Avrei voluto prendere il pick-up e percorrere strade corrugate, sfrecciare come un tuono su ponti di legno. Avrei voluto inoltrarmi nelle profondità della palude dell’Atchafalaya, al di là dei confini della regione, fino a raggiungere il passato, un mondo fatto di lingue perdute, cacciatori di alligatori, whisky di contrabbando, raccoglitori di muschio, birra Jax, distillerie clandestine, cacciatori di pelli, combattimenti di galli, boudin rosso sangue, un bicchierino di Jim Beam versato in un boccale di birra gelata, pescatori di frodo, riso nero, carne di maiale cucinata nel rum, Pearl e Regal e Grand Prize e Lone Star tenute in fresco in secchi pieni di ghiaccio, gamberi di fiume bolliti con mais e carciofi, tutto questo sull’orlo di un mondo allagato, popolato di alberi semisommersi, in cui le maree e il corso del sole erano le uniche misure del tempo.
James Lee Burke, La ballata di Jolie Blon, Meridiano zero, 2005, pp. 201-202
Il bacino dell’Atchafalaya è il luogo dove si finisce quando si viene rifiutati dal resto del mondo. Comprende centinaia di chilometri quadrati di fiumi paludosi, canali, banchi di sabbia, isole di salici, enormi fiordi e boschi sommersi nei quali le zanzare ti circondano il capo come un elmetto e tu passi il tempo a schiaffeggiarti le braccia finché non sono cosparse di una pasta rossa scura. A venti minuti da Baton Rouge e a un’ora e mezza da New Orleans puoi penetrare in una piega dello spazio-tempo e ritrovarti nel mezzo di quel sud contadino, povero e arretrato che credevi fosse stato divorato dai costruttori delle periferie della Sunbelt. E’ un luogo sempre più piccolo, ma vi sono uomini che vi resistono con una tenacia disperata e terribile.
James Lee Burke, Piccola notte cajun, Mondatori, 1996, pp. 145-146
Commenta per primo