Praga

Hanno sempre colpito i pellegrini stranieri la fatiscenza di questa città senza gioia, imbronciata in eterno, la sua desolata ed inerme passività che stringe la gola, la sua vedovile maestà di sovrana deposta, ed insieme il quattriduano pallore, la rassegnata cupezza dei suoi passanti nelle strozzate straduzze, letamaio di antichissime glorie.

 

Angelo Maria Ripellino, Praga magica, Einaudi, 1991, pag. 198

 

Il collèrico malumore di Rodolfo II, l’ipocondria degli alchimisti, l’assenza di mare, il supplizio dei ventisette signori, la macabrità del barocco, la truculenza delle favole ebraiche: alle corte le componenti generatrici del lugubre sottofondo di Praga sono col tempo confluite nell’unico simbolo della Montagna Bianca.

 

Angelo Maria Ripellino, Praga magica, Einaudi, 1991, pag. 199

 

Case spilorce che intisichiscono, rimbambite casacce dalla vista babbuina – e dentro le case viluppi di gallerie con ingorghi di correnti d’aria, come nella tana kafkiana. Stanze in penombra su viuzze strettissime, stanze intabarrate in pesanti tendaggi Secese con frange, stanze linfatiche, mal pettinate, e coi pèttini abbandonati su tavole imbandite di tovaglie soffritte in brodo lardiero. Stanze con specchi appannati, come se vi si fosse specchiata una donna mestruata, con ritratti ovali di antenati in divisa austro-ungarica, con cassapanche abbondanti di bombette e solini duri, con trappole per topi, topaie con abitanti lunatici, quadri di Tichy. Corridoi guerci, soffitte ingombre di scarabàttole, di ventagli, di albi, di lumi a petrolio, ballatoi, cacatoi sui ballatoi, serpentine e rompicolli di scale, ringhiere dalla gravità oracolare.

 

Angelo Maria Ripellino, Praga magica, Einaudi, 1991, pag. 206

 

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