Foligno è città di pianura. Non vi sono scalinate, altipiani artificiali, terrazzamenti, osservatori rialzati. Le facciate delle sue chiese e dei suoi palazzi si ammirano dal basso, alzando in alto lo sguardo e solo in due piazze è possibile, tramite ampi scorci, godere di una vera prospettiva (forse quattro se si aggiunge Piazza San Francesco e Piazza XX settembre). Sono Piazza della Repubblica e Piazza San Domenico, luoghi del potere civile e religioso, collegate entrambe da due assi viari paralleli, via Gramsci e via Mazzini. Lì vi sono i palazzi importanti, mentre le altre chiese più significative sono su un altro asse viario, via Garibaldi, nell’antichità insieme a via Mazzini, di cui oggi è un prolungamento, il decumano della città. Ai suoi estremi i resti di due delle porte urbiche, mentre altre due erano ai termini dell’antico cardo, oggi Corso Cavour e via XX settembre. La quinta porta, detta di San Felicianetto, è oggi l’unica superstite, ma insiste solitaria su un vero e proprio varco che apre lo spazio urbano verso la stazione. Delle mura medioevali rimangono solo poche tracce e il loro percorso meridionale è oggi segnato dai viali di circonvallazione, mentre il lato settentrionale è lambito dal fiume Topino.
Al fiume si deve molto probabilmente, l’origine di Foligno, in grado di attirare, in quanto risorsa idrica fondamentale, popolazioni umbre dai colli vicini e così ampliare e arricchire quello che era, fino ad allora, un insediamento castrense. Tant’è che il fiume scorreva all’interno dell’abitato e solo nel XIII secolo venne deviato nell’alveo attuale. Non sarà l’unico esempio della dura lotta che impegnerà i folignati, sino a quasi tutto l’Ottocento, per disciplinare il regime delle acque, al fine di risanare da acquitrini e paludi il loro territorio e renderlo redditizio con un grande processo di industrializzazione agraria. Sarà sempre l’acqua comunque a favorire i primi impianti manifatturieri basati sulla coltivazione e il trattamento della canapa, sulla concia delle pelli, sulla lavorazione della carta.
Ma sarà soprattutto l’essere un crocevia di comunicazione tra Roma e il Lazio (già anticamente tramite la via consolare Flaminia) con la Valle Umbra e le Marche, a farne un centro di traffici di beni e merci, ma anche di idee, che favorirà l’accumulo di ricchezza ma anche di capacità e competenze.
Grazie a queste gli impianti manifatturieri si allargheranno all’industria meccanica, chimica, alimentare e si potenzierà un articolato settore artigianale.
Per tutto questo Foligno è una città vivace, dinamica, una delle poche, in Umbria ad affiancare, se non sostituire, l’impianto urbano e sociale medioevale con elementi di modernità a partire dal Cinquecento, con continue rivisitazioni urbanistiche ed architettoniche, che riguarderanno, fino al secondo Ottocento la città compatta e successivamente anche il territorio immediatamente dopo le mura, cogliendo l’occasione rappresentata dalla costruzione della stazione ferroviaria nel 1866. Altri eventi imporranno il rinnovamento urbano tra cui il fascismo che, con la politica degli sventramenti all’insegna del “risanamento igienico-sanitario”, abbatterà Porta Todi, Porta Badia e Porta Firenze, testimonianze importantissime della vicenda urbanistica della città, le trentasei incursioni aree che, tra novembre 1943 e giugno 1944, causarono molti morti e la distruzione di metà delle abitazioni civili e di complessi monumentali, quali l’Episcopio, il Seminario, il teatro Piermarini, la chiesa della Madonna del Pianto, nonché la stazione ferroviaria e infine, nell’autunno del 1997, il terremoto che investirà la dorsale appenninica umbro marchigiana causando a Foligno danni capillari e estesi, anche considerevoli, come anche aveva fatto il sisma del 1832.
