16 febbraio 2018 Un voto di opinione

L’elettorato di sinistra, di cui oggi è anche difficile valutare la consistenza, si sente orfano di rappresentanza, è sgomento per l’attuale insignificanza e marginalità della sinistra storica, appare incerto anche sulla propria identità, è sicuramente deluso per il fallimento di ripetuti tentativi di riaggregazione e riformulazione di una progettualità attuale ma di cambiamento.

Per le prossime elezioni politiche si trova di fronte a tre opzioni, molto diverse tra loro, che aumentano le sue incertezze, facendolo pericolosamente propendere per l’astensionismo.

La prima è rappresentata da Liberi e Uguali. Nata dalla fusione (a caldo?) di tre schieramenti politici, sembrava volere contrastare la tendenza alla diaspora, recuperare la delusione di molti (soprattutto nel PD), ridare una sponda politica agli emarginati (la maggioranza della popolazione italiana), ai poveri (quasi dieci milioni di persone), ai senza lavoro e ai lavoratori sempre più deprivati di diritti e di dignità. Questa immagine sembrava poi confermata dalla scelta, quale leader, di un magistrato, da sempre impegnato sul fronte antimafia, seconda carica dello Stato, autodefinitosi “ragazzo di sinistra”. Partita con le migliori intenzioni la nuova aggregazione ha rivelato, in occasione della scelta dei candidati, con galeotta la pessima legge elettorale, varata con il nome di Rosatellum (nomen omen), il predominio di logiche (illogiche) di appartenenza, l’incapacità (o non volontà) di privilegiare i territori e i loro protagonisti, l’impossibilità di andare oltre la propria natura originaria di ceto politico.

Insomma ha dato di sé l’immagine di una Associazione Temporanea di Impresa, un aggregato provvisorio, finalizzato a conquistare una quota elettorale per poi spartirsela, in grado quindi di recitare un ruolo solo subalterno e sussidiario alle forze politiche dominanti (M5S e PD), senza l’ambizione di ridefinire la cultura politica e la prassi di quella che era stata la sinistra italiana.

La seconda è la lista Potere al Popolo. Nata dal basso, supportata da Rifondazione Comunista (o di quel che ne resta), cresciuta in quell’ottimo terreno di coltura che è stato il cosiddetto “Brancaccio”, ha infine privilegiato l’aspetto identitario, malamente mascherato da un programma elettorale facilmente condivisibile sul piano strettamente strategico (come non essere d’accordo sulla riduzione delle spese militari e il ripudio della guerra?) ma privo di elementi tattici, quali obiettivi prefiguranti, convergenze su temi di rilevanza sociale, possibili mediazioni, anche sul terreno istituzionale, per tutelare e salvaguardare conquiste e diritti acquisiti. Si rivendica l’irrinunciabilità ad elaborare un pensiero forte alternativo a quello neoliberista, la volontà di cambiamento dello stato delle cose esistenti, l’aver privilegiato realtà di movimento e non di ceto, la trasparenza nella scelta dei candidati, ma sotto uno slogan, potere al popolo, che sottende l’esistenza di una comunità vivente, una entità organica, che non ammette al suo interno distinzioni di interessi, divisioni in classi e ceti sociali, fondamentalmente onesta e pulita, da liberare, dandogli pieni poteri, da una elite usurpatrice, da una congrega di privilegiati, da un insieme di poteri forti ed occulti a cui appartengono centro destra e centro sinistra. Appare la versione di sinistra del populismo che ormai domina il centro e la destra dello schieramento politico italiano.

