4 agosto 2017 Acqua e fuoco

L’ emergenza siccità e l’emergenza incendi di questa estate italiana non sono solo la cartina di tornasole della ferocia di uno sviluppo disuguale e insostenibile, che sembra produrre ricchezza (effimera) per pochissimi e scarti, rifiuti e inquinamento per tutti, ma anche la inadeguatezza ormai storica di quella che fu chiamata un tempo sinistra politica.

Questi due temi sono totalmente assenti dal dibattito, a volte acceso se non incandescente, che attraversa quella comunità politica, che sembra mancare non tanto di tatticismi o di politicismi, quanto di categorie concettuali adeguate a leggere una realtà sociale ed economica in continua e veloce transizione.

A sinistra sembra che vengano derubricati a fatti contingenti i problemi legati invece alla mercificazione delle risorse idriche e all’incuria del territorio, dove prevale l’utilizzo mercantile delle vite animali e vegetali.

Prevalgono gli sdegni su abbracci e dichiarazioni di appartenenza di Pisapia, gli ostracismi a Dalema e Bersani, gli incubi elettorali di chi ormai è minoranza della minoranza, i tatticismi quotidiani, alimentando nei media una immagine, a volte stereotipata, di una sinistra litigiosa, inaffidabile, tutta tesa ai distinguo e alla purezza ideologica e non a capire e far capire le contraddizioni e i dilemmi dell’epoca odierna.

Un esempio per tutti: la questione dei beni comuni.

Non basta dire (e non tutte le forze che si richiamano alla sinistra lo dicono) che un bene comune, cioè un bene vitale per l’esistenza di tutti, debba essere sottratto al mercato.

E’ ormai sotto gli occhi di tutti  che i beni pubblici sono oggetto di una gestione totalmente privatistica, più attenta alla distribuzione dei profitti e dei dividendi che agli interventi di ammodernamento ed efficientizzazione dei servizi. Questo vale per l’acqua pubblica, come per la sanità pubblica, l’informazione pubblica, i rifiuti, dove prevale il primato del mercato e i soggetti gestori, aziendalizzati, come le ASL, o la RAI, o l’Acea, si sentono estranei alla logica di rispondere ai soggetti istituzionali, che detengono la maggioranza azionaria e  che hanno il compito e il dovere di definire scelte e strategie per la gestione del bene pubblico, ma addirittura si pongono in termini contrattuali, pretendendo subalternità ed acquiescenza.

Se la categoria di bene comune non diventa una parola d’ordine di un progetto politico non basta chiedere la ripubblicizzazione immediata delle società che, ad esempio, gestiscono l’acqua pubblica, pretendendo l’utilizzo dei profitti per la ristrutturazione delle reti, l’ ammodernamento degli impianti di irrigazione in agricoltura, l’utilizzo intensivo e non occasionale delle acque piovane, la installazione di dispositivi per il risparmio idrico nell’edilizia residenziale e produttiva.

Va definita la natura giuridica di questi nuovi soggetti, la sostenibilità economica, le modalità di gestione, soprattutto in termini di partecipazione popolare e istituzionale, altrimenti si rischia di essere (o lo si è) nostalgici statalisti, per ritrovarsi a fare i conti di nuovo con i boiardi di stato e i piani di sviluppo quinquennali.

È una risposta possibile all’autonomizzazione delle aziende come espressione del mercato, soprattutto di fronte ai drammatici cambiamenti del clima, di cui la siccità e gli incendi sono (e saranno) un prodotto strutturale e non occasionale.

Sembra che alla sinistra di oggi manchi una visione del mondo, nella sua accezione globale di biosfera e biodiversità, ed una conseguente idea di società che metta in discussione lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma anche lo sfruttamento del pianeta, che limiti drasticamente l’immissione nell’atmosfera di CO2, che ponga fine allo spreco di cibo e di acqua, che razionalizzi il consumo delle risorse nelle aree agricole, nelle foreste, nei pascoli, nei mari.

Se la sinistra, anziché di assetti di potere e di tattiche elettorali, si occupasse di una griglia di lettura delle trasformazioni globali forse potrebbe offrire una alternativa ai rifiuti, umani, ambientali e sociali che stanno inquinando il nostro pianeta.

2 Commenti

    • Sono perfettamente d’accordo e allargando il discorso anche ai beni culturali,mi ritrovo nelle posizioni di Tomaso Montanari.

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*