Platea Fulginei
Il grande spazio centrale della città, quello più significativo dal punto di vista sociale e politico, va ben oltre l’attuale Piazza della Repubblica, e comprende anche Piazza Pulignani, Largo Carducci, Piazza Matteotti e il Trivio, ma manca di un vero baricentro. O meglio c’è, ma solo perché ne occupa il posto centrale, senza essere l’unicum dei poteri, senza rappresentare il simbolo assoluto, incapace di imporre la propria egemonia urbanistica. E’ il Duomo, che non manca di monumentalità, anche raffinata, ma è abbarbicato da altre costruzioni che ne limitano la solennità ed è penalizzato paradossalmente dalla magnificenza della facciata laterale duecentesca che sminuisce la facciata principale, peraltro rifatta e ripensata in epoca recente, senza però che riesca ad imporsi sulle altre quinte di Piazza della Repubblica, con cui concorre a definirne la monumentalità, ma in forma complementare. Il Palazzo Comunale, a sua volta, anche se potenziato, in senso monumentale, dall’imponente colonnato neoclassico ottocentesco, appare forte nell’impatto, ma pesante, quasi ingombrante, nonostante sia ingentilito dal torrino medioevale. Gli altri palazzi, Orfini e del Podestà, per quanto eleganti e ingentiliti con decorazioni e delicati inserimenti architettonici sono di complemento a questo importante spazio urbano e lo stesso vale per Palazzo Trinci, grande e sontuosa dimora signorile, penalizzata dai terremoti e dai rifacimenti ottocenteschi, che la rendono simmetrica e organica alla piazza, e non fanno trapelare all’esterno gli incredibili tesori pittorici e artistici che contiene.
Se lo sguardo cerca un punto di riferimento, anche simbolico, quando sembra averlo trovato, lo perde immediatamente, sovrastato da un altro e da un altro ancora ed allora si concentra sui particolari, che sono tanti, tutti suggestivi, ma forse ridondanti. Per non parlare dei tantissimi particolari che sono all’interno di quei palazzi e di quella cattedrale, altrettanto suggestivi e altrettanto ridondanti.
Palazzo Trinci
La facciata ottocentesca del palazzo è un inganno. Offre solo un quinta al lato settentrionale di piazza della Repubblica, coerente alla fronte, anch’essa ottocentesca del palazzo Comunale, ma pretende di razionalizzare, banalizzandolo, un concentrato asimmetrico di spazi e volumi, senza una corrispondenza immediatamente intellegibile tra forme, dimensioni, posizioni. Non è solo il frutto della (ri)costruzione medievale e delle manomissioni e deturpazioni che dovette subire il fabbricato, tra cui il “restauro” degli anni trenta, oltre i danni subiti dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, ma è un vizio d’origine, legato alle diverse sensibilità dei signori della casata Trinci e dei papi che a loro succedettero nel governo della città, divisi tra mecenatismo, ostentazione del potere, culto del bello, necessità di apparire oltre che di possedere. E’ un concentrato affascinante, oggi grande e arioso museo, pinacoteca, archivio, biblioteca, un contenitore però che prevale e domina il contenuto.
Il palazzo ha un elemento strutturale che permette di cogliere in un solo sguardo la sua complessità e le sue contraddizioni stilistiche e architettoniche: una scala gotica che collega i vari livelli del fabbricato, con un pozzo a piano terra, in cui domina lo stile romanico, a cui attinge una lunghissima corda che domina la trombatura della scala e che guida lo sguardo verso l’alto, per cogliere volte e arcate gotiche, poi pezzi del cromatismo degli affreschi quattrocenteschi del piano nobile e infine una minima parte del soffitto, rivestito da una volta di legno intagliata a lacunari. E’ un anticipo di quello che le stanze e i saloni conservano: non solo raccolte storiche, rimembranze di folignati illustri, come il Piermarini, affreschi staccati dalle tante chiese folignati, soprattutto quelli di Pierantonio Mezzastris, copie di dipinti commissionati dalla città ed oggi lontani da essa, tele dell’Alunno e di altri pittori folignati, ma soprattutto affreschi alle pareti di sale e saloni, molti scomparsi ma molti recuperati, un arredo che riempie gli spazi oggi vuoti di mobilio ma anche gli occhi, per meravigliare, sedurre e anche intimorire. Non solo il grande salone di Sisto IV o la sala dei Giganti, ma soprattutto quella detta delle Arti Libere e dei Pianeti, didascalica e letteraria insieme o la Loggia di Romolo e Remo, dove la ricerca di uno “status” da parte dei Trinci ci riconsegna una lettura, sicuramente arbitraria, ma efficacissima sul piano artistico, della fondazione di Roma. Infine la Cappella, dedicata alla Vergine, un piccolo ambiente quadrangolare con volta a crociera, affrescato dall’eugubino Ottaviano Nelli nel 1424, con scene dettagliate della vita di Maria, vicina nei gesti, nella postura, nell’abbigliamento, come invece sono lontani, ieratici, gli imperatori romani, i condottieri, gli artieri, i personaggi mitologici delle altre sale.