La terza è la lista “+Europa” di Emma Bonino. E’ la lista di una che si definisce “ liberale con una attenzione sociale abbastanza evidente” e che per questo propone di congelare la spesa pubblica, magari rimodulandola, ormai avulsa dal Partito Radicale a cui è appartenuta da sempre, prima di un conflitto lacerante anche con Marco Pannella, approdata alla sfida elettorale con apparentamenti che sembrano improbabili, se non tali da prefigurare una alternativa, in caso di stallo postelettorale, a Renzi o meglio al renzismo, grazie a Calenda oggi e a Mario Draghi domani. Del resto la spregiudicatezza ideologica e politica del personaggio è nota da tempo, anche se le attuali dichiarazioni di Bonino parlano di scelta di campo netta, come se l’Europa di oggi, disunita, disuguale, distratta e imbelle possa essere un terreno per un progetto politico di radicale cambiamento, a partire dalla questione immigrazione, su cui la Bonino rimarca la sua alterità rispetto alla proposta Renzi-Minniti e al loro disimpegno a Macerata. E’ proprio per questa alterità che la lista di Emma Bonino si presenta come un possibile approdo dell’elettorato di sinistra: è un voto di fatto dato al PD ma non a Renzi. Un escamotage elettorale, che salva un apparente voto utile, anche contro la destra, legittima una parvenza di centro sinistra, si libera dal  condizionamento non del PD, ma del suo ingombrante segretario.

In tutti questi casi, ammesso che siano tutti, non si vota un simbolo, una proposta, un progetto. Non è più neanche una scommessa né un atto di fede, ma solo un voto di opinione, un convincimento soggettivo, un atto totalmente individuale, senza la cornice, esaltante, della passione civile, anche se interessata, partigiana, faziosa.

8 Commenti

  1. Sono d’accordo, mi è difficile esentarmi dal votare, la scelta rimane solo quello di non dare il paese alla destra. Per questo penso la Bonino……..

  2. Caro Marcello, cosa vuol dire dare il paese in mano alla destra? Il paese è già in mano ad un fantoccio solo travestito da sinistra? Al momento attuale, dimenticandosi per una volta denominazioni ormai senza più contenuti, non sarà forse il caso di guardare a come far rinascere il nostro paese senza correre il rischio di essere massacrati come la Grecia da una Europa che ha dimostrato di essere tutto tranne che democratica, tutto tranne che federale, di fatto colonialista. Un caldo invito a te e tutti i tuoi lettori a prendere spunto dalle riflessioni di Alberto Bagnai, docente di economia presso l’Universita’ di Pescara (per inciso uomo di “sinistra” fino al tradimento dei politici e, peggio ancora, degli intellettuali di questo paese.

  3. Caro Catanelli, seguo da tempo le tue “elucubrazioni” politiche che trovo stimolanti e molto spesso centrate. Mi riferisco ora all’ultima e a quella precedente, sul problema del prossimo voto. Anche io ho grossi problemi di scelta, ma penso che astenersi o decidere all’ultimo momento sarebbe un grave errore. Quello che dici su LeU è evidente: partiti da ottime intenzioni e con ottimi elementi (sia come uomini sia come idee), nella pratica si sono fatti “occupare” da pezzi di vecchia politica e vecchie strategie di potere; la vicenda della mancata candidatura di Mauro Volpi è lì in tutta evidenza, e non è la sola. Ma questo non è il tutto di quella proposta.
    L’intervento di Fabio Bettoni mi sembra buono come analisi, quando dice che “quella che passa per essere la sinistra porta responsabilità primarie nella gestione neoliberale del capitalismo e della sua crisi”, ma poi ricordando quale è stata la “sinistra vera” mi sembra sia andato troppo indietro, ai tempi della classica analisi marxista della realtà e delle sue applicazioni otto-novecentesche, e qui Vincenzo Prati gli ricorda appunto che la sinistra è rimasta al XX e al XIX secolo, mentre ora siamo al XXI!
    Condivido la tua valutazione di Potere al Popolo come “la versione di sinistra del populismo”, nel momento in cui “sottende l’esistenza di una comunità vivente, organica, che non ammette distinzioni e divisioni in classi e ceti sociali”, ed è l’espressione più netta del frazionismo della sinistra. Se ci chiediamo però perché questo avviene, vediamo che non è soltanto per “fretta” (la brevità della campagna elettorale ha costretto ad abborracciare liste, e la indecente legge elettorale a ritrovare parenti improbabili). Il “frazionismo”, che è così caro ai suoi denigratori, nasconde un problema reale. E credo che per individuarlo bisogna andare alla sua causa: io la vedo nel suo rifarsi a “purezze” ideologiche che non hanno oramai più consistenza né come metodo di analisi della società né come proposte di intervento politico. Hanno soltanto un valore residuo di “fede ideologica”, di mito, e certo le mitologie in età adulta vanno superate. Vogliamo chiederci seriamente che senso ha una “rifondazione comunista”? (dal Bertinotti dei salotti romani al capitalismo di Stato della Cina comunista a un Maduro che spara al suo popolo affamato, e cose del genere?). Non vedo che senso abbia una formazione nella quale a livello di proposta politica si risponde che “non importa se si è intorno all’1 % “, e a livello di convinzione teorica si risponde di essere “non pentiti, affezionati a un glorioso passato”.
    Tornando al tentativo della formazione LeU, penso che la sua debolezza, oltre che ai fattori che abbiamo sottolineato, è dovuta a quella “fretta” di cui sopra. E che bisognerà ritornarci ad elezioni avvenute, rifacendoci a quell’ “ottimo terreno di coltura che è stato il Brancaccio” di cui parli. Il protagonista del Brancaccio, Tomaso Montanari (Presidente di Libertà e Giustizia) ha un pensiero forte che è assolutamente alternativo a quello neoliberista, si rifà alla Costituzione e ai suoi valori antifascisti; non ha preso posizione in questa campagna elettorale perché non ne ha visto le condizioni, ma ritornerà sulla scena insieme agli esponenti del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, con i quali fu protagonista della sonora sconfitta di Renzi il 4 dicembre del 2016.
    Inutile parlare della posizione assolutamente ambigua della formazione di Emma Bonino, essa sì chiaramente a favore del neoliberismo più deciso.

