2 luglio 2017 Milano

1.

 

Milano è una città discreta, che non ostenta la sua ricchezza, la copre dietro facciate eleganti ed equilibrate, la svela solo a chi dimostra vero interesse e rispetto. Una volta oltrepassato un portone massiccio e un cancello lavorato sarà la corte interna, con spesso un giardino verde e fiorito, ad anticipare ben prima dalle scalinate, il calore e il confort di manufatti e arredi, manifestazioni simboliche ma anche oggetti d’uso, funzionali alla vita e non alla pura contemplazione o alla semplice esibizione di potere. Può capitare, come in Corso di Porta Romana, che tutto questo venga stravolto da un insensato sventramento della fronte del palazzo, per un incomprensibile arretramento a favore di un marciapiede inutile e a sfavore della linearità architettonica della via.

Milano è infatti città di contrasti, legati a veloci e drastiche soluzioni urbanistiche, all’avvicendarsi di stili, al perseguire soluzioni, anche azzardate, ai problemi della residenzialità, della mobilità urbana, dello scambio di beni, dell’offerta di servizi, del decoro e della vita civile, della gestione dei poteri.

E’ città di tanti cantieri, dove si rimodellano spazi e funzioni, si inventano nuove architetture, si creano nuovi baricentri, si rendono credibili nuove socialità e con esse nuovi conflitti e nuove mediazioni.

 

2.

 

Per chi appartiene alle generazioni nate dopo il secondo dopoguerra del Novecento appare inimmaginabile che Milano sia stata, fino agli anni trenta, una realtà urbana attraversata, irrorata, innervata da una rete di navigli, vie navigabili per il trasporto di merci e persone, collegamento e delimitazioni di quartieri, arredo urbano unico e irripetibile, diverso e originale rispetto ad altre città italiane, come Venezia o Mantova, non semplice lungofiume, come Roma o Firenze, né tantomeno fondo scenografico, come il mare a Napoli o a Genova.

Tutto è stato interrato, sono scomparsi i ponti e gli affacci dei palazzi signorili come delle casupole, l’asfalto garantisce percorribilità non più a barconi e a  chiatte, ma a tram e automobili.

Oggi ne rimane una traccia simbolica nella toponomastica e una testimonianza concreta nella Conca di Viarenna, nel Naviglio Grande, nel  Naviglio Pavese e nella Darsena a Porta Ticinese.

La vita intorno a queste vie d’acqua superstiti è ancora intensa e vivace, anche se ne è cambiata la natura, gli spazi sociali hanno nuove identità, la residenzialità è effimera e mutevole. E’ la conferma della grande attrattiva di questa dimensione urbana che ha giustificato notevoli interventi pubblici di restauro e forse legittima il progetto, auspicato e rivendicato ancora da una minoranza, di ripristinare, dove possibile, la Milano dei navigli.

 

3.

 

A Milano si possono rivedere le scarpe di cuoio, non solo ai piedi di ultracinquantenni (abbigliamento distintivo universale italiano di uomini della terza età, come i giubbotti di renna), ma anche di giovani adulti, i cui completi con giacca e cravatta fanno pensare ad un diffuso ceto impiegatizio, se non manageriale, fatto di uomini titolari di un potere o di un sottopotere gestionale, largamente favorito (se non creato) dal potere politico.

E’ comunque una minoranza, a fronte della pletora estiva di sneakers di plastica e tessuto, su modello sportivo, escursionistico, militare, dopolavoristico, abbinate a t-shirt  multicolori e griffate, pantaloni corti multi tasca, niente calze o calzettoni, ma invisibili “fantasmini” di cotone.

Nonostante il caldo, le scarpe di cuoio e la relativa divisa d’ordinanza reggono, nonostante la moda negligè dominante, quale elemento corollario, ma indispensabile, di uno stile di vita impostato sull’apparire e non solo sul possesso di beni e sulla disponibilità di denaro.

Parafrasando un antico detto sportivo, ormai negletto, si potrebbe dire che è meglio apparire che essere e tutto questo vale più a Milano che altrove, perché è la vera capitale d’Italia. Il suo moderno e odierno caput mundi.

 

4.

 

A Milano il verde urbano è poca cosa rispetto al costruito, sembra che la città compatta sia cresciuta in un’area relativamente piccola, in una serie di cerchi concentrici (la cerchia dei Navigli, la cerchia dei bastioni spagnoli, la circonvallazione) e tutto intorno una sterminata periferia, con grandi assi viari di penetrazione che attraversano, come raggi, i cerchi urbani. In questo sviluppo gli spazi verdi non sono stati pienamente considerati se non come spazi residuali, magari annessi al costruito, non con una loro autonomia, una loro specifica vitalità, da valorizzare come spazi sociali, luoghi di incontro, di riposo, di meditazione.

