27 giugno 2017 Vade retro satana!

La demonizzazione dell’avversario è una pratica antica in politica. Serviva e serve a marcare le differenze, a connotare negativamente fino alla disumanizzazione chi rivendicava e rivendica altre appartenenze ideologiche, ad esaltare il contrasto per galvanizzare le proprie truppe e trascinare emotivamente fedeli e simpatizzanti.

Oggetto di questa rappresentazione sono state e sono le minoranze rivoluzionarie, i propugnatori di un diverso ordine sociale, chi metteva e mette in discussione la morale dominante e l’ipocrisia religiosa.

Sono stati altresì demonizzati (e lo sono tuttora) gli eretici di una fede o di una ideologia, i transfughi politici, i dissenzienti, gli oppositori.

Tutto era ed è lecito nei confronti di chi è da un’altra parte o non è conforme alla propria, mentre non lo era né sembrava opportuno verso chi era alleato, compagno di strada, disponibile ad un percorso comune, a condividere progetti e programmi. Allora scattava la piena comprensione,  il massimo di tolleranza, la più ampia disponibilità, soprattutto in momenti di debolezza, di marginalità, di deficit di consenso.

La sinistra italiana vive questi momenti, ma anziché demonizzare i propri avversari, si scaglia contro chi è più vicino, esaltandone i limiti ed i difetti, enumerando i motivi di divisione e non di unione, fino ad accanirsi contro se stessa e la propria storia. E per di più non di fronte ad un programma strategico, ad una visione del mondo, alla trasformazione dell’esistente, ma ad un fatto contingente, quale un programma elettorale con l’obiettivo, tutto tattico, di garantire una rappresentanza istituzionali a ceti e gruppi sociali che ne sono privi, pena la loro marginalità e insignificanza politica, premessa di ogni deriva populistica e autoritaria. E’ vero che già questo sembra un’impresa titanica, ma appare sbagliato demonizzare coloro che condividono questo obiettivo e non legano il suo raggiungimento al proprio tornaconto personale.

Perché allora scagliarsi contro Massimo Dalema, che sicuramente non è il massimo della simpatia, ha un curriculum di governo opinabile, una condotta politica criticabile, ma è disposto a dare il suo contributo hic et nunc nel prossimo scontro elettorale, come aveva fatto nel referendum istituzionale?

Perché ostracizzare Miguel Gotor, rappresentante autorevole del MDP, per le sue incoerenze parlamentari, recenti e remote, quando rivendica la piena autonomia dal PdR (Partito di Renzi) e la necessità di un nuovo soggetto politico?

Perché demonizzare Giuliano Pisapia per un suo presunto collateralismo con Renzi e anziché chiedergli ragione del suo Sì al referendum istituzionale non verificare la sua disponibilità ad un percorso unitario della sinistra, che non si limiti all’ennesimo cartello elettorale, ma si ponga l’obiettivo di attuare la Costituzione, non di rottamarla, e di ricostruire un ruolo economico e sociale dello Stato?

Certo, altra cosa sarebbe un confronto serrato su come superare le profonde disuguaglianze, ricomponendo quello che si sta scomponendo sul piano sociale, come ridistribuire la ricchezza con una fiscalità pubblica equa e rispettata, come sostenere un welfare universalistico, come difendere i beni comuni, come garantire i diritti nel mondo del lavoro, devalorizzato e devastato dal ricatto occupazionale, cosa difendere dell’apparato industriale italiano, valorizzando al massimo lo sviluppo tecnologico, l’automazione e il miglioramento delle tecniche di lavorazione, appaiandolo ad una moderna economia di servizi.

Ma questo (e altro) oggi non è dato. Quello che invece sembra dato, al di là di una qualsiasi forma di confronto strategico e di proposta programmatica, è la presenza di due schieramenti alla sinistra del PD: il soggetto “Insieme”, che dovrebbe nascere dalla convergenza di Campo Progressista di Pisapia e MDP di Bersani e Speranza e che molto probabilmente vedrà il suo battesimo il 1° luglio a Roma e una lista Civica, che ha come promotori Tomaso Montanari e Anna Falcone e che ha avuto una prima comparsa pubblica nell’assemblea del Teatro Brancaccio di Roma. Non sembra un buon inizio, ma forse bisogna fare di necessità virtù.

7 Commenti

  1. La questione è il percorso, lungo complesso difficile, di un progetto politico e di un orizzonte ideale. Da contrapporre alla insi-pienza renziana, pericolosa per il paese/per il ns ruolo in Europa, e alla ricomparsa in forze del centrodestra a trazione più/meno leghista. Il cantiere di edificazione di quel progetto è articolato e già frammentato: vedremo l’esito di Roma l’1/7. Su questo terreno credo che la precondizione risieda nell’onesta’ intellettuale nel percorso esistenziale nell’itinerario culturale dei se’ proponenti protagonisti: non per mero gusto di etichettare pedigree variegati, ma anche per saggiarne la credibilità di fronte ai cittadini, la cui decrescente partecipazione (al voto e non solo) è drammatica: essendone corresponsabili taluni dei redivivi protagonisti. Certo, progettualità, visione strategica, ascolto/inclusione sono fondamentali. Tuttavia, in vista della reificazione loro, non mi pare illegittimo porsi qualche domanda. Timeo Danaos Et. Dona. Ferentes

