Città della Pieve

CITTA’ DELLA PIEVE

 

Città della Pieve è città di confine. E’ stata centro etrusco autonomo del territorio di Chiusi, avamposto fortificato della Tuscia longobarda, poi città ghibellina tenacemente ostile alla guelfa Perugia, che altrettanto tenacemente la conquista e la riconquista senza mai sottometterla del tutto, infine ai margini dello Stato della Chiesa a ridosso del Granducato di Toscana. Oggi in Umbria, legata al Distretto del Trasimeno, rivendica ancora la sua specificità, anche se è contaminata dalla vicinanza del senese, del chiusino, del perugino.

La città è nata come borgo murato intorno ad una pieve, di qui il suo nome che deriva da Castrum Plebis, si è poi sviluppata utilizzando il crinale del colle che si affaccia sulla Val di Chiana, con una sua specificità urbana dominata dall’uso del laterizio che l’arreda, la decora, la colora.

La traccia più significativa della sua origine è la Torre del Pubblico che si addossa alla facciata del Duomo (l’antica pieve dell’VIII secolo), un’emergenza solenne, ingentilita dalla fuga verso l’alto delle monofore romaniche, poi bifore e infine polifore, che svetta quasi azzerando le altre torri civiche. I tanti campanili barocchi, elegantissimi, testimoniano invece lo sviluppo urbano ulteriore, come quello del Duomo, quello di Santa Maria Maddalena, quello di Sant’Agostino, quello di Santa Maria dei Servi. Le chiese, nate o ristrutturate numerose a partire dal settecento sono gli esempi più evidenti della riqualificazione urbana che segue la fase di rinnovamento dei due secoli precedenti, dove Città della Pieve passa sotto il diretto controllo della Santa Sede, che vi insedia un governatore, un vescovo e le concede il titolo di città, con il nome di “Città di Castel della Pieve”.

Con le chiese nascono i palazzi e le piazze antistanti, nate come zona di rispetto e di ammirazione, per poi diventare spazi sociali, per lo scambio di beni e di idee.

Le vie sono sempre le stesse, sia che siano strade o vicoli, hanno solo cambiato nel tempo denominazione, mentre le porte sono ormai solo varchi nelle mura e, se rimangano come tali, sono rifacimenti ottocenteschi.

Il Duomo

Il barocco si sovrappone ad altro, nasconde, ottunde, oscura, mistifica. A volte lo fa con eleganza, non con sobrietà, perché non gli è propria, altre volte, molte, appesantisce e incupisce chiese nate se non luminose, solenni, perché gotiche e, per questo, slanciate verso l’alto. Soprattutto quando riveste le pareti e i colonnati di stucchi a simulare marmi improbabili, che vogliono impreziosire, invece sviliscono. E’ il caso dell’antica pieve dedicata ai patroni San Gervasio e San Protasio, più volte ricostruita, rinnovata, trasformata, fino alla sua consacrazione a Cattedrale nel 1600.

Il suo interno a croce latina non riesce a valorizzare il grande concentrato di capolavori pittorici, a partire dal Battesimo di Gesù del Perugino per arrivare alle tavole di Giannicola di Paolo, di Salvio Savini e di Domenico di Paride Alfani. Si impone all’attenzione invece la tavola di Pietro Vannucci con la Madonna in gloria e quattro santi, ma è per merito della sua luminosità, non tanto per la sua collocazione nel fondo dell’abside, con la complicità degli angeli musicanti e dei cherubini danzanti dipinti nel sovrastante catino da Antonio Circignani, figlio di Niccolò, entrambi soprannominati “Pomarancio”.

Palazzo della Corgna

Il grandioso palazzo è il prodotto del nepotismo pontificio, quando Ascanio Della Corgna viene nominato nel 1550 governatore di Città della Pieve dallo zio papa Giulio III. Ascanio provvede al progetto architettonico affidandolo al perugino Galeazzo Alessi, mentre il fratello Fulvio fa decorare l’interno, facendolo affrescare da Niccolò Circignani (Sala del Giovernatore) e da Salvio Savini (Sala Grande e scaloni). L’edificio è armonioso in tutte le sue parti, nella facciata prospiciente Piazza Gramsci, nel cortile con un pozzo intorno al quale si articolano i tre corpi di fabbrica, nelle stanze con volte a padiglione e negli scaloni monumentali che collegano il pianoterra con il piano nobile e con il mezzanino. In un appartamento del palazzo è visitabile, grazie al volontariato, un piccolo ma suggestivo Museo di Storia Naturale e del Territorio, che contiene la collezione paleontologica di Alvaro Marchesini, un pievese appassionato di paleontologia, archeologia e geologia, la collezione mineralogica “Vivani-Faraoni”, gli esemplari di uccelli e mammiferi provenienti dalla collezione dell’agronomo Paolo De Simone (1859-1906)

