L’approccio al Lago Trasimeno non può essere fatto in costume da bagno, con aspettative balneari e ricreative, tipiche del consumismo di massa. Il lago è prevalentemente un ambiente naturale, unico per un orizzonte amplissimo e luminoso, dove i centri abitati sono una seconda natura, né a sfregiare né a deturpare, e l’antropizzazione storica si è limitata alla coltivazione delle “pedate” e alla messa a dimora di oliveti e vigneti. Questo fa si che il Lago Trasimeno sia uno scenario da contemplare, una quinta teatrale per rappresentare introspezioni e meditazioni. Le sue rive boscate offrono un dedalo di sentieri per raggiungere porticcioli, piccole insenature, canneti, acque tranquille, al massimo mosse da uno sciabordio discreto. Il vento si leva sotto forma di brezza il tardo pomeriggio d’estate e d’inverno non è mai impetuoso e distruttivo, quando la nuvolaglia agita il cielo di colori e di giochi di luce. Le tre isole arricchiscono questo scenario, aggiungendo rotondità boscose alla spianata liquida e il colore verde a quello celeste delle acque.
Altra cosa sono gli impianti balneari, con ombrelloni, sdraio, pedalò, spiagge di sabbia importata, l’apoteosi di plastica e luci artificiali nei bar e nelle pizzerie, lo sfrecciare nervoso dei motoscafi, i porti per ingabbiare barche immobili, poco utilizzate e inutilizzabili, i lungolago cementificati, tutti la conseguenza di un modello di sviluppo basato sulla commercializzazione di un bene ambientale che dovrebbe pretendere e incoraggiare un altro tipo di domanda e soddisfare altre aspettative. Anche perché le emergenze architettoniche e artistiche sono innumerevoli, per lo più sconosciute, ma non inconoscibili, discrete, diffuse, fascinanti.
A Punta Navaccia di Tuoro queste contraddizioni sono rappresentata dalla contiguità del Campo del Sole, un insieme di grandi sculture moderne di pietra serena, tutte in forma di colonna e tutte diverse tra loro, nato su progetto di Pietro Cascella, con la collaborazione di Mauro Berrettini e di Cornelia von den Steinen, con un impianto balneare munito di spiaggia attrezzata, e con attorno bar, ristoranti, pizzerie, parcheggi.
Silenzio e musica, meditazione e consumo, distensione e svago, introspezione e ostentazione sono insieme nello spazio di pochi metri e sono le tante facce del Lago Trasimeno.
Isola Maggiore
Il traghetto che porta a Isola Maggiore è un gioiello di modernariato. La motonave Perugia, piccola ma completa di ponti e zona bar, è stata costruita nel 1967 nelle officine SAI di Passignano. Sembra il salotto di una antica casa, pulito, ordinato, ancora funzionale, anche se datato. Sono pochi minuti di traversata ma sono sufficienti, per la vastità dei panorami, per i profili lontanissimi delle colline circostanti, ad immaginarsi in un mare aperto, anche se sotto la chiglia ci sono al massimo sei metri d’acqua e seicento metri di sedimento. Non a caso il Trasimeno è il più antico lago italiano, il risultato di una depressione che ha intrappolato le acque, private poi di un immissario e di un emissario. La sua sottile lama d’acqua ha ancora alcuni millenni di vita, pochi rispetto alla sua lunga vita, moltissimi per noi umani.
Prima dell’attracco l’isola presenta una schiera di tetti ad emergere su una vegetazione rigogliosa, a conferma di una residenzialità antica e il breve viale d’accesso, reso trionfale da sette giganteschi lecci, la esalta.
Il villaggio è di fatto una lunga serie di case, palazzi ed edifici pubblici ai lati di una via lastricata in mattoni, un tempo affiancata da un’altra via che parallelamente si sviluppava più in alto. Erano i tempi in cui l’isola raggiungeva anche i settecento abitanti, grazie ai grandi proventi che derivavano dalla pesca e che garantirono anche una delle maggiori entrate per il Comune di Perugia, alla cui magistratura il lago era sottomesso.