  4. Ho visto che a Perugia si torna ai coltelli e mi dispiace e certo solidarizzo, ma non voterò mai “potere al popolo”, sia perché è un ex-voto, sia perché non ho mai voluto che il popolo prendesse il potere: il sogno (che forse non è più un progetto pensabile) era che il popolo annullasse il potere… ma se è vero che con i sogni non si fa politica è anche vero che la politica non merita sacrifici e rischi di questa entità, anche se di alta generosità

  5. Analisi condivisibile ma parziale in quanto si riferisce a una delle “sinistre” possibili. Esiste infatti anche una sinistra che accetta le regole della democrazia liberale, fa i conti con i rapporti di forza e accetta mediazioni e compromessi quando questi sono utili per conseguire risultati positivi anche se parziali. Io penso di appartenere a questa sinistra e domenica, anche se non amo Renzi, voterò per il Partito Democratico allo scopo di difendere le conquiste di questi ultimi anni, alcune delle quali incontrovertibili come quelle sui diritti civili a grave rischio in caso di vittoria delle destre (o dei 5 Stelle).

    • Caro Marcello e cari tutti (in verità, degli altri, conosco Martini e Giacchè che saluto molto cordialmente), ho letto tutti gli interventi dal 16 in avanti; non temo di rinchiudermi nel fortino della testimonianza: penso che occorra ricostruire una sinistra con chiaro orientamento classista (il concetto è largo come quintali di pagine scritte ripetono da tempo),anticapitalista (ancorandovi l’opposizione al neoliberismo), internazionalista (fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia), contro l’Europa (questa è irreformabile)del capitale, e dunque contro la moneta unica che ne è il simbolo più vergognoso (concordo con chi sostiene che un’attenta lettura di Bagnai potrebbe arrecare un qualche giovamento: e chi oggi, da “sinistra” gli rimprovera di essersi candidato con il ripugnante Salvini dovrebbe chiedersi perché alle analisi di Bagnai documentatissime si sia risposto con il silenzio o, peggio, con lo sfottimento). La faccio breve: se nel mio collegio avessi avuto candidati di Sinistra Rivoluzionaria-Partito Comunista dei Lavoratori, avrei votato per loro; non essendovi, non mi resta che votare Potere al Popolo! la lista meno indigeribile per un vecchio marxista (apolide)come me. Ciao, Fabio Bettoni.

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