“Last but not least” quattro pezzi della raccolta archeologica dei Trinci: un marmo con Amore e Psiche umanizzati da un cagnolino rampante e da un tavolino a tre gambe; un pannello marmoreo con una incredibile, dettagliata ed esauriente descrizione di una corsa di bighe nel Circo Massimo di Roma; due pannelli, sempre di marmo, con figure infantili, dette “erotini”, perché raffigurate in pose languide e sensuali, nonostante siano intente a imitare serissime attività adulte, quali una corsa con i carri ed una processione rituale.
La Foligno spirituale
I folignati sono famosi per i loro interessi mercantili e commerciali, fino a legittimare lo stereotipo di gente dal cuore arido, pronta al baratto di beni terreni e allo scambio di cose materiali, poco affine alla contemplazione e alle speculazioni intellettuali. Si fa fatica a credere che Foligno sia stata una città attraversata, almeno nel medioevo, da una vera e propria smania di spiritualità, tanto da permettere una impressionante fioritura di comunità claustrali. La statua di Giuseppe Garibaldi, posta al centro della omonima piazza, è paradossalmente, vista la sua natura di massone e mangiapreti, il baricentro di una zona dove tutto questo è ancora percepibile. A partire dai due edifici religiosi che sono alle spalle e di fronte alla statua dell’Eroe dei Due Mondi: la chiesa di Sant’Agostino e la chiesa di San Salvatore. La piazza è a sua volta è attraversata da via Garibaldi, dove insistono l’Oratorio della Nunziatella e la chiesa del Suffragio e su cui convergono vicoli ricchi di storia religiosa. A partire da via Niccolò Alunno, che si slarga in Piazza del Seminario e permette un accesso privilegiato alla Chiesa di Sant’Agostino e raggiunge la chiesa e il monastero di Santa Caterina. E poi, “nomen omen” via dei Monasteri, oggi solo (sic) con il monastero di Sant’Anna o delle Contesse, complesso edilizio tardo medievale, uno dei meglio conservati in città, insieme a Palazzo Trinci. E’ un’oasi di pace con testimonianze artistiche che ancora ci sono, come affreschi rinascimentali all’ingresso, nel primo e nel secondo chiostro, nella cappella e opere che non ci sono più come la Madonna di Foligno di Raffaello dipinta nel 1512. Rappresenta una Madonna in trono con Gesù Bambino inquadrata sullo sfondo di un disco solare e ai suoi piedi San Giovanni Battista, San Francesco, San Girolamo e Sigismondo de Comitibus, il committente. Requisita nel 1797 dai francesi come riparazione bellica, fu restituita allo Stato della Chiesa nel 1816 ed è ancora conservata a Roma, nella Pinacoteca Vaticana.
Se si continua ancora, attraversando via Garibaldi, e imboccando via dei Molini, si raggiunge ancora un edificio religioso: la chiesa e il monastero di Santa Lucia in via Santa Lucia, mentre all’altro capo di via dei Monasteri, allo sbocco con via Umberto I, la chiesa e l’ex convento di Santa Maria in Betlem.
Non c’è in nessuna altra parte della città un tale concentrato di edifici religiosi. D’altronde compensano la mancanza di palazzi signorili, di dimore eleganti, di edifici di pregio e la loro presenza evoca quel popolo minuto che abitava lo spazio tra la prima e seconda cerchia di mura. I tintori, i saponari, i cordai, i ceramisti, i panettieri, i fuoriusciti, le prostitute alimentavano con la loro miseria materiale la vocazione spirituale di frati e monache di clausura.
Lu centru de lu Munnu
Il Corso di Foligno è la strada dove sono più evidenti i cambiamenti strutturali, le ristrutturazioni architettoniche, i cambi delle destinazioni d’uso.
