosciuto e che meritava di essere conosciuto, per farne un sapere diffuso, tramite un linguaggio condiviso ed un monumento pubblico.
Ma c’è qualcos’altro, anzi manca qualcosa.
Non vi è rappresentato nessun condottiero o cavaliere di ventura o potente armato, non c’è nessuna esaltazione di fatti d’arme, di battaglie, di presunte vittorie militari, nessun simbolo di guerra o di violenza. L’unica arma scolpita nel marmo è la spada di San Paolo, simbolo della fede, comunque sublimato.
La Fontana Maggiore canta la pace e un linguaggio di pace è l’unico possibile per affrontare e risolvere i problemi della res publica.
Possiamo non rispettarla, possiamo non contemplarla, possiamo non capirla, ma così facendo neghiamo a Perugia un futuro credibile e sostenibile.
Analisi perfetta è totalmente condivisibile
Hai ragione Marcello, vale la pena trasferire la fontana (o magari venderla a qualche ricco magnate russo), al suo posto si potrebbe ricavare un parcheggio per almeno dieci auto.
Grazie Marcello per questa analisi appassionata ma lucida, retoricamente ben costruita ma non retorica né piagnona.
Vi si coglie purtroppo il doloroso degrado da cittadinanza attiva a sudditanza connivente, che non solo Perugia, ma tutto il nostro paese hanno conosciuto negli ultimi decenni. Tanto più doloroso però in confronto alle tradizioni di una città mai prona né servile, orgogliosa della
sua separatezza.
Sapevo la fontana quale enciclopedia della Perugia del XIII-XIV Sec.Il commento di Marcello Catanelli – condivisibile emotivamente nei toni e razionalmente nelle condiderazioni- costringe l’attenzione sul formarsi di nuove enciclopedie forse meno sobrie , più effimere e al tempo stesso più invadenti.Ma quello che sospinge la grande scenografia della fontana al ruolo di quinta di scena credo che abbia cominciato a prendere forza in altri “spazi”, per altre e svariate forme di convegno nella piazza.
condivido in pieno quanto Marcello ha sapientemente illustrato e spero che qualche umano in più si uniformi a questo pensiero, la paura del “parcheggio “ironicamente evocato mi fa rabbrividire.