Emblematico è il caso di Monte Stella, chiamato dai milanesi la Montagnetta, una collina artificiale, alta 170 metri e fittamente alberata. Appare, più che il risultato di una precisa scelta urbanistica, la conseguenza della realizzazione del circostante quartiere QT8 (Quartiere dell’Ottava Triennale) con i suoi movimenti di terreno e della ridondanza di macerie prodotte dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.

Su quel modello sembrano nati altri giardini, in quartieri di radicale trasformazione edilizia, che forse vogliono conciliare il massimo sfruttamento delle aree con le esigenze elementari della popolazione.

I nuovi spazi verdi sono così l’occasione per visitare quartieri che hanno fatto la storia industriale di Milano, in cui, dismesse le fabbriche, si sono dovute inventare nuove identità e nuove vocazioni.

La “collina dei ciliegi” alla Bicocca si accompagna al recente complesso universitario, al Teatro degli Arcinboldi, al nuovo centro direzionale del Gruppo Pirelli, all’ edificio della Deutsche Bank, all’Hangar Bicocca, per la produzione ed esposizioni di arte contemporanea, tra cui l’intrigante istallazione di Anselm Kiefer “I Sette Palazzi Celesti”.

Al Portello il parco con filari, viali, siepi, laghetti, colline artificiali (sempre con materiali di scavo dei cantieri edili), di cui una con un sentiero a doppia spirale, fa da baricentro al piano urbanistico che ha riconvertito e riqualificato l’area un tempo occupata dagli stabilimenti Alfa Romeo e Lancia, con nuove funzioni terziarie, commerciali e residenziali.

La “Biblioteca degli Alberi” a Porta Nuova, (il piano di riqualificazione più ambizioso a Milano, tra il dismesso scalo delle Varesine, la stazione Garibaldi e il vecchio quartiere Isola) è invece ancora in fase di attuazione, ma tra poco sarà l’ultimo luogo di attrazione, dopo la piazza Gae Aulenti,il Bosco Verticale di Boeri, Corso Como, la torre César Pelli, il nuovo edificio della Fondazione Feltrinelli e le decine di nuovi edifici, tra grattacieli, torri, ville urbane, residenze di lusso, centri direzionali, tutti connessi tra loro da passaggi pedonali, ponti e piste ciclabili.

 

5.

 

Prima c’erano (solo) la Torre Velasca e il grattacielo Pirelli. Oggi la skyline milanese è cambiata totalmente. In forma quasi improvvisa, repentina, come se la città dovesse recuperare il tempo perduto, dopo essersi fermata agli anni cinquanta e sessanta del Novecento, ha cominciato a diventare una città turrita.

Prima ha cominciato la Regione Lombardia con la sua nuova sede, nell’area dello storico bosco di Gioia su progetto dello studio statunitense Pei-Cobb-Freed & Partners, con uno sviluppo verticale di oltre 160 metri, poi il progetto CityLife, nell’area dismessa della Fiera Campionaria, con i tre grattaceli di Zaha Hadid, di Arata Isozaki e di Daniel Libeskind, quasi tutti alti il doppio del grattacielo Pirelli.

A Porta Nuova, Le Torri residenziali alle Varesine, il Bosco verticale dello studio Boeri, due torri con 900 alberi, arbusti e piante floreali; la Torre César Pelli, quartier generale di Unicredit, con una guglia dal profilo inusuale,  alta 231 metri; la Torre diamante, alta 140 metri, progettata dallo studio Kohn Pederson Fox Associates, sfaccettata e irregolare nelle geometrie.

Milano guarda ormai verso l’alto, ma non più verso la sua Madonnina tra le guglie del Duomo, ma verso altri simboli, commerciali e finanziari, che dall’alto dominano ormai tutte le aree dismesse e ristrutturate della città, costellate da una tipologia edilizia estremamente concentrata in altezza e, in molti casi, con quantità doppie o triple di quelle programmate in precedenza.

Tutto questo si può ammirare sempre dall’alto, con un panorama a 360° su Milano e dintorni e questa volta da una torre moderna ma non contemporanea: la Torre Branca, nata Torre Littoria per volere di Mussolini. Una costruzione in tubi d’acciaio su base esagonale, alta 109 metri, realizzata nel 1932 su un progetto di Cesare Chiodi, Gio Ponti ed Ettore Ferrari.

 

 

 

 

1 Commento

  1. Invito a leggere il libro di Alberto Rollo, “un’educazione milanese”. E’ prezioso.
    Il 17 agosto a Corciano l’autore lo verrà probabilmente a presentare.

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