Sembrava essere un retaggio dell’ottocento e della prima metà del novecento, quando allignava nelle campagne, nei borghi urbani e nelle periferie metropolitane, coinvolgendo la quasi totalità della popolazione, fino alla modernizzazione del paese, alla ricostruzione post bellica, al boom economico, all’industrializzazione, all’avvento dell’era consumistica. La povertà sembrava un triste ricordo, ormai alle spalle, sconfitta da un progresso che appariva inarrestabile e continuo, con due leve che l’avevano scardinata: il lavoro e lo studio. Con questi due strumenti un’intera generazione era stata in grado di garantirsi, se non la ricchezza, una condizione materiale accettabile e dignitosa e poteva garantire alla successiva generazione l’esenzione giovanile dal lavoro e l’acquisizione di titoli per una effettiva scalata sociale.
Tutto questo fino a poco tempo fa.
La globalizzazione dei mercati, il drastico ridimensionamento delle attività manifatturiere, la finanziarizzazione dell’economia, insieme ad altre cause ed effetti della recente crisi mondiale di questo secolo, hanno drasticamente contratto l’occupazione, fatto perdere al lavoro valore e dignità, incentivato precarietà e bassi salari, mentre la scuola, che era diventata universale e accessibile, depauperata e frantumata in un’offerta aziendalistica e mercantile, perdeva autorevolezza didattica e credibilità. Contestualmente la rete di protezione sociale, fatta di servizi ed opportunità, creata a tutela dei lavoratori, veniva impoverita da una politica di tagli finanziari, da una incredibile tolleranza di sprechi ed inefficienze, da una spietata concorrenza del privato nei confronti del pubblico. Intere classi e gruppi sociali perdevano non solo capacità di acquisto, ma anche diritti e opportunità, e con esse certezze di status sociale, fiducia nelle istituzioni, speranze per il futuro.
La povertà oggi torna ad allignare non solo tra i disoccupati, i precari, i ceti cosiddetti deboli, ma anche tra i lavoratori, sia manuali che intellettuali. Si allarga la platea dei non garantiti, degli emarginati, degli esclusi. Ai processi di scomposizione non sembrano seguire processi di ricomposizione sociale, le perdite finanziarie non vengono ricoperte da nuove entrate, ad una economia manifatturiera non sembra subentrare una economia di servizi. La guerra e la violenza (non solo commerciale) tornano ad essere gli strumenti di regolazione dei conflitti.
Ma la povertà non colpisce solo gli individui e i ceti sociali, ma pezzi dello stato, che non sono più in grado di garantire servizi universali ed efficienti. Gli enti locali in primis hanno visto crollare la loro capacità di intervento, sul terreno delle manutenzioni, dei servizi per l’infanzia e la terza età, dell’edilizia popolare, della promozione di inclusione e integrazione, ma, soprattutto, la possibilità di indirizzo e coordinamento nei territori di loro competenza. Lo Stato, nelle sue articolazioni istituzionali e nei suoi servizi nazionali, appare oggi ai poveri lontano, disattento, insensibile e nei suoi confronti cova astio, rancore, desiderio di vendetta. Sentimenti viscerali, accecanti, sordi, che sono cattivi consiglieri per l’agire civile, per le scelte politiche, per le rivendicazioni sociali. Questi sentimenti, un tempo mediati, incanalati, sublimati dai partiti di massa, dal movimento sindacale, da minoranze critiche e autorevoli, vengono intercettati direttamente come tali da imbonitori politici, interessati solo al tornaconto elettorale del proprio partito o movimento (proprio nel senso letterale del termine di proprietà personale), e inseriti in un programma politico che non prevede la riattivazione del lavoro e della scuola nella loro funzione di garanti di cittadinanza e di “ascensori sociali”, ma quello che è sempre stato il calmiere della povertà: l’elemosina.
