11 marzo 2017 Villaggio Crespi d’Adda

Il Villaggio Crespi d’Adda attuale è la risultante del paternalismo padronale e dell’ottusità del fascismo.

A compensare la durezza della vita nella fabbrica, con un orario anche di dodici ore, sempre in piedi e in un ambiente molto caldo e molto umido e con un controllo rigido dei capi reparto, Silvio Crespi, figlio di Cristoforo Benigno, fondatore della fabbrica tessile, ideò e realizzò un villaggio che offriva agli operai alloggi per le famiglie, istruzione professionale, soccorso e prevenzione degli infortuni sul lavoro, assistenza sanitaria. La consapevolezza dei gravi disagi sociali che comportava il massiccio processo di industrializzazione, accompagnati dalla preoccupazione dell’inasprirsi delle rivendicazioni operaie e dalla costatazione delle carenze sul piano sociale del Regno d’Italia, spinse Silvio Crespi, educato in Inghilterra e influenzato dalle utopie urbanistiche nate nella seconda metà dell’Ottocento, a destinare cospicue risorse finanziarie per realizzare un microcosmo sociale, dove tutti erano coinvolti nell’attività produttiva della fabbrica, ma vivevano anche fuori del luogo di lavoro secondo un modello urbanistico e sociale, in cui la proprietà aziendale sovrintendeva tutti gli aspetti della vita, dalla cultura dell’orto e del giardino all’igiene personale, dall’utilizzo del tempo libero ai consumi, dalla nascita alla morte passando per la malattia. Il valore aggiunto di questo modello è rappresentato dall’alta qualità architettonica del costruito: la fabbrica e la villa padronale in stile medioevale, la chiesa in stile rinascimentale, il cimitero di gusto esotico, le ville meridionali eclettiche e liberty, la case operaie tutte costruite su modelli anglosassoni.

Sarà il fascismo, in concomitanza con la grande crisi del ’29, con una politica monetaria e con la volontà di sostituire il paternalismo padronale con quello statale, ad interrompere questa esperienza. Non solo con la fuoriuscita della famiglia Crespi nei primi anni trenta del 900 dall’impresa industriale, ma con il tentativo di livellare e omogeneizzare il costruito con una “modernizzazione” estetica, che riguardava decorazioni e tinteggiature, fino al cambiamento del nome del villaggio in Tessilia.

Oggi l’abitato, tornato a chiamarsi Villaggio Crespi, appare intatto, con l’impianto urbanistico ancora ordinato e regolare, le casette allineate, le recinzioni basse, gli orti ben curati, il verde dappertutto, un silenzio diffuso, compreso il silenzio assordante della grande fabbrica, la matrice e la nutrice di tutto, ormai chiusa da anni, ancora incombente però, soprattutto con le sue altissime ciminiere. Così anche la villa padronale, un vero e proprio maniero medioevale, estrosa nel suo stile romanico-gotico, a dominare con la sua torre di cinquanta metri il feudo industriale dei Crespi, è oggi vuota e malinconicamente in cerca di un nuovo proprietario.

Il Villaggio Crespi d’Adda è congelato nella sua dimensione industriale, ma senza industria, senza fabbrica, senza operai, senza padroni. Non è neanche post industriale, né post moderno. E’ (solo) un bene storico che appartiene all’umanità.

 

2 Commenti

  1. Quello che scrivi mi fa pensare a una realtà nostrana, mutatis mutandis: Brunello Cucinelli. Lo pensi anche tu?

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