  2. Non è un buon inizio, ma potrebbe essere ancora peggiore se si considera che certamente non mancherà RC ad aggiungere i propri distinguo, oltre alla galassia di sigle nate intorno a situazioni contingenti- vedi No TAV, ad esempio – o che si richiamano all’area anarchica dei Centri Sociali. Personalmente sono anch’io dell’idea che nessun contributo debba essere demonizzato, a cominciare da quello di D’Alema, ma vorrei vedere volti nuovi e nuovi linguaggi a sostenere i ruoli di punta. In questo senso, sia Anna Falcone che Tomaso Montanari mi sembrano figure adatte. Dunque, per concludere, ben venga l’apporto costruttivo delle figure che tu hai citato, ma senza velleita’leaderistiche o egemoniche. Del resto, il da fare non mancherà e contributi di esperienza e passione saranno preziosi anche in posizioni di non primissimo piano.

  3. Credo anch’io che occorra lavorare per una sola lista di sinistra, autonoma e alternativa rispetto al pd, e che ci siano le condizioni per farlo. Le enumero schematicamente:
    1. concentrarsi sui contenuti e predisporre un programma che configuri una diversa idea dell’Italia e del suo ruolo nello scenario internazionale: diritti universali (in primo luogo scuola e salute), dignità del lavoro (art. 18 e precariato), ruolo dello Stato, giustizia fiscale (patrimoniale), accoglienza: in due parole, il ritorno al progetto della Costituzione.
    2. smettere di chiedere le primarie: Le primarie si possono vincere ma più facilmente si perdono e a quel punto non devi fare i conti con Bersani e il programma di Italia Bene Comune, ma con Matteo Renzi, il jobs act, Davide Serra, farinetti e compagnia cantando
    3. smettere di dire che il Pd è un partito di destra. Il Pd è un organismo complesso che fin dalla sua nascita ha subito l’egemonia culturale del pensiero unico e che in particolare negli ultimi anni ha risolto a destra molte delle sue ambiguità, ma ricordo che -anche quando i socialisti governavano con la Dc- il Pci stava bene attento a non liquidare con uno slogan la complessità di quel mondo.
    4. convocare unitariamente un grande appuntamento pubblico di confronto politico e programmatico, molto aperto alle esperienze civiche e associative, a partire da un documento-manifesto che contenga i punti essenziali di identità. Fino ad una settimana fa avrei detto di affidare a Stefano Rodotà la scrittura del testo da mettere in discussione, adesso la cosa è più difficole anche perché credo che Jeremy Corbyn abbia altro da fare. Ma penso a qualcosa che somigli al suo discorso di Glastonbury.

  4. Una breve aggiunta, priva -spero- di spirito polemico: Pisapia è stato invitato all’assemblea del Brancaccio, e ha risposto che non c’erano le condizioni per partecipare. All’appuntamento di Piazza Santi Apostoli ha invitato alcuni e non altri. Tra l’una e l’altra inziativa è andato all’assembea promossa da Bruno Tabacci e da un pezzo di mondo ex dc, dove evidentemente gli risultava che le condizioni ci fossero. L’appuntamento di Perugia, se non ho capito male, sarà introdotto da alcuni esponenti ex Psi: tutto legittimo, naturalmente, tanto più che Tabacci è stato un buon assessore nella giunta di Milano e che un’anima socialista nella sinistra ci sta a pieno titolo; a patto però che almeno sulle questioni di programma ci sia chiarezza, altrimenti “discontinuità” resta una parola tra le tante. In due parole, bisogna decidere se fare l’Ulivo provando a condizionare Renzi, fare l’Ulivo senza Renzi, oppure fare una politica diversa da quella dell’Ulivo, che tenga conto della catastrofe sociale e dell’arretramento economico maturati negli ultimi venti anni. Io sono per la terza opzione.

  5. Per quanto mi ricordi delle recenti vicende politiche italiane, che ormai non mi appassionano più di tanto, quello che ha demonizzato il suo vicino di banco è stato proprio il grande stratega D’Alema Massimo, bombardatore di Belgrado, paladino del lavoro precario (nel senso che contributo alla sua diffusione a macchia d’olio), padre costituente insieme al Silvio dei tempi d’oro tra crostate e regate veliche in costa smeralda, figura troppo sopravvalutata nello schieramento di centro-sinistra. E quel Bersani lì che dopo aver vinto la poltrona si è ben guardato di tornare subito al voto quando si è accorto di non avere ui numeri per governare e si è alleato con Berlusconi (per fare le riforme però mi raccomando!!) per non mollare il cadreghino che avrebbe dovuto lasciare a Renzi. Mentre per quello che mi risulta le cose più di sinistra in questo schifo di Paese le ha dette e fatte proprio Matteo Renzi, dagli 80 euro alla stabilizzazione di milioni di co.co.co., primo tra tutti i leader della c.d. “sinistra” a varare misure concrete senza tante chiacchiere prolisse come i soloni della “vera” (?) sinistra. Pisapia poi mi pare che è stato anche quel personaggio un po’ imbelle che non si è ricandidato per il secondo mandato a Sindaco di Milano, ma per fare cosa poi? Venire a dare lezioni al “campo progressista”??? Maddai per favore, un po’ di onestà intellettuale, caro il mio Avvocato (ma non potrebbe tornare serenamente alla sua attività forense?). Amen.

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