Questo passato è testimoniato dall’antica sede della Confraternita di Santa Maria, documentata almeno dal 1341, che ospita il Museo del Merletto e un centro di documentazione della storia dell’isola, con particolare riferimento alle tecniche di pesca. Ma la testimonianza più significativa ed originale è la Casa del Capitano del Popolo, il rappresentante della città dominante e l’esattore delle tasse. Il palazzetto è costruito in pietra arenaria, con due coppie di eleganti bifore gotiche ed un originale campanile centrale che ospita un orologio, inserito nella seconda metà del XVIII secolo, ma la vera sorpresa è l’interno, restaurato di recente, che ospita un polittico del senese Sano di Pietro, un crocifisso ligneo della metà del quattrocento e un Cristo deposto, sempre quattrocentesco e sempre in legno. Sono il risultato della grande capacità committente della comunità francescana, arrivata nell’isola sin dal 1297, insediatisi in un primo momento nell’antica Pieve di San Michele Arcangelo, posta sulla sommità dell’isola, con un ciclo pittorico altamente suggestivo, con opere che coprono un arco di tempo che parte dalla fine del XIII secolo fino ai primi anni del XVI. I francescani si sposteranno nel 1328 nel convento costruito per loro dal Comune di Perugia, struttura ceduta, ormai diroccata, nel 1883 dal Comune di Tuoro al marchese Giacinto Guglielmi che la trasformò in un gigantesco castello neo gotico, inaugurato come Villa Isabella il 6 ottobre 1891. Delle duecento stanze sfarzose, dei lussuosi saloni, degli scaloni trionfali, degli arredi eleganti, delle ricche collezioni di quadri, di monete antiche, di vasi cinesi e di armature, del buen retiro della nobiltà romana e fiorentina, oggi non rimane più nulla. E’ un rudere inaccessibile, in una rovina che sembra inarrestabile, legato alle alterne vicende di una famiglia, di una comunità, di un ambiente di fragile equilibrio. Si salva ancora solo lo sky line che fa rassomigliare il castello alla villa triestina Miramare di Massimiliamo d’Asburgo.
Isola Polvese
L’isola Polvese è attualmente disabitata, al netto delle centinaia di visitatori che vi approdano quotidianamente in estate, più gli addetti ai servizi. Si differenzia dall’Isola Maggiore dal modo come è stata abitata nel passato. Infatti, prima di diventare, nel secolo XVII, riserva di caccia ad uso privato, dopo le devastazioni delle guerre e l’inclemenza della malaria, era stata terra di pescatori e di agricoltori, sotto l’impulso dei monaci olivetani insediatisi sin dal XIII secolo. Di questi antichi insediamenti non c’è più traccia, se non le mura perimetrali esterne, la parte absidale e la cripta della chiesa romanica di San Secondo, nella parte più alta dell’isola e il vicino refettorio quattrocentesco del convento, in pietra arenaria e calcarea, recentemente restaurato. In basso, nei pressi della riva, la chiesa di San Giuliano, trecentesca, ad una sola navata, posta nelle immediate vicinanze della rocca anch’essa trecentesca, di cui rimane la cinta muraria merlata e il mastio ottagonale. L’interno è completamente spoglio di edifici e fa apparire il complesso come una quinta teatrale, più che un luogo di vita reale e quotidiana. L’immagine dell’isola è infatti quella di una realtà virtuale, fatta più di apparire che di essere, legata indissolubilmente ormai alla sua dimensione di luogo di svago, di soggiorno temporaneo, di consumo fugace. Oggi il baricentro è rappresentato dalla villa padronale degli anni quaranta del Novecento, progettata dall’ingegnere perugino Sisto Mastrodicasa per Biagio Biagiotti, uno dei tanti proprietari dell’isola e poi trasformata integralmente alla fine degli anni cinquanta dall’architetto ingegnere milanese Tommaso Buzzi, famoso in Umbria per la sua “città ideale” nell’ex convento della Scarzuola a Montegabbione. L’incarico gli venne dato dall’ultimo