Autorità autorevoli o autoritarie.
Nel suo discorso autoreferenziale e giustificazionista del Uno de Octubre Mariano Rajoi non ha mai pronunciato la parola autorevolezza, mentre il presidente della Generalitat ha pronunciato le parole dialogo e mediazione che sono insieme all’autorevolezza alcune delle parole chiavi della democrazia. La difesa dello stato di diritto, il rispetto della legge, la tutela della convivenza sono strettamente legati all’autorevolezza delle istituzioni pubbliche, che sono tali se sono in grado di garantire il dialogo ed esercitare le mediazioni, per risolvere conflitti e contraddizioni sociali. Altrimenti, senza dialogo e mediazioni, con il solo esercizio della forza, le istituzioni e lo stato che le rappresenta perdono ogni autorevolezza e diventano autoritarie. Ne conseguono strappi e lacerazioni, sfiducia e disillusioni, radicalizzazioni ed estremizzazioni, fenomeni difficilmente controllabili e forieri di ogni possibile soluzione, anche tragica.
La domanda è perché si è arrivati a questo punto. Viene da pensare ad un deficit di politica, nel senso di capacità appunto di dialogo e mediazione. Come è possibile che in un paese evoluto, uscito ormai da tempo da un regime oppressivo, appartenente alla comunità Europea, si lasci a se stesso un vissuto autonomista e indipendentista, diffuso da tempo e storicamente segnato, non si lavori ad uno sbocco credibile, coinvolgendo la Generalit, sfruttando anche le sue oggettive debolezze, rappresentate da uno schieramento politico eterogeneo sul piano ideologico e contraddittorio su quello politico. Coinvolgendo comunque la popolazione catalana, che è una comunità vitale, aperta, fortemente proiettata ad una dimensione internazionale.
L’impressione che si ricava è che da tempo le parti non abbiano un dialogo, nonostante i reciproci interessi all’integrazione e alle sinergie, come impone l’evo contemporaneo. Se il governo Rajoi, debolissimo a sua volta, impelagato in mille contraddizioni, non è stato in grado di esercitare una mediazione, come è stato possibile che questo ruolo non lo abbia esercitato la Comunità Europea?
Forse che i processi autonomistici non siano anche un suo problema? Eppure era stata pronta, anzi prontissima, a riconoscere l’autonomia e l’indipendenza del Kossovo, accettando la disgregazione della Serbia, dopo aver sostenuto di fatto (e non solo) la disgregazione della Yugoslavia.
Oggi è totalmente afona, voltata da una altra parte, ma ormai è un ectoplasma, una espressione geografica. Come lo è la monarchia spagnola, attraversata da scandali, priva non solo di poteri ma anche di autorevolezza, non certo in grado di rappresentare una alternativa credibile alla storica vocazione repubblicana della Catalogna.
La forza degli indipendentisti è la debolezza del governo spagnolo e delle istituzioni centrali e l’uso spropositato e irrazionale della forza per impedire, senza riuscirci, il referendum catalano ne è una conferma. Il rischio è che a queste prove di debolezza ne possono seguire altre, come preannunciato da Rajoi, a cui possono seguire non più mani alzate, resistenza passiva, canti e sit inn. Lo scenario è inquietante. A meno che non ritorni il dialogo, la mediazione, l’autorevolezza. E con essi la democrazia.
Ottimo, Marcello. Un abbraccio,
Lanfranco.
Da scarso intenditore di politica internazionale sottolineo l’assenza totale della corona, evidentemente incapace non solo di esprimere un parere ma anche solo di averlo. Credo che avrebbe dovuto esercitare quel ruolo di autorevolezza che poteva evitare il ricorso all’autorità. Condivido pienamente la tua analisi, temo come te che Europa sia già solo un’espressione geografica.
Condivido totalmente e aggiungo che l’indipendenza non si può chiedere e quindi ottenere, con un consenso che sfiora il 50%