Palazzo Bandini

Il palazzo, frutto dell’accorpamento di strutture trecentesche, si affaccia su piazza Plebiscito ma anche su via Roma, collegando entrambe con un suggestivo corridoio interno, accessibile da due portali, uno dei quali, quello su via Roma, di bella fattura rinascimentale. Il palazzo è stato in origine proprietà  di una famiglia di uomini d’arme che per secoli ha dominato il Castello della Pieve e che si servì per la sua costruzione dei Maestri Comacini, che impressero uno stile architettonico lombardo, di cui oggi non si rilevano tracce significative, per i ripetuti rimaneggiamenti subiti dal fabbricato, soprattutto a partire dalla metà del cinquecento.

Chiesa di Santa Maria dei Servi

In questa chiesa conventuale il barocco, in questo caso incredibilmente luminoso ed elegante, si fa perdonare per i radicali rifacimenti sei-settecenteschi, che non si limitarono a cancellare l’impianto gotico originale, ma anche gli affreschi devozionali del Perugino, tra cui una grande Deposizione dalla Croce, mutilata del Cristo, scoperta casualmente dietro una intercapedine nel 1834. Gli affreschi furono commissionati dalla Compagnia dei Disciplinati della Stella, titolari della cappella della Madonna della Stella, originariamente una chiesuola, inglobata nella successiva chiesa gotica e poi demolita nella ristrutturazione del secolo XVII. Di questo ciclo pittorico rimangono solo i pochi e miseri resti di una rappresentazione che prevedeva non solo la Deposizione, ma anche Gli Apostoli e le Pie Donne, Gesù morto in grembo alla Madre, il Seppellimento e l’Annunciata. Lo testimonia ormai solo il frammento di una epigrafe che termina MDXVII PETR…

Oratorio di San Bartolomeo

A fianco della duecentesca chiesa di San Francesco, trasformata in Santuario della Madonna di Fatima, l’oratorio di San Bartolomeo, di origine benedettina, conserva un grandioso affresco che rappresenta una crocifissione, chiamata comunemente Pianto degli Angeli, perché nella folla di spiriti celesti che circondano il Cristo crocifisso, molti sono rappresentati in atteggiamento dolente, tra cui due angeli che si asciugano le guance dalle lacrime. Le figure in basso, più grandi del naturale, sono in stato di devozione ma due  esprimono il loro strazio: la Vergine Addolorata e l’Apostolo Prediletto. In alto il mistico pellicano è rappresentato nell’atto di strapparsi le viscere per nutrire i suoi piccoli, a similitudine del sacrificio di Cristo. E’ opera trecentesca del senese Jacopo di Mino del Pellicciaio ed è il più antico affresco della città.

Oratorio di Santa Maria dei Bianchi

Lungo l’asse stradale di via Pietro Vannucci, all’interno dell’Oratorio di Santa Maria dei Bianchi, che sarebbero poi i membri della Compagnia dei Disciplinati, si può ammirare uno delle migliori opere se non il capolavoro del Perugino: l’Adorazione dei Magi del 1504. Ad adorare il Gesù Bambino c’è una folla di personaggi, molti in primo piano, tutti uomini, sicuramente riconoscibili in notabili del tempo, intenti, più che ad adorare, a farsi adorare per la finezza dei lineamenti, per l’eleganza della postura e per i sontuosi abbigliamenti, ricamati e ingemmati. Alle loro spalle, con i pastori relegati ai margini, due lunghe processioni di convenuti, per lo più a cavallo, discendono le colline circostanti, dolci e alberate, che si aprono al centro in una valle ingentilita da un lago. La capanna è un pretesto metafisico per disegnare lo spazio, inquadrare la scena, rispettare l’iconografia. Reali sono solo i volti dei personaggi e la figura di un cagnolino bianco.