proprietario, Giannino Citterio, che volle che accanto alla villa sorgesse un piccolo villaggio costituito dalla foresteria, dal frantoio e da uffici amministrativi, mentre in alto fece realizzare la Casa Merlata e la Fattoria, oggi ostello e ristorante “Il Poggio”. Anche l’ambiente naturale venne rivisitato, grazie al contributo del paesaggista Pietro Porcinai, che collegò la villa all’approdo principale con un viale di tigli e all’approdo secondario con un maestoso viale di pioppi cipressini, oltre a creare ampie zone di rispetto con grandi parterre erbosi, giardini, reticoli ordinati di olivi e la realizzazione di una piscina scavata nella roccia in una vecchia cava di pietra, oggi giardino delle piante acquatiche. Il resto è boscaglia di arbusti mediterranei, pienamente godibile per la rete di sentieri che attraversano l’isola e che convergono tutti alla villa e all’elegante approdo. C’è comunque una atmosfera di tempo sospeso nell’isola Polvese, una progettualità non pienamente compiuta, un futuro incerto per una sua piena riconversione a parco pubblico, a area faunistica, aula verde, parco scientifico didattico. Aleggia un fantasma, che non è quello che, secondo la leggenda, accumulava, per dispetto, le olive raccolte dai frati e stese sul pavimento, ma quello della Provincia di Perugia, di fatto proprietaria dell’isola dal 1973, ma che oggi è privata dei suoi organi elettivi, di risorse economiche adeguate, ma soprattutto di titolarietà e credibilità istituzionale.
Castel Rigone
Il Santuario di Maria Santissima dei Miracoli sembra completamente estraneo all’impianto urbano e alla tipologia architettonica dell’antico e imponente fortilizio medievale, posto sulle colline settentrionali che sovrastano il Trasimeno, di cui rimangono lunghi tratti del muro di cinta e alcuni torrioni, mentre le porte d’accesso sono state demolite o ricostruite in epoca moderna.
La magnificenza e l’armonia del tempio ne fanno un capolavoro del rinascimento, sia nel portale anteriore che nell’intero corpo di fabbrica, ingentilito non solo dai bassorilievi, dalle lunette, dai fregi e dalle statue, ma dall’utilizzo assoluto della pietra arenaria, apparentemente fragile, ma che omogeneizza e uniforma il tutto in modo caldo e colorato. L’interno è solenne, un’ ampia navata luminosissima, le cornici e i fregi in pietra serena esaltano gli affreschi e le tele, mentre l’altare è sovrastato da un dipinto, che anche se è una copia dell’originale, si esalta per la lunetta e le predelle e per una grandiosa cornice del cinquecento. Ai lati del transetto due eleganti cappelle in pietra serena che ospitano un affresco con Madonna con Bambino del XIV secolo e l’altra un crocifisso ligneo del XV secolo. Entrambi questi reperti sembrano giustificare l’edificazione del tempio, perché entrambi riferiti a miracoli prodigiosi, che ne fecero nel passato oggetti di un vasto culto, tale da legittimare la costruzione di un tempio da parte del Comune di Perugia che li accogliesse degnamente e che proteggesse la popolazione dalla peste e da altre sciagure. E’ forse più credibile pensare alla controffensiva religiosa e culturale della Controriforma cattolica, che doveva recuperare e confermare la propria credibilità e autorevolezza, con la grandiosità dei templi, con la magnificenza degli altari e con il totale ossequio alle credenze popolari.
Siamo comunque ad oltre seicento metri di altitudine e dalle terrazze di Castel Rigone si contempla lo specchio del Trasimeno, luminosissimo al tramonto. Appena fuori del paese, subito dopo la frazione di Trecine, una strada sterrata si snoda in quota sul crinale che separa il lago dalla Val di Marte, prima di precipitare con ripidi tornanti su Passignano. E’ l’apoteosi dell’aeropittura, una visione dall’alto del Lago Trasimeno, che a tratti appare come dovette apparire agli occhi del pittore futurista Gerardo Dottori.
