La natura in William Faulkner

La polla sgorgava dalla radice di un faggio e scorreva su un fondo di sabbia ondulata, cosparso di radiche a verticillo. Era circondata da una fitta vegetazione di bambù, di rovi, di cipressi e di eucalipti nella quale i rotti raggi del sole parevano non avere sorgente. Talvolta, nascosto e segreto ma pur vicino, un uccello cantava tre note e poi si chetava.

pag. 11

 

C’era la luna. Nella galleria nera e argento dei cedri le lucciole svolazzavano in fatui tuffi, come piccole punture di spillo. I cedri neri erano puntati come ombre cinesi verso il cielo; il viottolo in salita aveva un lieve luccicore, una patina simile all’argento. Da qualche posto un cuculo chiamava, ripetendosi, tremolante, lamentoso, a caccia di insetti.

pag. 204

 

La casa era buia, ferma, come se fosse stata abbandonata nello spazio dal riflusso del tempo. Gli insetti erano piombati in un mormorio monotono appena percepibile, dappertutto, in nessun luogo, come se quel suono fosse l’agonia chimica di un mondo lasciato nudo e morente all’imbocco del fluido che lo faceva vivere e respirare. La luna era in alto, ma senza luce; la terra era in basso, ma senza tenebre.

pag. 224

         Santuario, Mondadori, 1963.
         Traduzione di Paola Ojetti.

 

Era una grigia giornata colore e sostanza del ferro, una di quelle giornate senza vento, di una plastica rigidezza troppo morta anche soltanto per produrre o rilassare neve, una giornata in cui perfino la luce non subiva mutamenti ma pareva uscire, all’alba, tutt’intera dal nulla e sarebbe spirata nel buio senza gradazioni.

pag. 147

 

Di nuovo guardò la notte emergere dalla valle e risalire il granturco stento, coprire il granturco, coprire infine la casa e, sempre salendo, divenire come due mani aperte verso il cielo occidentale in atto di liberare al volo l’ultimo uccello della sera. Sotto di lui, oltre il granturco, le lucciole ammiccavano e brulicavano sul volto delle tenebre; più in là, nelle tenebre, il muggito continuo delle rane era il continuo pulsare e palpitare del cuore buio della notte, sicché quando giunse quell’istante invariabile – quell’istante altrettanto invariabile da un crepuscolo all’altro come l’istante del pomeriggio quando si svegliava – anche il palpito di quel cuore parve tacersi, abbandonando il silenzio al primo urlo profondo dell’angoscia feroce e invincibile.

pag. 268

          Il Borgo, Mondadori, 1966
          Traduzione di Cesare Pavese

 

Era tardi. La stella della sera brillava calda e densa come un fiore di gelsomino.

pag. 111

          Luce d’Agosto, Mondadori, 1968
          Traduzione di Elio Vittorini

 

Sotto i cedri, e tra di essi, anche nelle giornate più soleggiate, regnava una inebriante penombra resinosa. Vi si compiacevano i merli, gli uccelli-gatto e i tordi tranquilli e melliflui nel tardo pomeriggio; ma sotto gli alberi l’erba era scarsa o assente, e non vi erano insetti, salvo le lucciole nel crepuscolo.

pag. 200

 

Le lucciole non erano ancora venute, e i cedri fluivano compatti sui due lati giù verso la strada, simili a un’onda d’ebano che si incurva, con rigide creste infrangibili puntate sul cielo.

pag. 207

 

Al di là del portico l’aiuola di salvia giaceva in un insostenibile bagliore di luce bianca, a chiazze clamorose.

pag. 289

          Sartoris, Garzanti, 1975
          Traduzione di Maria Stella Ferrari

 

Il sole, da un’ora sopra l’orizzonte, si posa come un uovo sanguigno su una cresta di nubi tempestose; la luce ha preso una sfumatura color rame: minacciosa all’occhio, solforosa al naso; puzza di lampi.

pag. 41

          Mentre morivo, Mondadori, 1958
          Traduzione di Giulio De Angelis

 

Era il linguaggio della foresta, dei grandi boschi, più grande e più antico di qualsiasi documento conservato dall’uomo: degli uomini bianchi tanto fatui da credere di averne comprato un qualsivoglia frammento, degli indiani tanto temerari da pretendere che un qualsiasi frammento fosse toccato a loro di tramandare.

pag.223

 

La parete alta e senza fine dei boschi densi nel novembre sotto il dissolversi del pomeriggio e la morte dell’anno, tetra, impenetrabile.

pag.227

 

La foresta si levava, pensosa, distratta, multiforme, eterna, verde.

pag.367

        Scendi Mosè in I Negri e gli Indiani, Mondadori, 1965
        Traduzione di Edoardo Bizzarri

 

Fuori della casa calda soffocante all’aria, la mattina, il sole in un diluvio tenero alto uniforme dorato sulle cime più alte degli alberi, giù a coprir d’oro la mole immensa obesa del serbatoio dell’acqua deforme sullo sfondo azzurro.

pag.549

 

Ma ora alla luce del giorno, di una dolce mattina indicibile di maggio; ora vedeva le chiazze bianche dei cornioli sulle siepi che segnavano le antiche demarcazioni amministrative o ritte come monache in chiazze claustrali e striscie di boschi verdeggianti e il bianco e rosa dei peschi e dei peri e il biancorosa del primo melo nei frutteti dei quali la notte precedente aveva soltanto sentito il profumo.

pag.580

          Non si fruga nella polvere in I Negri e gli Indiani, Mondadori, 1965
          Traduzione di Fernanda Pivano.

 

 

2 Commenti

  1. Caro Marcello, grazie per il tuo impegno a sollecitare la nostra attenzione anche con riferimenti così intensi, utili a scuotere la nostra pigrizia

    cecilia

  2. Be’, ci siamo conosciuti se non sbaglio proprio grazie/attraverso Faulkner, di cui mi dicevano – e stai dimostrando che avevano ragione – fossi un intenditore. Parecchi anni fa.

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