Palazzo della Fargna

Cecco Della Fargna, luogotenente di Ascanio Della Corgna, discendente della casata dei Montmorency Laval di Lione, stabilisce a Città della Pieve la sua dimora e i suoi discendenti ai primi del secolo XVIII vi costruiscono un palazzo grandioso e, per i tempi, originale per lo stile architettonico, dove emergono le curve dei cornicioni e delle lesene sugli altissimi spigoli. Gli interni, che ospitano ora la sede municipale, sono per lo più decorati a stucco, con una grande profusione di figure, arabeschi e altri ornati.

 Teatro degli Avvaloranti

L’Accademia degli Avvaloranti nasce come costola dell’Accademia dei Neghittosi, al fine di promuovere il culto del teatro, e non solo delle belle lettere. Il teatro dei Neghittosi, di legno, era adatto a riunioni e convegni degli iniziati, ma poco funzionale per recite e spettacoli che ormai attraevano un pubblico più vasto, visto anche il loro valore sociale, oltre che culturale. La borghesia emergente aveva bisogno di uno spazio pubblico dove rappresentare anche se stessa e per questo, su iniziativa di alcuni possidenti pievesi, nasce sullo stesso luogo del settecentesco teatro di legno un nuovo edificio in laterizio, con sala e quattro ordini di palco, che apre i battenti nel 1834.

La Rocca

Fortilizio nato non a difesa di Città della Pieve ma a sua offesa, voluto da Perugia per difendere i suoi rappresentanti e le autorità costituite dalle continue rivolte in armi dei pievesi, insofferenti ai dazi e alle continue imposizioni di quella che consideravano una potenza occupante.

Iniziata la costruzione nel 1327 viene originariamente munita di cinque torri, dotata di porte caditoie e apritoie e di un ponte levatoio e difesa da fossati. Nei secoli a venire vengono fatte tutte le modifiche atte a renderla più forte e temibile, anche alla luce dei continui progressi della tecnologia militare, fino a quando il ruolo sempre più decisivo delle artiglierie e le mutate condizioni sociali e politiche impongono una diversa destinazione d’uso. Nel secolo XVI la rocca è destinata a residenza dei Governatori e le torri a carceri pubbliche, subendo costruzioni aggiuntive e notevoli variazioni e adattamenti, fino agli interventi di ripristino e restauro del secolo XX.

Oggi rimangono tre torri, la Maestra, la Serpentina e quella del Castellano, mentre le altre due sono state mozzate, presumibilmente durante le vicende militari del 1643. Dal Belvedere della Rocca, ricavato dalla mozzata Torre del Frontone, si gode una splendida vista a oriente, fino a scorgere la “nemica” Perugia.

Il Liceo

 Appena oltre la cinta muraria, nei pressi della chiesa sconsacrata di Sant’Agostino, prospetta la cortina in laterizio del moderno Liceo scientifico, realizzato tra il 1993 e il 2000 su progetto dell’architetto svizzero Mario Botta. La facciata posteriore, articolata e altissima, fronteggia invece la valle, scaricandovi tutto l’effetto impattante del fabbricato, rispettando così lo sky line delle mura, delle case, dei tetti rotto solo dall’emergenza della trecentesca torre del Vescovo.

(dicembre 2017)

Fonti:

 Notizie istoriche di Città della Pieve raccolte da Giuseppe Bolletti, Perugia, Tipografia di Francesco Baduel, presso Bartelli e Costantini, 1830

 Fiorenzo Canuti, Nella patria del “Perugino” Note d’arte e di storia su Città della Pieve, Città di Castello, Scuola Tipografica Orf. S.Cuore, 1926

 Touring Club Italiano, Umbria Guide d’Italia, Milano, 2011

 Mauro Pianesi, Il Trasimeno in viaggio fra Umbria e Valdichiana, ali&eno Editrice, Perugia, 2015

 

1 Commento

  1. Sintetica ma precisa descrizione di una cittadina un po’ fuori dal tempo, senza modernità chiassose, senza piscine, senza discoteche, …ma ricca di storia e arte!
    È la mia città , ci ho lasciato il cuore!

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