Passignano
A Passignano ci sono tre testimonianze di diverse realtà urbane e sociali: la rocca, lo stabilimento SAI Ambrosini e il lungolago.
La prima è l’antico insediamento fortificato, posto su un promontorio, con ancora i tratti della cortina muraria medievale con le porte e tre alte torri, una triangolare, detta di Ponente, una dotata di orologio e una quadrata, più alta di tutte, dalla cui sommità, con una vista a 360°, si apprezza la compatta copertura dei tetti del nucleo urbano primitivo, il cerchio settentrionale di verdi colline boscate o coltivate a vite e ulivo e la spettacolare e infinita distesa del lago.
La Società Aeronautica Italiana dell’ingegner Angelo Ambrosini, nata nel 1923 come officina per la riparazione di aerei, nel 1940 centro militare degli idrovolanti per poi essere riconvertita in cantiere navale, dette nel Novecento la spinta alla crescita del paese, sia in senso economico e sociale, con i suoi 2000 operai, ma anche urbanistico, stimolando la ristrutturazione del villaggio di pescatori posto alla base del promontorio e la creazioni di nuovi insediamenti abitativi e produttivi lungo il lago.
Quando la gravissima crisi delle attività industriali imporrà la chiusura della fabbrica, oggi tristemente abbandonata e cadente, il vecchio rione La Valle diventerà il fulcro della riconversione di Passignano verso una economia di turismo e servizi. E’ lo stesso quartiere che era stato pesantemente colpito dal bombardamento alleato del 16 maggio 1944, che, mirando a colpire la galleria ferroviaria, provocò decine di morti e la distruzione di case e palazzi. Oggi ne fanno fede le decine di ristoranti, bar, caffetterie, vinerie e le altrettanto numerose rivendite di prodotti locali, sia gastronomici che artigianali, che attraggono turisti e visitatori. Pochi si avventurano sulle ripide viuzze che si inerpicano verso la rocca, preferendo alle ripide scalinate e agli stretti vicoli il comodo lungolago, ormai cementificato e dotato di imbarcadero, darsena e porticciolo turistico.
Castiglione del Lago
Anche se non è più un’isola, il promontorio che ospita la cittadina e la sua Rocca del Leone, si protende sulla acque del Trasimeno ed è ben visibile da ogni sponda del Trasimeno, ma anche da terra, con la cupola della sua parrocchiale ad una estremità dell’abitato, che ne fa un ulteriore elemento di curiosità e di attrazione.
Castiglione del Lago deve però le sue fortune non solo alla sua posizione strategica, ma agli interventi pianificatori duecenteschi di Federico II di Svevia, suo distruttore e ricostruttore e di quelli cinquecenteschi di Ascanio della Corgna, marchese e poi duca per volontà papale.
Grazie a loro il borgo, contenuto nelle mura, è innervato da strade parallele, che rendono regolare il tessuto urbano, che ha il suo baricentro non nella piazza oggi intitolata a Mazzini, i cui edifici sono deturpati da pesanti interventi ottocenteschi, ma nel Palazzo Ducale e nel Castello. Di fatto una piccola reggia, collegata al formidabile fortilizio da un lungo e stretto camminamento coperto, facendo un tutt’uno architettonico, anche se con funzioni e destinazioni diverse. C’è da dire che uno splendido giardino, oggi scomparso e trasformato in piazza, fungeva da ulteriore elemento di connessione tra palazzo e fortezza. Da questa terrazza, accanto all’Ospedale, oltre la vista sul lago, si può apprezzare in basso l’espansione urbana moderna, un costruito regolare, di altezza contenuta, immerso nel verde.