Non solo l’elemosina di singoli individui o singoli soggetti, largamente praticata soprattutto se defiscalizzata e raccomandata come principio sacro dalle principali religioni, ma anche l’elemosina di stato. Vengono promessi provvedimenti tampone, non risolutivi ma lenitivi, occasionali secondo le contingenze politiche, minimali nonostante ( e soprattutto per) la mancanza di effettive coperture nel bilancio dello stato. Sotto forma di bonus, contributi una tantum, esenzioni occasionali, notevoli risorse pubbliche vengono promesse a parziale risarcimento delle sofferenze prodotte dalla povertà, detratte da provvedimenti strutturali destinati alla protezione sociale di cittadini, non di sudditi, anche se elettori.
Non è un caso che la povertà non sia stata oggetto della recente campagna elettorale, derubricata da scandalo economico, sociale, morale a condizione tollerata e contemplata dalle leggi di mercato, fisiologica per una società post moderna, esito di processi di darwinismo sociale considerati legittimi e necessari. Venute meno le grandi utopie di fratellanza, libertà e uguaglianza, resa fallimentare la socializzazione dei mezzi di produzione se non accompagnata dalla socializzazione del potere e dei poteri, svuotata la democrazia rappresentativa, eliminate o ridimensionate le assemblee elettive a favore di esecutivi monocratici e incontrollabili, gli attuali vincitori delle ultime elezioni, che mai hanno dedicato una minima attenzione alla causa vera del senso di insicurezza, dello sconcerto, delle paure degli italiani, dovrebbero preoccuparsi, prima della individuazione delle forme di governo possibili, di stare seduti sul bordo di un vulcano, apparentemente spento, ma che preannuncia, con borbottii e sommovimenti, una prossima eruzione.
“Non è un caso che la povertà non sia stata oggetto della recente campagna elettorale, derubricata da scandalo economico, sociale, morale a condizione tollerata e contemplata dalle leggi di mercato”
Infatti il M5S ha vinto le elezioni proponendo il reddito di cittadinanza (che in realtà è solo un reddito di inclusione allargato…..)
Questa volta permettimi di dissentire. Gli economisti della Lega, segnatamente Bagnai e Borghi, si sono occupati e preoccupati del disagio degli ultimi attraverso analisi difficilmente contestabili. Sul bordo di quel cratere siamo stati messi da una presunta Europa e dalla sua moneta, un super Marco emanazione di una Super Germania. Ti dirò di più: la proposta è quella di creare lavoro per i giovani non fornire passivo assistenzialismo come proposto dai 5stelle. Darei credito e metterei alla prova chi ha portato avanti questa battaglia. Paolo Fiaschini.
In verità i Cinque Stelle col reddito di cittadinanza parlavano e parlano proprio di povertà. se comandassi io (se io fossi Dio!, come diceva Rocco Papaleo in un film), con i soldi di cui si parla (si va dai 15 ai 30 milardi)farei un Istituto a totale carico e gestione statale, destinato alla messa in sicurezza del territorio e della natura in generale – strade, trasporti, appennini, coste a rischio, bonifica della pianura Padana (a cominciare dagli allevamenti intensivi di animali), costruzioni abusive, ecc ecc. E ci vorrebbero sia grandi opere (esempio un sistema di trasporti ferroviario capillarmente efficiente) che medie che piccole che piccolissime. Credo che si creerebbe tanto lavoro utile e col segno non della crescita e dello sviluppo ma del bene che vogliamo alla vita sulla terra e questo lavoro utile genererebbe anche rapporti umani e sociali nuovi e metterebbe in discussione i processi attuali di produzione e gestione della ricchezza (anche di quella illegale e mafiosa). Il predecessore è stato l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), questo nuovo potrebbe essere l’Istituto per la riqualificazione dell’ecosistema (IRE?). Se avessero un barlume di intelligenza e generosità (sempre se io fossi Dio) potrebbero metterlo come unico punto del programma di un governo Cinque stelle-PD-Sinistra