6 marzo 2018 Identità e appartenenza

Per una sinistra solamente identitaria non c’è spazio in Italia e neanche nel mondo. Affermare anche convintamente, dichiarare solennemente, magari urlare i propri valori rischia di rimanere un atto di fede, ma la fede va condivisa con una comunità di credenti, che prendono atto di quella testimonianza e la fanno propria. Altrimenti è inutile, perché non serve a cambiare lo stato di cose esistenti, serve a salvarsi l’anima. Ma l’anima non esiste. Esistono invece interi strati sociali che si sentono abbandonati dalle istituzioni, inascoltati dalla politica, impoveriti materialmente, deprivati ed emarginati socialmente e che rimangono indifferenti e insensibili ai richiami valoriali, alla ostentazione della simbologia e delle tradizioni politiche della sinistra, per quanto possano essere state seduttive e fascinose.

Non è un caso che la sinistra oggi, sul piano elettorale, sia al minimo storico.

Non solo quella che dell’identità ne ha fatto un programma (Potere al popolo) ma anche quella di Liberi e Uguali, che di fatto ha cercato solo di rimarcare la propria diversità dal PD, con lo scopo dichiarato ed evidente di intercettare il suo elettorato deluso e in rivolta contro il renzismo, riuscendo ad abbozzare malamente alcuni punti programmatici, ma non ad elaborare un progetto complessivo di riscatto ed emancipazione.

Qui non si tratta di essere minoranza, perché i fenomeni storici e sociali sono stati spesso largamente influenzati da minoranze ricche di idee e di proposte, ma di essere ridotti all’impotenza e alla insignificanza politica. Non è questione di quantità, anche se i voti, i seggi, le risorse, gli strumenti sono importanti, ma di qualità e la qualità non può non essere che un progetto che contempli una diversa idea di società e un’altra idea di stato.

Per molto, troppo tempo, questa idea si è incarnata nel cosiddetto socialismo reale, anche nelle sue molteplici varianti (sovietica, cinese, cubana, albanese, vietnamita etc.), e nelle sue declinazioni partitiche nei paesi capitalistici, fino ad oscurarne gli errori e gli orrori, senza valutarne pienamente l’applicabilità e la sostenibilità in contesti storici e sociali diversi e diversamente contradditori, riuscendo comunque a salvaguardare condizioni minimamente accettabili per i poveri e gli emarginati, a tutelare il lavoro, a ricomporre le fratture sociali prodotte da uno sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, a dare voce e rappresentanza agli esclusi.

Tutto questo è alle spalle. Tutto è cambiato, non solo nella memoria storica e nella narrazione collettiva, nelle proiezioni politiche e ideali, ma nelle forme dello sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, nelle condizioni materiali di interi gruppi e classi sociali, con l’irruzione non più contingente, ma strutturale, della precarietà, della disoccupazione, della povertà, della desertificazione ambientale. Se a tutto questo non si prospetta un futuro, nuove idealità e nuove speranze, anche utopiche, nuovi assetti sociali e nuovi equilibri istituzionali, nuove modalità di convivenza, scatta il furore, il rancore, la vendetta, sentimenti accecanti e sordi in grado di innescare una ribellione, una resa dei conti, uno stravolgimenti di assetti politici e istituzionali e di premiare capipopolo, demagoghi, messia, imbonitori.

Per questo l’dentità va accompagnata all’appartenenza, non necessariamente ad un partito o ad una etnia o a un movimento, ma a una comunità di idee, soprattutto, che è anche di programmi comuni, di obiettivi prefiguranti, di speranze condivise, di utopie lontane e di lotte vicine. In questo momento per un tale progetto non ci sono i voti, ma ci sono sicuramente le capacità, le competenze, le intelligenze, le volontà. Sono disperse, umiliate, inascoltate. Vanno richiamate in un laboratorio collettivo, valorizzate ma non individualmente o sporadicamente, facendo della partecipazione non uno slogan o un rituale, ma una pratica politica, sociale e istituzionale. Solo il senso di appartenere ad un reale processo di cambiamento, non declamato in televisione o urlato nelle piazze, potrà mettere in discussione la sfiducia, il rancore, l’egoismo, la paura che hanno dominato le elezioni del 4 marzo.

 

3 Commenti

  1. Grazie Marcello. Hai rappresentato magnificamente il pensiero di tanti sommersi della sinistra che fu.

  2. Pienamente d’accordo su tutto o quasi; l’Anima esiste ed è ciò che manca alla “sinistra” Paolo Fiaschini

  3. Ho votato chi tagliava i vitalizi e avrebbe rivisto la legge Fornero perché , solo agendo così , é possibile un ricambio generazionale .È impensabile che gli “anziani lavorano ancora e i giovani sono a spasso.La colpa non è dei giovani che hanno voglia di “fare.Non sono bamboccioni, come disse Brunetta.Sono incerti sul futuro in quanto ,fino adesso, non ha dato garanzia e stabilità. Quindi , si mantenga fede alle promesse e che diventino reali oggi più che mai .Non dobbiamo essere il fanalino di coda ,non dobbiamo solo gloriarci del passato.Viviamo nel presente e il futuro sarà senz”altro migliore. Un” insegnante che ha già dato nella scuola e per la scuola.Niente deve restare inascoltato da chi vi ha sostenuto. BUON LAVORO! diploma online

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