Il Palazzo Ducale all’esterno, per quanto armonioso, sembra tradire le sue modeste origini di casino di caccia dei Baglioni, mentre è l’interno a rivelare un susseguirsi di saloni e stanze tutte affrescate, prevalentemente da Nicolò Circignani detto il Pomarancio. E l’apoteosi pittorica dei Della Corgna, condottieri e uomini d’arme ma anche umanisti e mecenati, committenti di gesta eroiche, di allegorie, di miti antichi, di assedi e duelli, di battaglie e di assedi, con sullo sfondo sempre quinte architettoniche. Gli affreschi sono tutti a colori vivaci, che danno loro dinamicità ed espressività, sui soffitti, sulle volte, sulle pareti, in una sorta di piacevole horror vacui.
La Rocca del Leone appare ancora oggi come una fortezza inespugnabile, con i camminamenti sulle mura che permettono la visione del cortile pentagonale e di dominare gli spazi esterni e con le torri che hanno una disposizione uguale a quella della costellazione del Leone. Sulla cima del mastio, a pianta triangolare, lo sguardo si perde tra aria e acqua.
In ultimo, tornati sulla terra, nella ottocentesca chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena, si possono ammirare una Madonna in trono del 1500 attribuito ad Eusebio di San Giorgio, allievo del Perugino e una Madonna del Latte di scuola senese del Trecento.
Monte del Lago
Il paesaggio lacustre, in genere, ispira sentimenti di malinconia, favorisce il sogno, commuove teneramente. Al Lago Trasimeno tutto questo è contrastato dalle memorie di battaglie, assedi, stragi, eventi militari lontani o recenti, testimoniati da castelli, borghi fortificati, torri di vedetta, dove anche le chiese sembrano complementari a questa vocazione guerriera.
Invece Monte del Lago evoca sentimenti amorosi e ne è pervaso. Non è che manchino segni evidenti di un passato turbolento, a partire dai resti di una rocca pentagonale per arrivare alle mura medievali, compresa una toponomastica urbana che contempla una via della Strage e una piazza del Terrore. Quello che invece domina il paese, costruito in forma degradante verso il lago, è il grande complesso residenziale detto Villa Palombaro, dal nome della famiglia di imprenditori attuale proprietaria. In realtà il complesso è formato da due ville: in alto Villa Agannor Pompilj e in basso Villa Schnabl. Coloro che costruirono, abitarono e frequentarono questi luoghi contribuirono con il loro prestigio sociale, i loro stili di vita, le loro passioni a fare di Monte del Lago un luogo romantico per eccellenza: Giuseppe Danzetta, medico per passione, grande proprietario terriero, appassionato cacciatore e altrettanto appassionato antipapalino, protettore di Guido Pompilj, uomo politico, sottosegretario di Stato alle Finanze, grande avversario del progetto di prosciugamento del Trasimeno, marito di Vittoria Aganoor, poetessa di origine armena, la cui morte prematura fu la causa del suicidio del marito; Riccardo Rossi Schnabl, figlio di un ebreo austriaco e della perugina Elvira Rossi, musicologo, appassionato di lirica e amico di Giacomo Puccini, fece della sua dimora a Monte del Lago, costruita in stile liberty austriaco, una tappa d’obbligo per i protagonisti della belle époque europea.
Panicale
E’ un borgo murato, con tre piazze in asse tra loro, su tre livelli, raccordate da una strada e circondate da tre anelli viari concentrici, che rendono accessibile e vivibile l’edificato compatto e ristretto nelle mura medievali, perforate da due sole porte e difese da almeno quattro torri superstiti.
