Erano tempi di attesa, ma a Barcellona le attese non erano solite durare molto.
Paco Ignacio Taibo II, La bicicletta di Leonardo, Ponte alle Grazie, Milano, 1998, pag.202
…lassù la roccaforte militare, simbolo della repressione e delle fucilazioni, quasi a sorvegliare la scena, seppur mascherata da luna-park; proprio accanto la statua di Colombo, una concessione all’estetica pompier e sfida all’altezza, secondo i canoni francesi del XIX secolo; costruzioni del potere militare accanto a una piazza romantica come quella di Medinaceli; palazzoni dedicati a commerci marittimi più o meno naufragati; palazzine neogotiche; stradine aperte sulla Barcellona vecchia e povera e gotica; l’edificio delle Poste e l’inizio di quella strada che avrebbe voluto essere la Wall Street barcellonese; via Layetana, inaugurata dalla borghesia barcellonese sugli spiazzi di quello che un tempo fu il mercato dei maiali. E ora questa passeggiata mediterranea al di sopra di gallerie di traffico rumoroso e feroce e quest’invito al dolce far niente, agli stuzzichini di calamari e alla birra ghiacciata nei ristoranti sotto l’ombra protettrice dello scampone gigante del designer Mariscal.
Manuel Vázquez Montalbán, Il fratellino, Feltrinelli, 1997, pag.96
La città post-olimpica, aperta sul mare, solcata da strade per il traffico veloce, con il Barrio Chino in piena distruzione, i piccoli aeroplani del politically correct intenti a sorvolare la città, a disinfestarla per ucciderne i batteri, i virus storici, le lotte sociali, il sottoproletariato, città ormai senza inguini, città dagli inguini estirpati, trasformata in un teatro profilattico per interpretare la farsa della modernità.
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