Utilizzato in tempi lontani come mercato di stoffe e damaschi, da lì l’antico nome di via della Fiera, ha mantenuto comunque un carattere prevalentemente commerciale, con poche residenze signorili e molti edifici legati al potere pubblico. Al di là di palazzo Iacobilli-Roncalli e di casa Modotti, destinati ad altri usi, oltre quello abitativo, la sede della Cassa di Risparmio o meglio della Fondazione Cassa di Risparmio è la trasformazione tardo ottocentesca di una residenza signorile, restaurata nel secondo dopoguerra del Novecento, come anche lo era l’ottocentesco Teatro Apollo, poi divenuto Teatro Piermarini, di cui rimane oggi solo il tratto superiore della facciata e un moncone del foyer, grazie alle bombe del 1944. Poco resta della eleganza del Palazzo Cantagalli e niente resta del Caffè di Sassovivo, posto al pianterreno, oggi anonimo istituto bancario. Anche l’elegante struttura a logge del vecchio ospedale San Giovanni Battista, con chiesa annessa, ha subito, oltre i rifacimenti ottocenteschi, la destinazione a scuola, cinema, ufficio postale ed oggi uffici comunali. La casa del Mutilato, inaugurata nel 1940, con un suo stile essenziale e semplificato, si inserisce come un ulteriore elemento di discontinuità di Corso Cavour. Il tutto termina, oltre lo spazio lasciato dalla demolizione della Porta Romana, nel vuoto di piazzale Alunno, malamente riempito dalla retorica magniloquente dei propilei d’accesso all’ex Campo Sportivo del Littorio, inaugurato nel 1930, su progetto dell’architetto Cesare Bazzani, nell’area del Giardino Comunale.
La Foligno aristocratica e plebea
Basta imboccare un pertugio in un angolo di Piazza del Mercato, che è poi il vicolo del Marcato, per entrare nella Foligno dei vicoli, delle viuzze torte, dei piccoli spazi, delle stradine strette dove le case a due piani, molte medievali, in totale contiguità tra loro, quasi si toccano. Se si aprono degli slarghi, piazze o cortili o orti è perché si è in presenza di palazzi gentilizi, che pretendevano spazi di rispetto, per essere ammirati nella loro bellezza e con essa l’onnipotenza dei loro proprietari, gabellieri, mercanti, aristocratici, proprietari terrieri. La città monumentale e la città minuta sono contigui: Via del Forno di Fuso, via delle Concie, via delle Ceneri, la piazzetta Cenere fanno da contorno al Palazzo Barnabò, Palazzo Gerardi e Palazzo Carrara esaltati da piazza XX Settembre, da dove, basta solo imboccare via Maurizio Quadrio, si coglie il prospetto di Palazzo Alleori Ubaldi, decorato e affrescato in quasi tutte le sue stanze. Si è in via Gramsci, l’antica “strada mercatorum”, ancora oggi dominata dai bugnati, dalle cornici, dai portali di eleganti palazzi gentilizi, di cui si conoscono i proprietari, le loro vicissitudini familiari, le fortune e le sventure finanziarie, gli avvicendamenti di proprietà, mentre la penombra avvolge i vicoli e con essi la storia, ricca e vivace, dei loro abitanti. I palazzi Piermarini e Vitelleschi e poco prima il Palazzo Nuti-Deli e subito dopo il Palazzo Brunetti-Candiotti sembrano dominare incontrastati, per lo sfarzo delle facciate e l’eleganza dei decori, nell’immaginario cittadino, favoriti oggi dalle nuove destinazioni d’uso, in parte anche pubbliche. Sembrano contrapporsi, in una gara di supremazia architettonica ma anche di egemonia sociale, solo le chiese, a partire da San Nicolò, preziosa per la commistione di stili, per le tavole di Niccolò Alunno, per le numerose pitture diverse per le epoche, gli autori, le tecniche e i modelli. Basterebbe anche la graziosa chiesetta di San Tommaso ma in fondo a via Gramsci c’è una lussuosa bomboniera di autentico barocco: l’oratorio del Crocifisso e poi San Domenico, anche se trasformato in Auditorium e poi l’antichissimo tempio di Santa Maria Infraportas, con affreschi, sculture e preziosismi decorativi di inconfondibile sapore medievale.
Fonti:
Loreto Di Nucci, Fascismo e spazio urbano Le città storiche dell’Umbria, Bologna, Il Mulino, 1992
Claudio Ferrata, Foligno itinerari tra sacro e profano, Assisi, Ali&no editrice, 1999
Touring Club Italiano, Guide d’Italia Umbria, 2012
Angelo Messini, Foligno Bevagna Montefalco Spello Trevi, Milano, Moneta editore, s.d.
(2017-2018)
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