Subito dopo la Porta Perugina la piazza Umberto I è il punto di partenza e di arrivo del primo anello viario, ma anche per la salita alla parte alta del paese. Gli edifici che la delimitano, in cotto e arenaria, sono di una eleganza contenuta, come il duecentesco Palazzo Pretorio o come la piccola fontana con la vera quattrocentesca in travertino a cui non nuoce il catino bronzeo moderno. Su tutto incombe, senza strafare, il fianco posteriore e l’abside della collegiata, dedicata a San Michele Arcangelo, il cui accesso è in alto, dalla seconda piazza, sempre intitolata al santo. La chiesa e i palazzi che la rinserrano rispettano anche qui lo spazio ristretto della piazza e i dislivelli, rivelando scorci e varchi ancora verso l’alto. La facciata della chiesa è ingentilita da due piccoli ed eleganti portali rinascimentali, ma l’interno è cupo, per niente luminoso, con decori e arredi pesanti. L’illuminazione a pagamento permette di cogliere una natività di Giovan Battista Caporali, che non è in grado di riproporre la leggerezza e la grazia del suo maestro Pietro Vannucci e, dietro l’altare, una bella annunciazione di scuola umbra del XV secolo.
Dopo una nuova ma breve salita la terza piazza, che è poi uno slargo con una bella vista sul lago Trasimeno, intitolata a Masolino, nato sì a Panicale, ma in Valdarno e dominata dal trecentesco Palazzo del Podestà, anch’esso contenuto nelle dimensioni, ma severo, ingentilito da monofore e bifore e da uno svettante campanile a vela del 1769.
Sono bastati pochi minuti per raggiungere il punto più alto della cittadina e altrettanti pochi minuti sono sufficienti per percorrere le sue vie concentriche, ma la fretta è cattiva consigliera. Panicale ha altri piccoli gioielli: Il Teatro Caporali, neoclassico, con l’interno tutto in legno decorato con stucchi e medaglioni dipinti; il palazzo Donini Ferretti- Mancini, realizzato sulle mura cittadine, che incorpora un torrione circolare e una torre rettangolare con loggia ad archi che poggia su una possente base di beccatelli; il Museo del Ricamo di Tulle “Annita Belleschi Grifoni”, ospitato nell’ex chiesa di Sant’Agostino, con affreschi di scuola giottesca e peruginesca; la chiesa della Madonna della Sbarra, cosiddetta perché edificata presso il casello daziario, con facciata rinascimentale in stile toscano. Ma Panicale ha anche un grande gioiello: l’affresco di Pietro Vannucci detto il Perugino del 1505, rappresentante il Martirio di San Sebastiano. Nella iconografia ufficiale la sofferenza del santo non è mai inquietante, perché non c’è mai traccia di patimento in quel corpo martirizzato dalle frecce, sempre sublimato nell’estasi divina. In questo affresco il martirio è un elemento scenografico perché il santo è come una statua su un raffinato piedistallo, mentre i carnefici sono figure danzanti e sembrano intenti più a una gara di eleganza e agilità che ad una vera e propria esecuzione. Il pathos è tutto architettonico, la drammaticità dell’evento è legata al grandioso porticato e al timpano riccamente decorato che racchiudono il Padre Eterno. Sullo sfondo, lontano e rassicurante, il panorama dolcissimo del Lago Trasimeno e della Valdichiana.
Fonti:
Raffaele Gambini, Prime dissertazioni intorno il Lago Trasimeno, Garbinesi e Santucci Tipografi Camerali, Perugia, 1826
Raffaele Gambini, Tre dissertazioni intorno la storia la fisica e l’economia del Lago Trasimeno, Garbinesi e Santucci Tipografi Camerali, Perugia, 1826
Annibale Buattini, Cronaca recente di Passignano Primo periodo dal 1790 al 1821, Tipografia Emilio Alari, Cortona, 1899
Gustavo Grifoni, Memorie istoriche su Panicale terra etrusco – umbra, Società Editrice Dante Alighieri, Milano Roma Napoli, 1918
Egidio Binacchiella, Memorie di Panicarola, Tipografia del Pontificio Istituto Missioni Estere, Milano, 1969
Egidio Binacchiella, Castiglione del Lago e il suo territorio, Tipografia Porziuncola, Assisi, 1977
Provincia di Perugia, Il vecchio esautore del Lago Trasimeno, Ufficio Stampa della Provincia di Perugia, 1984
Luciano Festuccia, Il Trasimeno e il suo Comprensorio, 1986
Luciano Lepri, Panicale l’arte – la storia – i personaggi, Guerra, Perugia, 1987
Claudia Minciotti Tsoukas, I “torbidi del Trasimeno” (1798) Analisi di una rivolta, Angeli, Milano, 1988
Isola Maggiore di Tuoro sul Trasimeno guida, edita dall’Associazione Turistica Pro Loco Isola Maggiore, 1992
Maurizio Cavicchi, Nelle terre del Papa Castel Rigone Passignano sul Trasimeno 1860 – 1970, Il Listro, Perugia, 1992
Leopoldo Boscherini, Paolo Magionami, Trasimeno il lago di Perugia la natura, le storie, Edizioni Era Nuova, Ellera Umbra, 1997
GAL Trasimeno Orvietano, Trasimeno tra acqua e terra Storie di uomini, arte, cibi e vini Guida per viaggiatori di ogni tipo, 2003
Piero Giorgi, La terra e l’acque La rappresentazione a stampa del Trasimeno dal ‘500 all’800, Edizioni Duca della Corgna, Castiglione del Lago, 2003
Ermanno Gambini, Mirko Santanicchia, Isola Maggiore Guida storico-artistica, Edizioni Associazione Turistica Pro-Loco Isola Maggiore, 2007
Touring Club Italiano, Guide d’Italia Umbria, 2012
Mauro Pianesi, Il Trasimeno in viaggio fra Umbria e Valdichiana, Ali&no Editrice, Perugia, 2015
Claudio Bellaveglia, Dal boato al silenzio Le terribili giornate passignanesi dal bombardamento del 16 maggio 1944 alla liberazione del 2 luglio 1944, Morlacchi Editore, Perugia, 2016
Luciano Festuccia, Castiglione del Lago cuore del Trasimeno fra natura, arte e storia, Edizioni Duca della Corgna, Castiglione del Lago, 2017
Egidio Binacchiella, Il lago Trasimeno e i suoi dintorni, A cura dell’Associazione “Amici del Trasimeno”, Castiglione del Lago, s.d.
(2017-2018)
Bel lavoro Marcello,godibile nella sua sinteticità e capace di offrire in poco spazio un compendio efficace di una serie di ricchezze paesaggistiche, architettoniche ed urbanistiche che altrimenti, come spesso succede, correrebbero il rischio della trascuratezza e della sottovalutazione, specialmente da parte di chi, come noi che ne possiamo fruire comodamente, siamo perciò portati a non vederli nella giusta luce del loro valore effettivo.
questa seconda italia (italia due), se non è vissuta per un qualche investimento specifico(un amore, una professione, una ricerca), è tanto bella e appartata da starci male – per quelli che hanno bisogno del “centro”. c’è una bellezza che fa stare male (credo ne parlasse Pasolini); c’è un essere appartato e tranquillo con un amore o un lavoro; c’è un sentirsi angosciosamente “lontano” da un qualche centro, dimenticato, emarginato.
se questo discorso psicologico si trasferisce sul piano sociale, politico e culturale, dobbiamo riconoscere che esistono un centro e una periferia. tu stesso (Marcello) mi parlavi del “declino” dell’Umbria. io, amandola molto, la vorrei più “centrale”
Una descrizione, o guida, intensa e a tratti poetica che fa intravedere l’anima di questi luoghi. Suscita curiosità e voglia di esplorare. Con la primavera alle porte e poi l’estate non mancheranno le opportunità. Con i tuoi scritti affronterò i viaggi nel Centro del bel paese con occhi aperti e pronti alla bellezza anticipata.
Bel lavoro Marcello hai dipinto il lago Trasimeno con i suoi quattro promontori in maniera encomiabile. In merito all’origine e al significato del nome Polvese e alla sua origine mi torna in mente la leggenda di Agilla, la ninfa abitatrice del lago, e Trasimeno, figlio di Tirreno, i due amanti che giacciono sul fondo del lago. Non so perché ma è talmente bello il tuo viaggio intorno al lago di Perugia che non potevo fare a meno di ricordare i due amanti.